Skip to main content
Rarità Articoli

Far emergere l’invisibile nel mare magnum dei dati

Dai registri e flussi informativi correnti a un sistema integrato per le malattie rare.

Paola Facchin

Responsabile Coordinamento Malattie rare del Veneto, Dipartimento Salute donna e bambino, Università di Padova

By Giugno 2018Luglio 31st, 2020Nessun commento

In tema di malattie rare, la rarità si associa alla loro frammentazione in forme che di rado si raccolgono in gruppi riconosciuti e progressivamente aggregati. Da ciò deriva l’invisibilità, ovvero l’assenza di molte malattie rare nella classificazione internazionale delle malattie (Icd, International statistical classification of diseases, injuries and causes of death) e quindi l’impossibilità di essere codificate nei flussi informativi correnti. Rarità e invisibilità determinano la percezione che, in sanità pubblica, quello delle malattie rare sia un problema di nicchia da affrontare solo per le difficoltà aggiuntive che ne derivano per i singoli malati.

Il problema è che diverse centinaia di registri si sovrappongono, con scarsissima comunicazione tra loro.

I registri tra punti di forza e di debolezza
L’invisibilità ostacola l’acquisizione di nuove conoscenze sia in ambito clinico (per esempio, storie naturali, variabilità e rapporti genotipo fenotipo) che di programmazione sanitaria (per esempio, la prevalenza e l’impatto delle malattie rare). Per ovviare a ciò è possibile correggere i contenuti e la logica dei sistemi di classificazione utilizzati nei flussi informativi correnti in sanità oppure mettere a punto rilevazioni ad hoc. Quest’ultima opzione ha portato alla proliferazione di registri dedicati. I primi a sorgere sono stati i registri di singole patologie, nati in grandi centri con ampia casistica ed estesi a reti internazionali di centri con l’obiettivo di produrre l’informazione clinica mancante e stimare inoltre le occorrenze delle malattie rare. Tuttavia l’uso improprio di questi dati, da cui derivano quasi tutte le prevalenze delle malattie, è causa in parte della variabilità delle stime in letteratura. I registri di patologia soffrono di importanti limitazioni dovute alla distorsione che la fonte, cioè il centro, determina, e alla mancanza di una chiara popolazione di riferimento. I casi raccolti e seguiti dai centri non sono uguali agli altri per esordio, presentazione clinica, evoluzione, persone coinvolte, ecc. Quindi anche il quadro clini co desunto non è trasferibile all’universo dei nuovi casi. Inoltre questi registri descrivono solo una specifica patologia e, non essendo interoperabili, non permettono una visione sistematica delle malattie rare e delle sovrapposizioni tra malattie rare diverse.

La mancanza di un denominatore di riferimento pone infine difficoltà nel calcolo delle occorrenze. Oltre seimila malattie rare dovrebbero generare altrettanti registri, creando un sistema ingovernabile e difficilmente sostenibile. La messa in commercio di farmaci orfani, con prove di efficacia e sicurezza limitate, ha richiesto lo sviluppo di monitoraggi postmarketing o registri per farmaco. La frammentazione dei monitoraggi è così aggravata dalla comparsa di registri per patologia e per farmaco. Si sono poi sviluppati anche i registri dei pazienti, ovvero sistemi di monitoraggio indipendenti generati e gestiti dagli stessi pazienti che li alimentano. Il problema è che, allo stato attuale, diverse centinaia di registri si sovrappongono, con scarsissima comunicazione tra loro. Un paziente può essere incluso in uno o più registri, pesando così in modo diverso da un altro nel generare nuova conoscenza.

Alla ricerca dell’interoperabilità
L’Unione europea ha cercato di rendere più sostenibile questo sistema di registri, lanciando più progetti tendenti a realizzare la loro interoperabilità tecnologica, semantica, di obiettivi, di procedure, ecc. Tali progetti hanno ottenuto risultati solo parziali e si stanno ora concentrando nell’identificare un pacchetto minimo di dati comuni ai diversi registri, rinunciando a parte della ricchezza informativa prodotta. Le difficoltà descritte sono aggravate dalla creazione di banche dati per loci genici e mutazioni, con la logica del genotipo e non quella del fenotipo. Le due logiche appaiono divergenti e pongono dubbi perfino su cosa si debba considerare malattia.

In diversi paesi, tra cui Italia, Spagna, Francia, oltre ai registri di patologia, farmaci e pazienti si sono sviluppati i registri di popolazione che coprono ambiti territoriali diversi fino a milioni di abitanti, generando stime di occorrenza attendibili. Sono essenzialmente di due tipi: quelli con una o più fonti attive che registrano il malato come attività propria ed esclusiva, o quelli in cui la registrazione del malato e di altri dati è all’interno di un sistema informativo creato per gestire le attività di assistenza da cui, in seconda istanza, prende forma il registro di popolazione. I vantaggi di questa seconda impostazione sono evidenti per completezza della raccolta, ricchezza dell’informazione e sostenibilità. Tuttavia, essa richiede un periodo piuttosto prolungato di funzionamento per raggiungere una copertura accettabile e una programmazione che la supporti. Questa soluzione monitora ad oggi oltre 20 milioni di italiani, una copertura realizzata attraverso accordi tra regioni. Da questo registro si generano i dati per definire prevalenza e impatto globale delle malattie rare, anche rispetto ad altri gruppi di patologie.

Per ovviare all’invisibilità delle malattie rare, oltre ai registri, si possono adattare ad esse i sistemi di classificazione usati nei flussi informativi correnti. L’Organizzazione mondiale della sanità sta immettendo numerose malattie rare all’interno del nuovo Icd-11. Tuttavia i limiti di tale attività sono il numero delle malattie rare integrabili e il dover inserire ciascuna di esse, per quanto eterogenea e sistemica, in un solo capitolo ordinato per sistema/organo. Le caratteristiche delle malattie rare sono invece ben rappresentate nella classificazione Orphanet per le malattie rare (ORPHAcode). Per integrare le due classificazioni bisogna armonizzare le loro logiche: gerarchica e unidimensionale per l’Icd (una malattia, un codice e una sede, diverse granularità), gerarchica e multidimensionale per l’ORPHAcode (una malattia, uno stesso codice presente in più rami, diverse granularità). L’Unione europea ha quindi lanciato una azione congiunta che ha già prodotto una linearizzazione tra i due sistemi. Per verificarne la fattibilità concreta sono in corso sperimentazioni in più paesi e setting assistenziali.

Il futuro sta in un sistema integrato.

In conclusione, il futuro sta in un sistema integrato che si basi su registri di popolazione che monitorino aree definite, capaci sia di produrre dati epidemiologici attendibili sia di raccogliere dati di dettaglio clinici e genetici, così come su flussi informativi correnti con classificazioni integrate, in grado di stimare l’impatto e l’utilizzo delle risorse per le persone con malattie rare.

Con la collaborazione di Monica Mazzucato, Silvia Manea e Sara Barbieri, Registro Malattie rare del Veneto, Coordinamento Malattie rare del Veneto.