I robot hanno esteso sempre più le proprie capacità di percezione, manipolazione e memoria diventando i protagonisti “intelligenti” di applicazioni che solo fino a poche anni fa erano impensabili. I primi a essere definiti “intelligenti” sono stati dei semplici algoritmi con capacità di induzione logica. Altro non sono che dei software che, sulla base di affermazioni e ragionamenti logici precostituiti dal programmatore, sono in grado di valutarne le conseguenze e di fare delle scelte. Le macchine o robot che ne sono dotati svolgono compiti anche complessi, come giocare a tris o a scacchi, scegliendo sempre quella ottimale tra tutte le possibili combinazioni programmate. Ora stiamo entrando in una nuova era dell’intelligenza artificiale – quella della machine learning – in cui il robot impara le regole di comportamento tramite interazione diretta o apprendendo tutte le informazioni necessarie da filmati di esempio. Questi sistemi sono in grado di imparare autonomamente, senza essere programmati, attraverso algoritmi di apprendimento statistico (come per esempio il reinforcement learning), esibendo capacità di ragionamento e di comprensione simili a quelle dell’operatore umano. C’è tuttavia una differenza sostanziale tra l’intelligenza-robotica artificiale di prima generazione, dove l’uomo generava per il robot un insieme di regole infallibili, e quella di nuova generazione in cui si cerca di ottenere robot inferenziali in grado di produrre regole comportamentali con prestazioni uguali o migliori a quelle dell’uomo. Come avviene per l’esperienza umana, le regole sono il prodotto combinato della esperienza fornita al robot e della sua capacità di organizzare e generalizzare le regole logiche. In quanto tali, queste regole sono determinate da due fattori probabilistici. Ciò significa che i robot programmati con i nuovi algoritmi di intelligenza artificiale non sono infallibili ma sono statisticamente (o meglio, probabilisticamente) altamente affidabili: il robot apprende dall’operatore umano fino a superarlo nel momento in cui garantisce un rischio più basso di errore e incidenti. La sfida è di alzare sempre più il livello del supporto del calcolatore e dell’informatica nello svolgimento di compiti anche complessi con macchine che superano i limiti umani.
Le macchine alleate dell’uomo
La dicotomia dell’intelligenza, intesa come possibilità di suddividere il lavoro in due parti dando all’uomo il potere decisionale e al robot quello di raccolta dati e interpretativi, ha già mostrato e mostra attualmente enormi potenziali di sinergia tra le abilità umane e quelle delle macchine. A titolo di esempio, il sistema uomo-macchina è già presente in diversi campi del settore sanitario e medico. Basti pensare alle analisi del sangue, alla risonanza magnetica e alla tac, in cui l’uomo valuta i risultati e le informazioni prodotti dalle macchine, oppure alla chirurgia robotica. Ad oggi sono sempre più numerosi i campi di applicazione in cui si ritiene che il supporto delle macchine sia diventato fondamentale per l’efficacia della diagnosi e della cura. Tuttavia, se da una parte vi è un interesse all’introduzione di sistemi automatizzati in alcuni ambiti della medicina, dall’altra, soprattutto quando si tratta della introduzione di macchine in procedure ormai consolidate, vi è un forte scetticismo sulle loro capacità di sostituire appieno, o almeno integrare, il lavoro svolto dall’operatore sanitario. Un settore dove probabilmente i tempi sono ancora prematuri è quello della riabilitazione robotica nonostante i primi concept siano stati sviluppati già diverse decine di anni fa. Si ritiene infatti che l’opera del fisioterapista sia impareggiabile rispetto a quella del robot, sebbene in alcuni studi clinici i risultati ottenuti con i robot siano stati migliori. La comparazione deve tener conto sia del valore garantito dal fisioterapista nel programma riabilitativo sia del valore prodotto da un robot con una riabilitazione più tecnica e mirata e, in parte, anche più prolungata rispetto al percorso tradizionale stesso. Un altro punto fondamentale che sposta l’ago della bilancia è quello economico, cioè quali i benefici e a fronte di quali costi. A titolo di esempio, se per gestire una determinata patologia un robot costa 170.000 euro l’anno e una persona 120.000 euro l’anno, nessun gestore o investitore pubblico immaginerebbe di sostituire il lavoro dell’essere umano con quello robotizzato e automatizzato di una macchina. Una tale decisione deve essere sostenuta da vantaggi concreti, evidenti e ineccepibili dal punto di vista della salute e del livello di qualità raggiunto, oppure da vantaggi economici a parità di risultati raggiunti in termini di riduzione dei costi. Un altro fattore critico è quello del livello di rischio, della sicurezza e della responsabilità. Nel momento in cui un paziente riceve un danno biologico per una procedura clinica oppure una diagnosi sbagliata, la prassi giuridica è quella di attribuire la colpa non alla macchina ma al medico che l’ha utilizzata. Ragion per cui, prima di adottare una nuova macchina, il medico ha bisogno di una certa confidenza e certezza nella qualità e continuità di servizio e delle prestazioni della macchina, altrimenti non accetterà mai di far propria questa innovazione. La diffidenza non è collegata tanto a uno scetticismo assoluto verso la macchina, quanto piuttosto a un bisogno di sicurezza del medico di potersi fidare della macchina stessa.
Un falso pericolo in agguato
Un pericolo spesso prospettato è che l’intelligenza artificiale delle macchine raggiunga presto una tale autonomia decisionale da poter escludere in tutto e per tutto l’uomo nell’esercizio di arti e professioni, con il rischio di arrivare a robotizzare gran parte dei posti di lavoro. Già oggi, in alcuni settori, determinati lavori tipicamente svolti dall’uomo vengono affidati alle macchine. Negli anni le macchine andranno a sostituire gli esseri umani in quelle attività manuali in cui è a rischio la salute o si richiede un grande sforzo e laddove risulti economicamente conveniente. L’errore comune che purtroppo si commette è quello di attribuire tale cambiamento sociale a una responsabilità della ricerca e alle macchine stesse. I robot non hanno una volontà propria e pertanto non dovrebbero venire additati come un pericolo. Non è il robot a sostituire l’uomo, bensì è l’uomo a decidere se e quando un robot può sostituirlo e in quale settore. Allo stesso modo, non è tanto il robot che sta prendendo il posto dei lavoratori, ma è l’economia che si sta trasformando e con essa anche il mercato del lavoro per stare al passo con i tempi. Questo non deve tuttavia essere considerato come un aspetto negativo, nel momento in cui le tempistiche di trasformazione sociale siano tali da consentire al mercato del lavoro una trasformazione continua e complementare. Oggi nessuno vede il trattore che ha sostituito il contadino e la sua zappa come un pericolo ma piuttosto come un progresso. Ciò che si può e si dovrebbe tentare di capire è se una introduzione dei robot sia oggi prematura oppure se sia già al passo con i tempi. Ogni innovazione trasforma l’ambiente e la società stessa in cui viene introdotta; pertanto, l’integrazione progressiva dei robot nei processi produttivi è una scelta a tutti gli effetti economica e anche politica.
Come si trasforma la società
Altro elemento chiave da prendere in considerazione, oltre alla capacità del robot di assolvere compiti particolari, è la predisposizione del gruppo sociale destinato a ospitarlo di interagire e condividere le proprie azioni con l’elemento robotico. Un fenomeno psicologico alquanto noto in letteratura è la cosiddetta uncanny-valley, la tendenza cioè di una persona ad accettare facilmente oggetti, persone e/o entità molto differenti da un originale, piuttosto che copie leggermente differenti per deformità o assenza di un particolare. Affinché un elemento possa essere accettato è necessario quindi che il suo grado di verosimiglianza con l’oggetto che tende a emulare sia superiore a una soglia prefissata. È verosimile che in ambito sociale l’effetto uncanny-valley stia investendo anche l’intelligenza robotica artificiale. Molti dei tentativi di imitazione del comportamento umano da parte dei risultati di ricerca in robotica negli scorsi anni sono stati considerati buffi, maldestri o addirittura ridicoli, senza comprendere a fondo che l’intelligenza mostrata
Intelligenza artificiale e robot in sanità: tra passato e futuroSecondo un’indagine di Front & Sullivan il mercato dell’intelligenza artificiale per l’healthcare dovrebbe raggiungere 6,6 miliardi di dollari entro il 2021, con un tasso di crescita del 40 per cento. Nei prossimi dieci anni le applicazioni cliniche di robotica e intelligenza artificiale rafforzeranno la diagnosi e la prevenzione.

Fonte: Front & Sullivan. Transforming healthcare through artificial intelligence systems, ottobre 2016.