Grandi e piccole organizzazioni sono diventate portatrici delle battaglie contro tumori, malattie rare, leucemie, sclerosi multiple e altre malattie. In quale misura la patologia impatta sul valore della buona causa? È più facile sensibilizzare i cittadini e le aziende a sostenere la ricerca per le malattie rare o per i tumori o per una malattia neurodegenerativa?
Sicuramente la maggiore diffusione e il più alto impatto emotivo e psicologico sull’opinione pubblica di una patologia piuttosto che di un’altra rendono più facile, immediato e probabile il fatto che le persone decidano di sostenere quella buona causa. D’altra parte va detto che, se un’organizzazione fa una comunicazione di eccellente qualità, si possono raggiungere risultati che contrastano con quanto appena affermato, come dimostrano alcune realtà del terzo settore: la Fondazione Telethon, che in Italia si occupa delle malattie rare, ha una raccolta fondi annuale da 60 milioni di euro in Italia; l’Associazione italiana per la sclerosi multipla ne raccoglie intorno ai 30 milioni; l’associazione francese contro le miopatie è oltre 100 milioni di euro. Si può arrivare al grande pubblico anche con una causa a impatto percentualmente minore sulla comunità, purché si faccia un’attività di testimonianza e di comunicazione continua attraverso un piano di comunicazione strutturato, professionale e sistematico nel tempo. In questo modo i valori percentuali della raccolta saranno enormemente superiori a quelli che ci si potrebbe aspettare considerando il numero di pazienti rappresentati da quella malattia. Allo stesso tempo però la bravura del comunicatore non basta, se un’organizzazione ha una locazione dei fondi improduttiva o non chiaramente descritta: se non si allocano nel modo migliore le risorse per la ricerca scientifica e biomedica (ma non solo, ovviamente), non si avranno donatori, perché un donatore decide di contribuire alla causa solo sulla base di una proposta convincente e del livello di affidabilità dell’organizzazione, che deve confermarsi sana e capace di rispettare quanto ha promesso.
Far leva sulle emozioni può indurre a una donazione istintiva, ma non farà mai di quel donatore un donatore fedele nel tempo.
Quanto è utile investire nella comunicazione per sostenere la ricerca con il coinvolgimento di chi la finanzia con le sue donazioni?
In generale il coinvolgimento richiede che le persone siano prima di tutto informate e convinte che valga la pena spendersi per una causa piuttosto che per un’altra. Nel nostro ambito spendersi vuol dire donare – poco o tanto, secondo le proprie possibilità. Una scelta alla quale si arriva in virtù di una relazione che si è costruita e delle informazioni ricevute, che sono risultate pari a quelle attese se non addirittura superiori. Nella comunicazione, far leva sulle emozioni della buona causa può indurre a una donazione istintiva, ma non farà di quel donatore un donatore fedele nel tempo. Il donatore diventa fedele se convinto che l’organizzazione rendiconta in maniera chiara e trasparente come sta spendendo quel denaro e, soprattutto, i risultati già acquisiti e quelli potenzialmente acquisibili nel prossimo futuro grazie alla sua donazione e al suo coinvolgimento. Airc è la prima organizzazione italiana per quantità di denaro raccolto e per numero di donatori, con una raccolta fondi da 138 milioni di euro nel 2016, insieme alla sua fondazione Firc, e circa 4 milioni e mezzo di sostenitori, tenendo conto del cinque per mille e delle diverse forme possibili di donazione offerte al pubblico. Non saremmo quello che siamo se non avessimo un impianto di comunicazione costante durante tutto il corso dell’anno, operativo su più canali e con diversi linguaggi a seconda del pubblico a cui ci rivolgiamo, mirato al coinvolgimento dei nostri sostenitori nella buona causa di promuovere nuove strategie di ricerca e individuare nuove terapie contro il cancro sempre più efficaci.
È frequente che la raccolta fondi sia percepita dai donatori come un’attività per finanziare solo dei singoli progetti di ricerca, quando in realtà gli istituti di ricerca hanno bisogno anche di fondi strutturali per far funzionare la macchina della ricerca. Come ovviare a questo problema?
Nell’opinione generale pagare un costo strutturale non è desiderabile, mentre lo è sicuramente immaginare che il proprio denaro vada integralmente a finanziare il progetto di ricerca. A nessun donatore fa piacere pensare che il proprio denaro serva per tenere accesa la luce dell’istituto o riscaldare il laboratorio né lo gratifica pensare che parte della sua donazione possa andare al responsabile amministrativo di quell’istituto. Spiegare però che sostenere la ricerca significa sì finanziare i progetti di ricerca, ma anche l’organizzazione indispensabile per realizzarli, è un’informazione non solo corretta ma anche educativa. Ragion per cui nel nostro bilancio rappresentiamo sempre in modo molto chiaro quanto costa sostenere Airc nella sua interezza, dal progetto di ricerca fi no alle sue strutture interne, che sono finanziate attraverso le donazioni ricevute. L’Istituto Firc di oncologia molecolare della nostra fondazione riceve 12 milioni e mezzo di euro ogni anno destinati alla copertura degli oneri del personale, ai servizi scientifici e alle attività di supporto alla ricerca. Complessivamente Airc riesce a finanziare il lavoro di 5000 ricercatori attivi nel nostro paese: i principal investigator (i titolari dei grant) hanno uno stipendio già pagato dall’istituto in cui lavorano con il finanziamento che ricevono da Airc possono sostenere altri ricercatori del loro team. Riuscire a sostenere il lavoro di circa 5000 ricercatori italiani è per noi un grande successo, perché significa promuovere la ricerca al più alto livello ma anche coltivare intelligenze e fertilizzare l’ambiente in cui queste persone lavorano, perché i principal investigator selezionati in quanto migliori avranno un impatto anche su tesisti, dottorandi, stagisti e su tutte le persone che ruotano loro intorno e che collaborano con loro.
Spiegare che sostenere una ricerca significa finanziare anche l’infrastruttura necessaria è un’informazione non solo corretta ma anche educativa.
Quanto e come il fundraising può aiutare a fare rete tra le grandi e piccole charity, per esempio chiedendo finanziamenti per bandi congiunti?
Sulla base della mia esperienza le posso dire che raramente nascono delle collaborazioni fra diverse organizzazioni su uno stesso obiettivo, perché mission apparentemente simili sono in realtà diverse. Per esempio, nel campo della ricerca biomedica quasi tutte le organizzazioni hanno come missione sia l’assistenza sia la ricerca. Per Airc sarebbe complicato collaborare con una charity che destina la maggior parte delle donazioni ad attività socioassistenziale e una parte minore alla ricerca. Quindi fare rete fra grandi e piccole charity è difficile se non raro. In questo Telethon è una piccola eccezione. Occupandosi di finanziare la ricerca su migliaia di malattie genetiche rare, Telethon ha deciso di federare le piccole organizzazioni che se ne occupano, con l’obiettivo di non “disperdere” le donazioni raccolte ma di concentrarle per promuovere la ricerca su una determinata malattia, aumentando di conseguenza l’impatto della donazione. Un tipo di fondazioni con cui Airc ha sviluppato partnership sono le fondazioni di origine bancaria, con l’obiettivo di fare rete con dei bandi cofinanziati, per metà dalla fondazione e per l’altra da Airc, focalizzati su materie riferibili alla ricerca sul cancro.
Come funzionano questi bandi cofinanziati dalle fondazioni bancarie?
In alcuni casi questi bandi hanno una dimensione regionale perché la fondazione bancaria partner ha un ambito di interesse statutario solo regionale, mentre in altri casi hanno una dimensione nazionale. Per esempio, la collaborazione con la Fondazione Cariplo si è concretizzata nel Progetto Trideo, con finanziamenti destinati a ricercatori con meno di 40 anni con un progetto estremamente originale e innovativo, che difficilmente verrebbe finanziato all’interno di un bando più tradizionale per il suo elevato livello di rischio. Il primo anno il fondo era destinato a ricercatori che lavoravano in Lombardia o nelle province di Novara e Verbania; mentre nell’edizione successiva si è aperto al resto d’Italia. In questo fare rete la fondazione bancaria contribuisce per metà dell’investimento totale, mentre la valutazione di merito e la selezione del progetto migliore, attraverso un sistema di peer review, spettano ad Airc. In questo modo abbiamo messo al servizio della comunità, e anche al servizio delle fondazioni bancarie, un metodo di valutazione che mette al sicuro la qualità e il rigore del processo di selezione.
Il fundraising può essere uno strumento per fare rete tra ricercatori?
La rete tra ricercatori non è guidata dal fundraising ma dai bandi di ricerca. Se Airc – come fa – pubblica un bando che prevede la formazione di una rete di clinici e scienziati di base per il passaggio dal bancone al letto del paziente, il driver per fare rete è il bando stesso, che consente di ricevere finanziamenti per svolgere un progetto di ricerca con quelle determinate caratteristiche. In questo caso i ricercatori si mettono in rete non per raccogliere fondi ma per scrivere dei grant. Comunque lavorare in rete è una condizione connaturale alla ricerca scientifica. Il progresso scientifico si fonda sulle pubblicazioni su riviste scientifiche in base alla procedura di peer review, quasi sempre a firma di un network di ricercatori. Normalmente il team di ricerca di un laboratorio lavora insieme a gruppi complementari di qualsiasi parte del mondo, in “competizione” con altri gruppi che collaborano sulla stessa ricerca.
La ricerca di finanziamenti può favorire la crescita di competenze trasversali, non solo da parte dei ricercatori ma anche tra chi ha un ruolo manageriale nella ricerca?
La ricerca di fondi per un ricercatore è cosa diversa dal fundraising. Normalmente per ottenere dei grant i laboratori e gli istituti di ricerca devono presentare delle application. Qui entrano in gioco funzioni professionali e manageriali a latere del ricercatore che servono per scrivere delle application chiare, complete e utili ad ottenere il finanziamento per garantire la continuità della ricerca. Esistono anche agenzie specializzate che assistono l’ente di ricerca nel grant writing. In alcuni istituti, accanto alla figura professionale del grant writer c’è anche quella del fundraiser.
Il non profit per la ricerca scientifica è ormai diventato una risorsa insostituibile e fidelizzando la società civile offre la garanzia di poter investire in progetti di lunga durata. È giustificabile il ruolo del fundraising nell’ambito della ricerca biomedica quale strumento per sopperire alla diminuzione di risorse pubbliche?
Da sempre nei paesi occidentali, primi fra tutti gli Usa, la ricerca biomedica viene finanziata sia dal pubblico sia dal privato. Questo modello si sta estendendo anche in altri paesi come l’India e in alcune regioni sudamericane. Il fundraising delle organizzazioni non profit diventa quindi un complemento e non un supplemento delle fonti di finanziamento pubblico. In Italia lo stato investe sulla ricerca circa l’1 per cento del pil, a fronte di una media europea che si attesta attorno al 2 per cento. Tuttavia dovremmo ragionare in termini di numeri assoluti: l’1 per cento del pil italiano equivale a 12 miliardi di euro, che per lo più vanno per i costi strutturali della ricerca di cui si diceva, senza i quali servirebbero a poco o nulla i 100 milioni di euro erogati da Airc in un anno per i progetti di ricerca meritevoli. Senza un tessuto strutturale preesistente particolarmente solido, non ci sarebbe nessuna possibilità di sostenere la ricerca di un paese grande e importante come l’Italia. La funzione di una non profit è quella di mettere benzina nel motore di una Ferrari che già esiste, affinché non resti chiusa in un garage ma continui a correre nell’interesse della comunità non solo italiana ma internazionale. Il suo contributo è centrale e cruciale perché indipendente e non soggetto alle pressioni della politica né interne alle strutture che va a sostenere. Quello che fa Airc con molto successo – e ne siamo orgogliosi – è dotarsi di strumenti di selezione per finanziare in Italia i gruppi di ricerca migliori a livello globale, in modo completo, rigoroso e indipendente da pressioni esterne. Ma se non ci fosse lo stato, il nostro lavoro sarebbe inutile.
Le charity finanziano in maniera indipendente la migliore ricerca, ma mettono comunque benzina in un motore eccellente pagato dallo stato.