La nascita negli Stati Uniti degli institutional review board nei primi anni sessanta è strettamente legata alla dichiarazione di Helsinki firmata nel 1964. L’intento è infatti quello di proteggere le persone che partecipano agli studi, ma soprattutto di promuovere il diritto dei cittadini-pazienti a essere inclusi in ricerche che mirano a produrre risposte innovative per bisogni inevasi [1,2]. E in tale contesto, degli institutional review board e i corrispettivi comitati etici per la ricerca europei rappresentano strumenti di garanzia anche per le strutture sanitarie: includere i pazienti in uno studio è la migliore forma di assistenza, quando non si è in grado di fornire risposte adeguate in base alle conoscenze disponibili.
Lo scenario cambia drasticamente negli anni novanta, segnati dall’espansione del ruolo dell’industria e dalla progressiva contrazione della ricerca pubblica. La spinta a immettere nuovi farmaci sul mercato globale determina la necessità di definire procedure armonizzate da utilizzare negli studi registrativi: nascono così le Good clinical practice. Con il passare del tempo, le Good clinical practice diventano una sorta di “bibbia” da applicare a qualunque tipo di studio, causando da un lato un aumento dei costi progressivamente insostenibile per la ricerca priva di finanziamenti industriali, dall’altro una distorsione del ruolo dei comitati etici, ai quali viene sostanzialmente richiesto di controllare l’aderenza alle procedure e la correttezza della documentazione presentata dagli sponsor.
In Italia, dopo un periodo di sostanziale disinteresse, la situazione evolve in un modo molto originale, nel periodo in cui l’Agenzia italiana del farmaco è diretta da Nello Martini: : il recepimento nel 2003 della direttiva europea 2001/20/Ce è l’occasione per l’istituzione dei comitati etici in tutte le aziende sanitarie/ospedaliere e per un’operazione di alfabetizzazione estesa a livello nazionale sul ruolo e sulle regole della sperimentazione controllata [3].
La rete dei comitati etici rappresenta una “risorsa unica e irrinunciabile, per la sua potenzialità di strumento di coinvolgimento partecipativo di tutte le strutture assistenziali e di garanzia diffusa dei diritti dei cittadini (…) I comitati etici rappresentano la struttura di garanzia locale dei cittadini-pazienti di cui è prevista la partecipazione cosciente e informata alla sperimentazione.
— Documento programmatico sulla sperimentazione clinica, firmato da Nello Martini e approvato dal Ministero della salute nel 2003.
Negli anni successivi, a livello europeo si assiste a una diminuzione progressiva del numero di sperimentazioni cliniche approvate: da più di 5000 nel 2007 a circa 3300 nel 2014 [4]. La causa di questo fenomeno viene attribuita alla direttiva europea stessa, ritenuta responsabile di aver reso lungo e complicato il processo di approvazione degli studi, anche perché recepita dagli stati membri con modalità difformi. Viene proposto quindi di sostituirla con un regolamento più attento alle esigenze degli sponsor e direttamente applicabile senza bisogno di recepimento.
La prima proposta del regolamento non contiene alcun riferimento ai comitati etici, che vengono aggiunti solo a seguito di numerose pressioni [5,6]. Tuttavia anche nella versione definitiva, approvata nel 2014, viene lasciata a ogni stato la facoltà di definire il grado di coinvolgimento dei comitati, prevedendo la possibilità di escluderli completamente dalla valutazione degli aspetti “scientifici”, artificiosamente separati da quelli “etici” [7].
Di fatto la preoccupazione dominate del regolamento è quella di garantire che in Europa gli studi sui medicinali vengano approvati in tempi certi (e molto brevi). I comitati etici vengono considerati organismi autorizzativi, che devono quindi rispettare rigidamente le scadenze, anche a costo di ricorrere al silenzio-assenso, in violazione dei principi della dichiarazione di Helsinki.
Anzi, in alcuni casi vengono visti come un ostacolo alla ricerca, responsabili dei ritardi nell’avvio delle sperimentazioni e del “conseguente danno etico ed economico, che deriva dal mancato accesso a terapie innovative e potenzialmente salvavita” [8] (ma quanto incide un eventuale rinvio di un mese nell’approvazione di uno studio clinico sul tempo complessivo di sviluppo di un farmaco, che dura svariati anni? Com’è possibile sapere che la terapia è innovativa, se è ancora in fase di sperimentazione?).
La riduzione dei tempi per l’approvazione degli studi clinici è finalizzata allo stesso obiettivo perseguito dalle varie procedure di registrazione “accelerate”, utilizzate dalle agenzie regolatorie (sia Ema che Fda): rendere rapidamente disponibili nuovi farmaci sul mercato. Nell’attuale dibattito internazionale è sempre più frequente la documentazione, da parte degli stessi ricercatori, dei danni causati da queste procedure “accelerate” che, rimandando la valutazione dell’efficacia e della sicurezza alla fase postmarketing, espongono gli utilizzatori a rischi evitabili [9-11].
Per riaffermare il proprio ruolo di garanti dei diritti dei cittadini-pazienti, i Comitati etici dovrebbero avviare un dibattito, attivo e propositivo, sottolineando la necessità di consentire tempi di valutazione adeguati e documentando i limiti di una normativa che sta privilegiando le esigenze del mercato e non gli interessi dei pazienti.
Bibliografia
[1] Tognoni G. The challenged but indispensable role of ethical committees for human clinical experimentation . Cortex 2015;71:420-2.
[2] Marsico G. La dichiarazione di Helsinki. Ricerc@, 25 novembre 2014.
[3] Documento programmatico sulla sperimentazione clinica dei medicinali. Guida all’adozione dei decreti attuativi. Bif 2004, numero 1, pp 6-8.
[4] Dati ricavato dai rapporti nazionali Aifa “La sperimentazione clinica dei medicinali in Italia”.
[5] Comitato nazionale per la bioetica. Proposal for a regulation of the European parliament and
of the council on clinical trials on medicinal products for human use, and repealing directive 2001/20/ec. Pubblicato il 17 luglio 2012.
[6] Aim, Mief, Isdb, Wemos New proposal for a regulation on clinical trials: the protection of human subjects must be upheld; citizens’ right to information must be strengthened. Prescrire, febbraio 2013.
[7] Comitato nazionale per la bioetica. Mozione sull’attuazione del regolamento n.536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, in materia di sperimentazione
clinica di medicinali per uso umano che abroga la direttiva 2001. Pubblicato il 25 settembre 2015.
[8] Pani L (allora direttore dell’Aifa, ndr). Il paziente al centro. Il Sole 24 Ore, 26 luglio 2015.
[9] Woloshin S, Schwartz LM, White B, Moore TJ. The fate of Fda postapproval studies. N Engl J Med 2017; 377:1114-7.
[10] Banzi R, Gerardi C, Bertelè V, Garattini S. Conditional approval of medicines by the Ema. BMJ 2017;357:j2062.
[11] Davis C, Naci H, Gurpinar E, et al. Availability of evidence of benefits on overall survival and quality of life of cancer drugs approved by European Medicines Agency: retrospective cohort study of drug approvals 2009-13. BMJ 2017;359:j4530.