Sicurezza e gestione del rischio stradale sono settori di grande interesse sia per le amministrazioni pubbliche sia per le industrie private: può farci qualche esempio di ricerca disegnata e condotta in sinergia?
Negli ultimi anni assistiamo sempre più alle cosiddette public-private partnership, se non addirittura a consorzi in cui pubbliche amministrazioni, aziende private e centri di ricerca collaborano per lo sviluppo di infrastrutture e le tecnologie di ultima generazione che garantiscano una maggiore sicurezza stradale e contemporaneamente un migliore il comfort dei vari utenti della strada, in particolar modo i più vulnerabili (per esempio, ciclisti e pedoni).
Con un conseguente impatto anche sui costi sanitari. Un esempio è il progetto europeo Xcycle sulla sicurezza stradale, al quale sto lavorando da circa due anni, in cui sono coinvolti alcune università europee, tra cui l’università di Bologna, alcuni comuni europei, tra cui Cesena, che si offrono come sito per svolgere dei test, e aziende automobilistiche come Volvo particolarmente attente ai temi della sicurezza.
Quale apporto possono dare le università alla ricerca per la mobilità sostenibile? Quali competenze, soprattutto, sono più utili alle imprese?
Certamente i centri universitari e di ricerca possono favorire una maggiore comprensione di quei fattori umani che possono contribuire agli incidenti stradali. Si pensi al tema della distrazione alla guida legato all’uso di smartphone (ormai un device personale che ha molte funzioni non più quella di telefonare). È necessario comprendere come l’essere umano si interfaccia con le nuove tecnologie e i possibile effetti indesiderati dell’u so di queste, in ogni suo settore, dal manifatturiero al settore puramente informatico ma anche quello sanitario. Gli studi scientifici possono aiutarci a comprendere quale design, interfaccia, input o warning sia più efficace per rendere una tecnologia (che funziona) il più facilmente usabile e accettabile dall’utente. Per quanto utile o avanzata una tecnologia possa essere, se non è compresa, accettata e considerata affidabile dall’utente, difficilmente verrà utilizzata (e potenzialmente acquistata).
E quali competenze – o risorse – del “privato” possono tornare utili alla ricerca accademica?
Se la ricerca accademica è necessaria per supportare l’intero processo produttivo perché ha dalla sua le più recenti conoscenze e competenze per analizzare le varie problematiche, il privato è necessario per rendere tutto concretizzabile e generare progresso. Un rischio che in termini di ricerca accademica non possiamo correre è di rimanere a un livello di analisi troppo astratto o di arrivare in ritardo. Si pensi, per esempio, alla corsa sui veicoli a guida autonoma da parte delle aziende, non solo automobilistiche, ma anche informatiche o di telecomunicazione. La quarta rivoluzione industriale ha importanti implicazioni sia a livello di processo produttivo sia a livello di comportamenti umani. La trasformazione per certi aspetti è totale. E il privato oggi può valorizzare al meglio questo periodo di transizione finanziando e investendo su giovani studentesse e studenti, ad esempio tramite dottorati, per “aggredire” le nuove sfide, un po’ anche “fuori dagli schemi”, che è un ingrediente necessario per fare innovazione.
“Aggredire” le nuove sfide, un po’ anche fuori dagli schemi, è un ingrediente necessario per fare innovazione.
Le direttive regolatorie sulla “mobilità sostenibile” possono tradursi in maggiori difficoltà per le industrie: le istituzione come possono compensare l’impegno delle aziende dell’auto verso un minore impatto ambientale?
Sostenibilità non necessariamente deve tradursi in restrizioni o vincoli, ma anzi può incentivare la possibilità di ampliare il proprio bagaglio di opportunità e di settori sottovalutati o poco considerati. Le istituzioni si stanno già muovendo in questa direzione tramite incentivi o riducendo la pressione che ormai ricade sul processo industriale qualora l’azienda in questione si stia impegnando nel ridurre il proprio impatto ambientale. È necessario sia cambiare i comportamenti a livello collettivo sia facilitare i cambiamenti organizzativi verso forme di trasporto smart, green ed efficienti, come è sostenuto nel programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020.