Le basi concettuali dell’intelligenza artificiale come simulazione dei meccanismi che regolano il funzionamento del cervello umano, in termini teorici e matematici, hanno alle spalle sessant’anni di studi, ma lo sviluppo tecnologico legato ai big data è relativamente recente. L’immensa mole di dati in crescita esponenziale permette di ottemperare a ciò che mancava al calcolatore: grandi dati su cui “esercitarsi” e apprendere in modo autonomo. Indipendentemente dalla funzione per cui viene adottata, l’intelligenza artificiale ha il vantaggio di ridurre i tempi computazionali, non confrontabili col passato o con la capacità d’elaborazione umana, e di migliorare la capacità predittiva.
Per le aziende, immaginare un sistema produttivo in parte automatizzato in grado di abbattere i costi di gestione, ottimizzare i tempi, ridurre le problematiche e anticipare i problemi è diventato una necessità e un obiettivo strategico. Per questo motivo un numero sempre più elevato di industrie focalizza i propri investimenti nella ricerca sull’intelligenza artificiale.
Il settore sanitario non è esente da questa rivoluzione. Nella pratica, già ora, l’intelligenza artificiale può contribuire all’organizzazione degli studi scientifici per renderli meglio consultabili dagli esperti sfruttando tecniche di elaborazione del linguaggio naturale; fornire assistenti virtuali in grado di interagire direttamente con i pazienti; fare diagnosi analizzando l’imaging grazie ad algoritmi di machine learning.
Le grandi aziende hanno proposto soluzioni sempre più all’avanguardia. Google e Ibm hanno investito rispettivamente nei progetti DeepMind e Watson, Microsoft e Softjam hanno sviluppato il sistema SJ-CKD per meglio identificare i pazienti con malattia renale cronica asintomatica in un’ottica di medicina predittiva. La diagnosi precoce presenta il duplice vantaggio di un adeguato trattamento della malattia rallentandone il decorso e di rendere più sostenibili i costi per il sistema.
La premessa è nella cartella clinica digitale e nella condivisione informatizzata dei dati. Proprio in questa direzione si sta muovendo l’Unione europea che nel 2018 prevede di investire una considerevole parte dei 70 miliardi di euro per l’innovazione sulla sanità digitale e i sistemi cloud. Dematerializzare equivale a risparmiare eliminando progressivamente carta e burocrazia. Ma non solo. Abbatterebbe i confini tra i diversi sistemi informativi adottati e si tradurrebbe in una maggiore semplicità nel trasferire dati confrontabili fra i vari stati europei.
Il radicale cambio di paradigma non sarà di semplice attuazione: l’implementazione di tecnologie e metodologie legate all’intelligenza artificiale a realtà poco propense a investire in innovazione sembra essere un traguardo lontano; la gestione della privacy dei dati è questione ancora aperta; il tema della qualità dei dati e del loro utilizzo con funzione predittiva è materia ancora giovane; infine non mancano riflessioni più ampie di tipo filosofico.
Non è dato sapere se sarà una scommessa vinta. Non esiste intelligenza – umana o artificiale – in grado di predire il futuro: comunque andrà, avremo bisogno di entrambe.