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Scelte e decisioni IntervisteTimeline

Le grandi scelte che hanno fatto la storia

Dalla “idea geniale” di Cavour alle non decisioni: la nostra storia recente nella ricostruzione di un grande storico.

Intervista a Raffaele Romanelli

Già professore di storia contemporanea presso la Sapienza università di Roma, docente Luiss Guido Carli, direttore del Dizionario biografico degli italiani

By Settembre 2017Luglio 31st, 2020Nessun commento

 

Quali scelte hanno segnato la storia dell’unificazione dell’Italia?

Di certo una scelta che ha segnato la storia è quella compiuta dal conte di Cavour di fronte alla spedizione dei Mille in Sicilia e alle rapide, imprevedibili vittorie di Giuseppe Garibaldi. Dopo varie scelte politiche fatte per evitare uno scontro tra democratici e liberali – affrettare il plebiscito di annessione, inviare in Sicilia un “prodittatore” – Cavour ha un’idea geniale: invece di intavolare una trattativa con Garibaldi, gli manda incontro un esercito capeggiato dal re in persona, Vittorio Emanuele II, e il 26 ottobre del 1860, vicino a Teano, i due s’incontrano, il grande condottiero e il grande re. L’immagine diventa mitica, i due grandi, cavallo nero e cavallo bianco, si stringono la mano. Garibaldi, che avrebbe voluto semmai un’assemblea costituente, non può che dire: “Maestà, vi consegno l’Italia!”. È una mossa geniale: dall’oggi al domani viene unificata l’intera penisola, a parte Roma e il Veneto, una sorta di miracolo. Nessuno in Europa pensava che la novità reggesse. Ma fatta l’Unità d’Italia bisognava “fare gli italiani”, ed è stato avviato un percorso per forzare l’unificazione. Nel giro di poco tempo viene strutturata una forma politica e amministrativa unitaria, viene formato un esercito nazionale fondendo quelli già esistenti, da quello borbonico a quello toscano e piemontese (ed escludendo la gran parte dei garibaldini). Negli anni successivi viene introdotto un sistema fiscale e finanziario con nuove imposte, come la tassa sul macinato, che diffonde il malcontento tra i contadini. Un’altra importante tappa è stata la scelta di unificare la scuola e di costruire le strade e una ferrovia da nord a sud del paese lungo la dorsale adriatica. La ferrovia Adriatica – che esiste tuttora – fu una grossa impresa come la conquista del far west. E, anche lì, capitali, finanze, scandali… Queste sono le scelte immediatamente successive all’unificazione che – nel lungo periodo – sono state delle scelte vincenti perché l’Italia, anche se un po’ malmessa, è tuttora unita.

Le scelte compiute all’indomani dell’Unità, in nome della solidarietà e di certi valori, possono essere accostate prima alla reazione nei confronti dell’autoritarismo crispino e poi alla ribellione resistenziale antifascista, a suo avviso?

Dipende dalle scelte cui si fa riferimento. Riferendoci poi ai “valori” e alla “solidarietà”, non la trovo una chiave di lettura molto convincente; quindi sono un po’ perplesso nel rispondere, non condividendo le premesse. Come spiegavo per unificare l’Italia sono state fatte delle scelte “modernizzanti”, di fortissimo realismo politico e di forte impatto sulle realtà del paese, più che nel nome di solidarietà e valori. Anche l’autoritarismo di Crispi può esser visto come un portato estremo di questo decisionismo che però ha incontrato delle obiezioni ed è fallito. Riguardo alla Resistenza, certamente nell’antifascismo militante convergono ideali politici di varia natura – quelli dei comunisti, degli azionisti, dei cattolici. Ma a spingere i giovani a “andare in montagna” accanto a motivazioni etiche contribuirono anche necessità e spinte pragmatiche, come il sottrarsi alla leva repubblichina o all’occupazione tedesca.

Quali potrebbero essere altre scelte, in positivo, che sono state fatte a livello storico-politico in Italia e anche nel contesto europeo?

Una grande scelta è sicuramente l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale. È stata una decisione importante perché l’Italia unita non aveva mai vinto una guerra. L’Italia sarebbe potuta rimanere neutrale, come fece la Spagna. Alla fine l’esercito italiano, formatosi all’alba dell’Unità d’Italia, è riuscito a vincere con enormi sacrifici una guerra molto sanguinosa. Questa vittoria è stata senz’altro positiva per il paese, anche se ha provocato lacerazioni che hanno contribuito più tardi all’ascesa del fascismo. Un’altra grande scelta è la cosiddetta “svolta di Salerno” quando, immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, il paese si è trovato diviso in due – le zone liberate al sud, l’occupazione e la Resistenza al nord. Nell’aprile del 1944 Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista, agendo su diretta indicazione di Stalin, arrivò a Salerno dall’Unione Sovietica e dichiarò che il partito non avrebbe posto una pregiudiziale istituzionale: quindi accettò la monarchia, non ruppe con gli altri partiti e, in pratica, rinunciò a fare la rivoluzione alla quale molti militanti erano pronti. Fu una scelta di grandissimo rilievo storico che evitò all’Italia la sorte della Grecia dove c’era una situazione simile e vi fu una guerra civile sanguinosissima. Altre scelte importanti sono state l’adesione dell’Italia alla Nato nel periodo della Guerra fredda, il trattato di Maastricht sull’Unione europea, l’adozione dell’euro, e così via. Ma nella storia ci sono tante scelte, o decisioni, memorabili, a volte anche inventate, o enfatizzate dalle memorie storica. Si pensi al momento in cui Cesare passò il Rubicone, diventato un simbolo, o il giuramento di Pontida e Alberto da Giussano, un personaggio mai esistito ma oggi simbolo di un partito politico.

La psicologia della scelta può aiutare il lavoro storico dell’Occidente?

Credo che in storia si possa parlare di psicologia della scelta solo nel caso di scelte individuali. Più difficile applicarla alle scelte collettive. Prendiamo l’esempio di due casi recenti: il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e le elezioni di Donald Trump negli Stati Uniti. Agli inglesi è stato chiesto, in un modo un po’ incauto, “Volete rimanere oppure ve ne volete andare?” e loro rispondendo “Ce ne vogliamo andare” hanno fatto una scelta fondamentale per la storia contemporanea. Si può parlare di psicologia della scelta, in questo caso? Forse sì, perché la frustrazione degli inglesi di fronte alla paura di dover rinunciare alle proprie tradizioni a causa della legislazione europea o all’aumento degli stranieri dentro i propri confini ha influito nella decisione. In questo caso la componente psicologica di una scelta collettiva è molto forte. Come lo è stata probabilmente nelle elezioni statunitensi: lo slogan vincente “America first” di Trump ha messo l’accento su motivi psicologici, come – anche qui – la percezione di insicurezza, non coerente però con la realtà descritta dalle statistiche sull’andamento dell’economia o sulla criminalità dovuta all’immigrazione.

Credo che in storia si possa parlare di psicologia della scelta solo nel caso di scelte individuali. I fatti storici accadono per la casualità degli eventi ma anche perché ci sono delle motivazioni profonde.

In generale nei regimi politici dove il potere è concentrato in un singolo, come in una dittatura, la psicologia del singolo ha un’enorme influenza nelle scelte. Se parliamo di scelte individuali, in genere possiamo discutere di quei leader che hanno moltissimo potere, se non assoluto. Quando Nikita Chruščëv aveva installato i missili nucleari a Cuba, si era quasi sfiorata la terza guerra mondiale: le navi russe che portavano le ogive nucleari erano ormai vicine a Cuba e il presidente John F. Kennedy aveva mandato una flotta navale a contrastarle; a questo punto Chruščëv ha ordinato di tornare indietro. È stata una scelta individuale, forse necessaria e inevitabile, in un regime dove c’era una singola persona che poteva scegliere in un modo o in un altro. Oggi, se il leader della Corea del Nord dovesse decidere un attacco nucleare, potrebbe scatenare conseguenze molto gravi: purtroppo è una scelta che dipende solo da lui. Mentre nei regimi democratici e parlamentari le scelte passano attraverso dei meccanismi e delle procedure complesse, che coinvolgono i partiti, la maggioranza di governo, l’opinione pubblica. In questo caso non mi pare che le decisioni si possano esaminare sul piano della psicologia. Vi sono poi scelte, o decisioni individuali, casuali, incidentali. Prendiamo l’esempio del muro di Berlino. I tedeschi orientali, sempre di più, chiedevano il visto per andare a visitare i parenti nell’Occidente. Non sapendo più come fermarli, le autorità hanno detto: “State tranquilli perché abbiamo deciso che un giorno vi daremo il visto per andarci”. Un funzionario – credo un militare – pressato dalla domanda “Ma quando ce lo date?”, disse: “Anche subito”. Ma lo disse perché non sapeva cos’altro rispondere, non aveva ricevuto ordini precisi. Questo ha fatto sì che la folla prendesse d’assalto il muro, e a questo punto i militari non hanno avuto il coraggio di sparare come in genere facevano di fronte a singoli tentativi di fuga. Il muro è stato scavalcato in massa ed è crollato tutto.

Oltre alle scelte anche il caso decide la storia?

Ci sono due approcci alla questione. Si può parlare di pura casualità. Uno storico ha affermato che la storia romana dipese dal “naso di Cleopatra”: se il naso di Cleopatra fosse stato brutto, Antonio non si sarebbe innamorato di lei e la storia sarebbe andata in un altro modo. Tuttavia si può anche pensare che certe vicende, anche casuali, capitino perché ci sono le condizioni perché capitino. Prendiamo l’esempio appena fatto del muro di Berlino. Si può leggere la caduta del muro come un evento dettato da una frase oppure dalle condizioni che si erano create e che hanno fatto sì che questo succedesse. Erano cambiate l’economia, la politica e anche la psicologia al punto da far cadere il muro. Dunque, i fatti storici accadono per la casualità degli eventi ma anche perché ci sono delle motivazioni profonde: i singoli eventi, episodi, fatti e, a volte, incidenti influenzano sicuramente il corso della storia se, però, ci sono le condizioni perché questo avvenga.

Quali sono state le non scelte che se fossero state fatte avrebbero cambiato il corso della storia?

Un esempio classico: Vittorio Emanuele III che non ha firmato lo stato d’assedio nell’ottobre del 1922. Di fronte alla marcia su Roma, il presidente del consiglio Facta predispose un decreto di proclamazione dello stato di assedio, lo portò per la firma al re e questi decise di non firmarlo. Non sappiamo come sarebbero andate le cose se avesse firmato, ma sicuramente è stata una non scelta decisiva. Un altro esempio è quello della Spagna democratica che nel 1936 subisce la sollevazione delle truppe di Francisco Franco, chiede aiuto ai paesi europei che però decidono di non intervenire. Questa è una non scelta. E le non scelte sono comunque scelte: la non scelta è l’altro lato della medaglia delle scelte.

Parliamo anche delle scelte che vengono dal basso, come la cosiddetta Primavera araba. Come stanno cambiando le scelte con i nuovi mezzi di comunicazione di massa?

Intanto, questa definizione è un’invenzione occidentale: la chiamano “primavera” ricordando la Primavera di Praga ma nel mondo arabo nessuno le ha mai chiamate in questo modo. Comunque in Tunisia a seguito dell’arresto di un ragazzo, quindi di una vicenda specifica, la gente ha cominciato a radunarsi per strada ed è montata una forte ostilità verso il presidente e i suoi metodi autoritari. Grazie ai social media questi movimenti si sono diffusi in altri paesi dove la gente ha cominciato a dimostrare e a scendere in piazza, per esempio in Libia, in Egitto, in Siria, luoghi dove però gli esiti sono stati completamente diversi: se in Tunisia questi movimenti “dal basso” hanno portato a una democratizzazione, in Egitto hanno portato a elezioni e poi a un colpo di stato, in Siria − dove da sei anni ormai ci si massacra – hanno portato alla guerra civile. Sicuramente i social media e la mobilitazione popolare hanno influito su questi eventi ma non si è trattato sempre di scelte venute “dal basso”, o almeno le scelte “spontanee” sono state influenzate “dall’alto”, anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Khomeyni, il leader persiano in esilio, diffondeva i suoi discorsi tramite videocassette che ebbero una forte influenza sull’opinione pubblica iraniana. Allora la videocassetta era il media di comunicazione di massa, oggi non più, però il tasso d’informatizzazione della popolazione, anche povera, è altissimo. Ormai quasi tutti possiedono uno smartphone. Ovviamente, questo alimenta la diffusione, consapevole o no, di notizie false, le cosiddette fake news, che possono scatenare grandi movimenti di massa. Non so, pertanto, fino a che punto si possa parlare di “scelte dal basso” visto che dipendono anche dalla diffusione – un po’ dall’alto – di notizie, vere o false che siano.

Un altro grande momento di scelte riguarda il rapporto Beveridge: un’azione rivoluzionaria e, indubbiamente, una scelta politica molto importante
per la sanità.

Una breve riflessione sulle scelte che hanno segnato la storia del sistema sanitario?

Non c’è dubbio che l’introduzione del vaccino del vaiolo – siamo alla fine del 700 – sia stata di grande importanza, e abbia suscitato una forte reazione negli ambienti conservatori, cattolici e reazionari. In quel caso la scelta era se applicare la nuova scoperta o meno. Anche oggi la scelta di rendere obbligatori i vaccini per l’accesso agli asili nido e alle scuole materne è una scelta impegnativa – discutibile e discussa – che coinvolge sia il significato della scienza sia il significato della libertà. Un genitore ha diritto di decidere se vaccinare o meno il proprio figlio, oppure no trattandosi di una scelta che incide sulla salute di tutti? Un altro grande momento di scelte riguarda il rapporto Beveridge, pubblicato in Inghilterra alla fine della seconda guerra mondiale, che segna la nascita del welfare moderno e di un sistema sanitario nazionale che assiste le persone dalla culla alla tomba: un’azione rivoluzionaria e, indubbiamente, una scelta politica molto importante per la sanità.

 

La fotografia in alto è di Helen Melissakis: “Wrong Way”. Flickr Creative Commons.