Da vent’anni lavoro come epidemiologa nel Servizio sanitario nazionale. Ho cambiato più volte gruppi di ricerca occupandomi di tematiche diverse. Un leitmotiv che ha sempre accompagnato la mia attività di ricercatrice è la necessità di ottenere dei finanziamenti attraverso la partecipazione a bandi di ricerca sia regionali e nazionali sia internazionali. Mentre negli anni novanta presentare una domanda era relativamente semplice, oggi il sistema è diventato sempre più complesso. Ne è un indicatore la crescente offerta di agenzie o società di consulenza che offrono ai ricercatori diversi servizi di supporto: dall’identificazione dei bandi più calzanti alla propria ricerca, al reclutamento di partner per formare un consorzio di ricercatori, al confezionamento del progetto da presentare tenendo conto dei tanti aspetti indispensabili per concorrere al grant, ma spesso non facilmente comprensibili ai non addetti ai lavori, fino alla gestione di un progetto finanziato in tutte le sue fasi, rispondendo alle complesse richieste di rendicontazione scientifica ed economica e, last but not least, alla divulgazione dei risultati per dare visibilità alla ricerca.
Negli ultimi anni sempre più spesso accade che non vengano finanziati progetti anche se potenzialmente validi perché, nonostante un ottimo giudizio della qualità della ricerca, non raggiungono il punteggio richiesto essendo stati sottoposti senza tenere in adeguata considerazione alcuni criteri di valutazione fondamentali quali, per esempio, implementation, risk-management e impact. Per ovviare a questa problematica, l’ente e i ricercatori hanno due possibilità: avvalersi dell’assistenza di una delle agenzie o società di consulenza, e quindi acquisire le competenze mancanti da terzi, oppure investire nella creazione di nuove competenze all’interno della propria struttura.
In un’ottica di lungimiranza, sembrerebbe logico che la seconda sia la scelta migliore. Ciononostante, a livello italiano, sono poche le strutture che si sono dotate di un grant office o simile, e si tratta per la maggior parte di strutture private (fondazioni) o a finanziamento misto (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico). Mentre la maggior parte delle strutture pubbliche continua ad arrangiarsi facendo affidamento su qualche collega più esperto, eventualmente affiancato da competenze aggiunte ad hoc da terzi su specifici aspetti.
Meno si investe nel management della ricerca, meno si vince e meno si è candidabili per bandi futuri.
Questo diverso approccio rischia però di portare a un divario tra le strutture private e pubbliche nella capacità di ottenere finanziamenti, che non rispecchia la qualità della ricerca. In molti enti che conducono ricerca sanitaria (e non solo), predomina ancora la mentalità secondo la quale integrare nella struttura delle competenze non scientifiche sia un investimento “a perdere”. Un atteggiamento dannoso a lungo andare, sia per i mancati finanziamenti sia perché spesso non si riesce a riscuotere in toto il grant stanziato, a causa di lacune nella complessa rendicontazione del progetto di ricerca. A questo si aggiunge il problema di una non ottimale disseminazione dei risultati della ricerca che per il ricercatore si traduce in una minore visibilità sia della propria professionalità sia della struttura di appartenenza, abbassando le probabilità di essere presi in considerazione da colleghi di altri istituti di ricerca come partner per future collaborazioni. Si crea quindi un circolo vizioso controproducente: meno si investe nel management della ricerca, meno si vince e meno si è candidabili per bandi futuri.
Un’iniziativa per promuovere la ricerca europea in Italia e facilitare la partecipazione dei ricercatori italiani a bandi europei è il Programma mattone internazionale salute (ProMIS) finalizzato a supportare e a rendere competitiva la partecipazione delle regioni italiane, così come delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere, ai finanziamenti europei e internazionali. L’iniziativa è sicuramente lodevole ma presenta dei limiti: non sempre riesce a raggiungere i singoli enti di ricerca e ricercatori; inoltre è insufficiente per rispondere ai bisogni formativi nella organizzazione e nel management della ricerca sul territorio. Bisognerebbe invece capovolgere la prospettiva: comprendere che i costi necessari per creare e mantenere all’interno dell’istituto un servizio dedicato al management della ricerca sarebbero un valido investimento, come del resto viene riconosciuto da molti enti finanziatori della ricerca che spesso prevedono una apposita voce di spesa per il research management.
La disponibilità di un tale servizio in house che dispone di specifiche competenze migliorerebbe la capacità di:
- individuare i bandi più promettenti e coerenti con la ricerca svolta dalla propria struttura, e/o indirizzare la ricerca verso le tematiche che promettono finanziamenti;
- formare partnership con colleghi che hanno interessi simili per unire le competenze piuttosto di essere concorrenti per lo stesso finanziamento con progetti che si sovrappongono;
- formare consorzi rappresentativi di diversi attori (researcher, stakeholder, patient, private sector) e diverse realtà geopolitiche (per esempio, paesi mediterranei e dell’Europa orientale);
- rispondere a tutti gli elementi richiesti nel bando, compresi quelli non strettamente scientifici (impact, implementation, risk management) e di conseguenza aumentare la probabilità di vincere un finanziamento;
- coordinare il consorzio per garantire di produrre i risultati attesi nei tempi previsti o implementare strategie di aggiustamento in caso di necessità;
- monitorare lo svolgimento dei progetti per identificare criticità e migliorare la performance del gruppo nel tempo;
- produrre report periodici e finali, effettuando anche delle modifiche del piano di lavoro in itinere, se necessario;
- seguire la rendicontazione economica per garantire che i finanziamenti stabiliti possano essere erogati nei tempi previsti e che a fine progetto sia stata incassata la somma complessiva assegnata al momento della vincita;
- dare visibilità alla struttura e ai ricercatori attraverso una disseminazione professionale dei risultati intermedi e finali di un progetto attraverso i canali classici (pubblicazioni su riviste indicizzate, eventi scientifici) e quelli più innovativi (internet, social media), per incrementare le opportunità future e, nel migliore dei casi, entrare nei grandi consorzi che influenzano le scelte delle tematiche dei bandi;
- comunicare con l’ente finanziatore durante tutte le fasi del
Inoltre, la disponibilità di una competenza manageriale interna potrebbe liberare le risorse scientifiche che attualmente sono in parte impegnate per svolgere attività lontane dalle loro competenze, spesso in modo non ottimale e non molto efficiente. I ricercatori potrebbero investire tutto il loro tempo e la loro energia nell’attività scientifica e diventare così più competitivi nella partecipazione ai bandi. In questo modo si potrebbe innescare un circolo non più vizioso ma virtuoso, in cui l’investimento in un servizio di research management permanente garantirebbe più finanziamenti e maggiore visibilità, che a sua volta permetterebbe di essere più competitivi e nuovamente vincenti.