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Rarità Interviste

Riunire tutte le fasi della ricerca in un’unica struttura

L’esperienza del Centro di ricerche cliniche per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”.

Intervista a Erica Daina

Responsabile Laboratorio documentazione e ricerca sulle malattie rare Centro di ricerche cliniche per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”, Ranica Irccs – Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

By Giugno 2018Luglio 31st, 2020Nessun commento

Il Centro di ricerche cliniche per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”, nato nel 1992 e situato a Ranica in provincia di Bergamo, è il distaccamento dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri dedicato allo studio delle malattie rare. Sede del coordinamento della Rete regionale per le malattie rare della Lombardia, ha l’obiettivo di promuovere la ricerca clinica indipendente e sviluppare trattamenti destinati ai pazienti affetti da queste patologie.

Perché è importante fare ricerca sulle malattie rare?
Lo studio delle malattie rare è importante innanzitutto da un punto di vista etico e sociale, perché tutti gli ammalati hanno il diritto di avere lo stesso tipo di trattamento. Ma ha anche un interesse scientifico che va al di là di questo. Infatti, proprio attraverso lo studio delle malattie rare si è arrivati a comprendere molti dei meccanismi che regolano le patologie più comuni. La storia della medicina è piena di esempi in questo senso. Negli ultimi dieci o quindici anni, poi, il miglioramento delle possibilità di analisi genetica ha spostato il focus della comunità scientifica proprio sulle malattie rare, più “semplici” da studiare di quelle – complesse e multifattoriali – comuni.

Quindi c’è un flusso continuo tra i due mondi, non c’è più una distinzione.
Assolutamente. Andando a fondo dei meccanismi patogenetici, sia nell’ambito delle malattie comuni che in quello delle malattie rare, ci si rende conto che uno stesso quadro clinico può essere generato da anomalie molto diverse. Questo ci fa capire anche il perché delle diverse risposte alle terapie: noi trattiamo un quadro clinico con un farmaco e alcuni pazienti rispondono, mentre altri no. Quello che stiamo capendo è che se anche il quadro clinico è lo stesso, le cause che lo hanno determinato sono diverse. Naturalmente, questa comprensione è una condizione indispensabile per proporre terapie mirate. Ed è anche grazie allo studio delle malattie rare, infatti, che negli ultimi anni si stanno sviluppando farmaci con bersagli molecolari così specifici. Si tratta per esempio di anticorpi in grado di riconoscere una particolare proteina e di attivare o disattivare, attraverso questa interazione, determinati meccanismi.

Stiamo parlando di un bisogno di salute: è chiaro che se la logica diventa quella del profitto questo presupposto viene a cadere.

Come opera il Centro “Aldo e Cele Daccò” nell’ambito della ricerca clinica sulle malattie rare?
Fin dall’inizio è stato reso disponibile un servizio di informazione rivolto ai malati e ai loro familiari, oltre che agli operatori sanitari. Uno dei problemi fondamentali nell’ambito delle malattie rare, infatti, è che spesso i pazienti non riescono a reperire informazioni adeguate sulla loro condizione. Inoltre, il nostro centro può ospitare direttamente i pazienti e quindi svolgere un’attività di ricerca non solo di tipo sperimentale – epidemiologico o di coordinamento – ma anche clinico. Questa riguarda naturalmente solo una parte delle malattie rare, prevalentemente quelle genetiche che coinvolgono il rene e il sistema immunitario, per le quali abbiamo attivato registri dedicati. Quindi: informazioni per tutte le malattie rare, progetti di ricerca per alcune di esse. In particolare, il registro che ha la storia più lunga e che ha dato maggiori risultati è quello rivolto alle forme familiari e ricorrenti di sindrome emolitico uremica e di porpora trombotica trombocitopenica. Si tratta di due patologie molto rare per le quali abbiamo raccolto, collaborando con diversi centri a livello italiano e internazionale, dati relativi a più di milletrecento casi. Dai registri e dalla caratterizzazione dei pazienti nascono poi progetti mirati e studi clinici controllati per testare l’efficacia dei farmaci utilizzati nel trattamento di queste patologie.

Nel fare ricerca clinica sulle malattie rare quali sono le sfide più grandi che dovete affrontare?
Avendo a disposizione un numero di pazienti per definizione più piccolo, la sfida più grande è quella di garantire degli standard di accuratezza e di adeguatezza. Alcune malattie, infatti, sono così rare da non permettere l’organizzazione dei classici trial clinici randomizzati, prospettici, in doppio cieco. Dobbiamo quindi sviluppare disegni di studio innovativi che ci permettano di rispondere a domande complesse. Parte dell’impegno del nostro istituto è proprio quello di raccogliere casistiche adeguate e sviluppare dei metodi di ricerca originali.

Come vengono validati questi metodi?
Abbiamo diversi gruppi di lavoro che intervengono in tutte le fasi di progettazione di uno studio. Di questi fanno parte medici e infermieri, che lavorano a contatto con i pazienti, ma anche ricercatori che si occupano di studi genetici e biochimici, statistica, bioingegneria, analisi dei dati, disegno dei protocolli, validazione di modelli, monitoraggio degli studi clinici, farmacovigilanza. Inoltre gli studi, come avviene in tutti i centri che svolgono attività di ricerca clinica, devono essere approvati dal comitato etico competente per quanto riguarda gli aspetti regolatori. Si tratta spesso di disegni innovativi e sofisticati, che possono prevedere, per esempio, l’utilizzo di trattamenti in serie nello stesso paziente o lo studio di alterazioni genetiche e parametri biochimici che sono difficili da analizzare nella normale pratica assistenziale.

Quanto influiscono, nella definizione dei progetti di ricerca, i fattori di natura economica?
Un problema da considerare è sicuramente quello della disponibilità dei farmaci. Si tratta spesso di medicinali che possono avere – soprattutto se caratterizzati da fasi di sviluppo complesse – costi molto elevati. Se il loro utilizzo è appropriato, i costi vengono tuttavia ampiamente compensati dal risparmio prodotto. Per fare un esempio, se disponiamo di un farmaco che inibisce la deposizione del complemento a livello del rene, la malattia non progredirà e i pazienti non andranno in dialisi. I costi andranno valutati anche in relazione al risparmio per il servizio sanitario: i pazienti non andranno in dialisi, non avranno bisogno di un trapianto e non andranno incontro alle complicanze associate a queste condizioni. La sfida consiste quindi nel far capire che lo sviluppo di farmaci per le malattie rare rappresenta un investimento vantaggioso. Parallelamente, poi, bisogna agire a livello legislativo perché il prezzo dei farmaci sia equo. Stiamo parlando di un bisogno di salute: è chiaro che se la logica diventa quella del profitto questo presupposto viene a cadere.

In che modo vengono coinvolti i pazienti negli studi condotti al centro?
La partecipazione di un paziente a un progetto di ricerca avviene quasi sempre grazie alla segnalazione del suo medico di riferimento, lo specialista che lo segue vicino al suo domicilio e che lo informa della opportunità. Il paziente sta con noi, partecipa allo studio clinico per il tempo necessario e viene trattato con farmaci potenzialmente utili senza mai perdere il contatto con il suo centro. La nostra attività si affianca a quella di chi lavora negli ospedali, non si sostituisce a essa. La partecipazione dei pazienti è molto sentita; chi ha un problema di salute è ansioso di trovare qualcuno che si occupi della sua malattia e i malati diventano i nostri migliori alleati. Ogni volta che ne abbiamo la possibilità organizziamo incontri dedicati durante i quali i pazienti ricevono informazioni aggiornate dai ricercatori dell’Istituto e dai partner delle ricerche. Gli esperti si mettono a disposizione per spiegare le caratteristiche della malattia, descrivono i progetti in corso, rispondono alle domande degli interessati e anche loro imparano dagli ammalati.