L’Associazione italiana di epidemiologia ha invitato Forward a curare una sessione del congresso 2021 dedicata alla peer review: è stata l’occasione per ragionare su alcuni aspetti importanti della valutazione della ricerca e per definire 6 punti preliminari da portare all’attenzione di direttori di riviste scientifiche.
La peer review è considerata lo strumento fondamentale per garantire la qualità dell’informazione scientifica. Eppure, da oltre 25 anni viene messa in discussione non soltanto la capacità di questo strumento di filtrare in modo efficace la produzione scientifica, ma anche l’etica di un percorso che può danneggiare i ricercatori più giovani, discriminare le autrici donna, ritardare la condivisione di risultati importanti, penalizzare la vera innovazione o i ricercatori realmente capaci di pensare out-of-the-box. Uno strumento in crisi, dunque, ma di cui non si riesce a fare a meno. Recentemente gli aspetti critici sono diventati ancora più evidenti sotto la pressione dell’enorme mole di ricerche scientifiche associate a covid-19 e sottoposte all’attenzione delle riviste. È possibile immaginare dei correttivi? Il gruppo giovani dell’Associazione italiana di epidemiologia ha raccolto l’invito giunto dai curatori del progetto Forward a loro volta sollecitati da alcuni medici oncologi – Fotios Loupakis, Massimo Di Maio, Raffaele Giusti e Chiara Cremolini – che da tempo si interrogano sui modi per ripensare la revisione critica. L’obiettivo è dialogare su proposte concrete. È questa la ragione che ci suggerisce di sollecitare editors e publishers scientifici a considerare dei correttivi che possono tradursi in benefici per i ricercatori e per la rapidità e la qualità della disseminazione della ricerca.
1. FORMAT DEL CONTENUTO. Ogni rivista sceglie il format col quale pubblicare i propri contenuti. Però, adattare i propri contributi a istruzioni per autori sempre diverse ad ogni successiva submission è – per gli autori – un onere pesante e non giustificato. Proponiamo dunque che le riviste accettino di valutare articoli preparati secondo le linee guida formali degli Uniform Requirements dello International Committee of Medical Journals Editors [ICMJE]. Solo successivamente all’accettazione del lavoro ciascuna rivista potrà redazionalmente apportare le eventuali modifiche utili ad uniformare i documenti alle proprie Instructions for Authors. Perché non adottare questa semplificazione per alleggerire il lavoro di autrici e autori?
2. NUMERO DEGLI AUTORI. La firma di un lavoro (authorship) conferisce credito e ha importanti implicazioni accademiche, sociali e potenzialmente anche economiche. La authorship implica anche responsabilità e accountability per il lavoro pubblicato. È sempre più condivisa l’esigenza di promuovere e condurre ricerca collaborativa e questo può portare alla condivisione della authorship tra molti tra clinici e ricercatori. Ciò premesso, perché non lasciare libero il numero degli autori di un articolo di ricerca, qualora siano rispettate le regole per la authorship previste dallo ICMJE?
3. TEMPI DI VALUTAZIONE. I tempi di valutazione degli articoli sono spesso molto lunghi e l’elevato numero di submissions e la ridotta disponibilità di referees rende questo problema sempre più sentito dagli autori. Fermo restando il diritto di ogni rivista di decidere autonomamente i tempi della revisione, il rispetto delle legittime aspettative delle autrici e degli autori dovrebbe tradursi in un’esplicitazione del tempo massimo almeno per la prima risposta da parte della rivista. Perché non lasciare liberi gli autori di sottoporre il proprio lavoro ad un’altra rivista – beninteso rinunciando alla prosecuzione del percorso di revisione avviato – in assenza di riscontro da parte dell’Editorial Office entro il tempo limite indicato dalla rivista stessa?
4. TRASPARENZA DELLA PEER REVIEW. La visibilità agli autori e ai lettori dei nomi dei referees è considerato un elemento utile per rafforzare il senso di responsabilità del revisore. Del resto, è ormai prassi consolidata esplicitare a margine del lavoro pubblicato alcuni punti essenziali del processo di revisione, come per esempio la data della submission o le caratteristiche della revisione [Invited paper | Internal or external peer review | etc.]. Perché non indicare anche il nome del o dei referees?
5. BIAS DI GENERE. Negli Advisory boards di gran parte delle riviste c’è un frequente e marcato squilibrio di genere che può influire negativamente sull’ampiezza di sguardo e sulla completezza della valutazione. Perché non garantire un’equilibrata rappresentanza di genere nei comitati scientifici delle riviste che si rifletta anche in una più bilanciata attività di revisori di genere femminile?
6. RICONOSCIMENTO/INCENTIVO PER IL LAVORO DI REVISIONE. Attualmente, diverse riviste offrono ai revisori una “ricompensa” per il lavoro svolto: abbonamento alla rivista stessa, libri in dono, talvolta dei crediti formativi. Cosa potrebbe realmente rappresentare un reward per chi svolge con accuratezza il lavoro di revisione? Perché non pensare di inserire ufficialmente tale attività nella carriera e nei percorsi di formazione continua di ricercatori e degli operatori sanitari?
Si tratta di sei domande aperte a cui abbiamo provato ad associare alcune possibili soluzioni realizzabili anche a breve termine ma che necessitano un rinnovato accordo tra le parti. In prospettiva si potrebbe pensare ad un sistema totalmente rinnovato, dove le ricerche presentate nel loro insieme (protocollo, risultati e appendici varie) trovino spazio su piattaforme aperte e la revisione venga lasciata direttamente alla comunità scientifica, libera di interagire direttamente con critiche e commenti utili a migliorare la qualità del lavoro fatto. Le riviste a questo punto potrebbero diventare un luogo di incontro per il dibattito scientifico con aggiornamenti, scambi di idee e approfondimenti anche ricorrendo agli strumenti del giornalismo investigativo.
Alla discussione e alla preparazione di questo documento hanno contribuito: Antonio Addis (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Federica Asta (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Lisa Bauleo (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Valeria Belleudi (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Tiziano Costantini (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Chiara Cremolini (Università di Pisa), Luca De Fiore (Il Pensiero Scientifico Editore), Rebecca De Fiore (Il Pensiero Scientifico Editore), Francesca De Nard (Università degli Studi di Milano e Agenzia per la Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano), Massimo Di Maio (Dipartimento di Oncologia, Università di Torino, AO Ordine Mauriziano di Torino), Olivera Djuric (Servizio di Epidemiologia, Azienda USL- IRCCS di Reggio Emilia), Raffaele Giusti (Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma), Ursula Kirchmayer (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Elisabetta Listorti (Cergas, Università Bocconi), Fotios Loupakis (Associazione KISS Onlus), Alessandra Macciotta (Università di Torino), Francesca Mataloni (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Giovenale Moirano (Università di Torino), Rosella Murtas (Agenzia per la Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano), Marta Ottone (Servizio di Epidemiologia, Azienda USL- IRCCS di Reggio Emilia), Davide Petri (Università di Pisa), Matteo Renzi (Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Alessandro Rosa ((Dipartimento di Epidemiologia del SS Regionale del Lazio ASL Roma 1), Vittorio Simeon (Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”), Francesco Venturelli (Servizio di Epidemiologia, Azienda USL- IRCCS di Reggio Emilia).