Qual è la governance del Ministero della salute per il supporto alla ricerca biomedica e clinica italiana?
Il Ministero della salute è un nodo della rete della ricerca sanitaria italiana, formata dalle diverse strutture di ricerca del Servizio sanitario nazionale, quali Istituto superiore di sanità, Agenas, Inail, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pubblici e privati, istituti zooprofilattici sperimentali, aziende ospedaliere universitarie e altre aziende sanitarie e ospedaliere e, non ultime, le amministrazioni regionali. Il Ministero dell’università e della ricerca (Miur) rappresenta l’organo istituzionale deputato all’orientamento della ricerca e sviluppo nel nostro paese con la definizione del Piano nazionale della ricerca e con un’azione di coordinamento nei confronti delle altre amministrazioni. In questa rete il Ministero della salute è allo stesso tempo coordinatore e coordinato rispetto agli altri nodi della rete che costituiscono la governance della ricerca. Il compito del Ministero della salute è principalmente quello di coordinare le strutture di ricerca e di governare l’infrastruttura insieme alle regioni, attraverso la definizione di linee programmatiche coerenti con le priorità individuate dal governo e che, ad oggi, si sostanziano in due documenti fondamentali: il Programma nazionale della ricerca, cui accennavo prima, e la Strategia nazionale di specializzazione intelligente, alla cui definizione il Ministero della salute ha partecipato sotto il coordinamento del Miur e del Ministero dello sviluppo economico. La Strategia, in particolare, individua le aree su cui investire per promuovere la costituzione, nel paese, di una filiera in grado di trasferire i risultati della ricerca e dell’innovazione in un vantaggio competitivo per il sistema produttivo e in un aumento del benessere dei cittadini. Se la governance di questa rete funziona bene, abbiamo un sistema virtuoso.
Il Ministero della salute è allo stesso tempo coordinatore e coordinato rispetto agli altri nodi della rete che costituiscono la governance della ricerca.
Le competenze che peso hanno nella governance della ricerca?
La filiera della ricerca è composta da profili professionali differenti che vanno dai ricercatori in discipline diverse a nuove competenze amministrativo-gestionali specialistiche, ormai indispensabili, tanto per la conduzione delle sperimentazioni quanto per dare impulso alla produttività e competitività della ricerca stessa. Penso, per esempio, alle professionalità operanti nei grant office e negli uffici per il trasferimento tecnologico. I primi sono finalizzati sia a supportare i ricercatori, nella partecipazione ai bandi di ricerca e rendicontazione delle loro sperimentazioni, sia a individuare opportunità di finanziamento e settori di ricerca valorizzabili. Dove è presente un grant office efficiente si hanno ottime performance; dove manca, invece, i risultati raggiunti non sono altrettanto soddisfacenti e non perché i ricercatori sono meno preparati ma per la mancanza di un’infrastruttura in grado di supportarli. Gli uffici per il trasferimento tecnologico, invece, garantiscono la tutela e la valorizzazione della proprietà intellettuale di un’idea nata da una ricerca intramuraria – come, per esempio, una nuova soluzione di cura per i pazienti – aumentandone la possibilità di essere commercializzata. Il trasferimento tecnologico è fondamentale per dare alla ricerca sanitaria uno sbocco pratico nel mondo reale a vantaggio dei pazienti, non relegandola solo alle pubblicazioni scientifiche e ai convegni.
Approfitto della domanda per affrontare uno dei principali problemi della ricerca sanitaria (e non solo) italiana: il precariato. Mi riferisco soprattutto agli Irccs pubblici che devono attenersi alle regole della pubblica amministrazione e non godono dei margini di libertà che i privati hanno nelle scelte contrattuali. Negli istituti lavorano circa 4-5000 professionisti con contratti atipici, una condizione di precariato che per circa 3000 di essi dura da più di tre anni. Con i decreti attuativi per la riforma della pubblica amministrazione, voluti dal ministro Madia, si avrà un processo graduale di stabilizzazione di medici, infermieri, tecnici e altro personale che da diversi anni lavorano in condizioni di precariato nel Sistema sanitario nazionale; tuttavia le procedure di stabilizzazione non potranno riguardare le figure professionali della ricerca, perché spesso non è prevista una specifica dotazione organica. Come Ministero abbiamo quindi affrontato la questione partendo da una mappatura delle figure professionali che ruotano appunto attorno alla ricerca sanitaria. Coinvolgendo in una prima fase gli Irccs e in una seconda fase, attraverso una consultazione online, la platea degli operatori della ricerca sanitaria, abbiamo individuato 44 figure professionali tra ricercatori e personale addetto alla ricerca, e abbiamo definito mansioni, requisiti di assunzione ed eventuali altri titoli preferenziali. Sulla base della ricognizione, il ministro ha formulato una proposta specifica, che in questi giorni è in discussione per la presentazione nel corso della discussione parlamentare sulla legge di bilancio per il 2018.
Qual è una possibile soluzione per uscire dal precariato?
La nostra proposta è un percorso di sviluppo professionale del ricercatore con un contratto di assunzione di cinque anni più cinque, al quale si accede attraverso concorso pubblico. È prevista una progressione economica sulla base di criteri di valutazione. Al termine del percorso, se si raggiungono gli standard professionali prefissati si entra di ruolo nel Servizio sanitario nazionale nel settore della ricerca o in quello assistenziale. L’attuazione dell’intero percorso è vincolata non solo alle performance professionali del singolo ma anche alla disponibilità economica dell’istituto dal quale si è stati assunti. In questo modo l’istituto e il personale coinvolto sono ulteriormente stimolati a reperire dei fondi competitivi provenienti dai bandi di ricerca in quanto indispensabili per garantire anche il percorso di carriera.
Come sostenere l’infrastruttura della ricerca degli Irccs al di là dei singoli bandi?
Tre le voci principali dei finanziamenti ministeriali per la ricerca: la prima riguarda la ricerca finalizzata erogata attraverso i bandi rivolti a tutti gli enti del Servizio sanitario nazionale; la seconda il conto capitale per l’acquisto delle attrezzature scientifiche degli Irccs, con particolare attenzione all’acquisizione di strumentazione ad alta tecnologia di ultima generazione; infine, la terza voce è quella della ricerca corrente che raccoglie la parte più consistente del fondo, impegnata per l’attività di ricerca scientifica degli Irccs. Per sviluppare conoscenze fondamentali in settori specifici della biomedicina e della sanità pubblica, un fondo di circa 150 milioni di euro viene ripartito annualmente fra gli Irccs attraverso un meccanismo premiale basato su una serie di criteri adottati triennalmente che riguardano la ricerca, la qualità clinica e la capacità di fare rete. La produzione scientifica uno degli elementi presi in considerazione per la valutazione delle attività degli istituti e la crescita di ciascun Irccs viene misurata in rapporto a quanto è cresciuta l’intera rete di Irccs. Questo meccanismo permette di garantire una continuità dei finanziamenti e quindi della ricerca, e allo stesso tempo di stimolare una sana competizione tra gli istituti secondo il principio di equità: premiare quelli che più si impegnano.
Un meccanismo che permette di garantire una continuità dei finanziamenti e, allo stesso tempo, di premiare quelli che più si impegnano.
Come conciliare la competizione con la cooperazione degli Irccs?
La formazione di reti della ricerca è uno dei cavalli di battaglia nelle azioni politiche del Ministero della salute. La prima rete a formarsi è stata quella di Alleanza contro il cancro, a seguire hanno fatto il loro ingresso la rete neurologica, la rete cardiologica e la rete pediatrica. A queste si sta aggiungendo un network nazionale dedicato all’invecchiamento sviluppatosi a partire da un’associazione già esistente – Italia longeva – con l’adesione di diversi Irccs, mentre si sta discutendo di una rete dedicata alla dermatologia. Sono reti formate da più Irccs che condividono progetti di ricerca finanziati direttamente dal Ministero della salute. Nel 2017 il Ministero della salute aveva investito cinque milioni di euro sui cosiddetti progetti di rete, cui si sono aggiunti in corso d’anno altri venti milioni provenienti dal Fondo per l’innovazione previsto dalla Legge di bilancio. Il lavoro di squadra ha un impatto importante sul sistema perché permette di garantire una significativa massa critica e di ottenere delle risposte sull’intero territorio nazionale nei confronti dei pazienti. Una maggiore massa critica si traduce in una maggiore produttività scientifica, che permette di essere attrattivi sia per i clinical trial sia per i bandi comunitari. Le reti sono quindi un valore aggiunto per il sistema sul quale conviene investire.
Le reti sono un valore aggiunto per il sistema sul quale conviene investire.
Considerato l’alto numero di proposte della ricerca finalizzata esiste un programma di priority setting per selezionare gli studi effettivamente utili a migliorare la conoscenza e la cura nell’ambito del Sistema sanitario nazionale?
Il priority setting è un tema molto delicato che deve essere affrontato con una certa cautela e lungimiranza. Il rischio infatti è di ingabbiare la ricerca che, per definizione, tende a esplorare terreni nuovi. Quindi dobbiamo porre attenzione al trade off tra lasciare completamente libera la scelta delle tematiche (con il rischio di disperdere le risorse) e fissare in maniera rigida le priorità, irreggimentando la ricerca su terreni consolidati, ma per ciò stesso già percorsi.
Non c’è il rischio di seguire le mode nella ricerca…
Infatti, la soluzione non è investire tout court su qualsiasi filone di ricerca ma di capire cosa finanziare e quali sono gli strumenti di programmazione per definire i filoni della ricerca, all’interno dei quali, però, i ricercatori devono avere libertà di azione. La Strategia nazionale di specializzazione intelligente, per esempio, specifica le traiettorie di sviluppo sulle quali investire nel lungo periodo, condivise con le regioni e i principali stakeholder. L’individuazione delle priorità di investimento, a livello nazionale e di singola regione, è affidata ad un processo di scoperta imprenditoriale che coinvolge il settore pubblico e quello privato. Nell’area “Salute, alimentazione, qualità della vita” le priorità così individuate sono la silver economy per l’invecchiamento attivo e sano della popolazione, la medicina personalizzata, l’e-health, le biotecnologie e la nutraceutica e nutrigenomica. Il compito del Ministero della salute è di definire sulla base delle proposte del Comitato tecnico sanitario il programma nazionale di ricerca sanitaria in cui vengono specificate le priorità sulla base delle aree definite dal Programma nazionale della ricerca e dalla Strategia nazionale di specializzazione intelligente. Il percorso viene discusso con le regioni insieme alle quali si definiscono anche le priorità utili per il servizio sanitario. Gli strumenti di programmazione quindi ci sono, ma devono lasciare lo spazio ai ricercatori di interpretare le linee indicate e di andare ad aprire nuove strade per non seminare sempre in campi già arati e magari anche seminati.
Serve capire cosa finanziare e come programma i filoni della ricerca all’interno dei quali, però, i ricercatori devono avere libertà di azione.
Quali iniziative sono state lanciate per favorire l’internazionalizzazione della ricerca?
La partecipazione dei nostri centri di ricerca ai bandi comunitari è ancora insoddisfacente, ma possiamo fare di più. La Direzione generale della ricerca e innovazione in sanità del Ministero della salute è attivamente impegnata nell’internazionalizzazione della ricerca e, in particolare, nelle azioni congiunte con altri paesi europei. Il Ministero della salute ha ampiamente supportato i progetti cofinanziati afferenti alla European research area (EraNet) perché permettono da un lato, di entrare nella logica dei bandi comunitari (capire come si strutturano, come articolare la rendicontazione, ecc.), dall’altro di creare dei consorzi internazionali, insieme ai quali sviluppare nuove collaborazioni o consolidare quelle già in corso. Questo permette di interagire, formando e rafforzando legami comunitari utili in un contesto competitivo. Una quota dei fondi ministeriali della ricerca corrente è riservata specificamente ai progetti EraNet, cofinanzianti appunto per incoraggiare gli Irccs a partecipare ai progetti europei. Inoltre stiamo cercando un partner che ci supporti nella relazione verso l’Europa garantendoci un collegamento stabile e continuo, perché è fondamentale innanzitutto avere la conoscenza e anche la capacità di interagire e di farlo al momento giusto. Quindi, delle azioni sono state intraprese e alcuni risultati sono stati ottenuti. Serve continuare su questa strada per migliorarsi, esaminando le esperienze di insuccesso con l’obiettivo di mettere a fuoco quali sono e come superare i problemi maggiori che ostacolano la nostra partecipazione ai bandi comunitari. Con i grant office degli Irccs ci stiamo muovendo in questa direzione.