Nessuno può discutere la grande e stradimostrata efficacia dei vaccini nel prevenire molte malattie, a parte alcuni fanatici di sette che propagandano teorie ascientifiche e del tutto inconsistenti. Sta di fatto che la diffidenza verso i vaccini si è diffusa e che istituzioni, comunità scientifica, professionisti della sanità non sono stati in grado di limitare la misura di tale fenomeno.
Questo problema ha spinto i governanti a un passo molto drastico: rendere obbligatori dieci dei dodici vaccini previsti nel piano nazionale. L’obbligatorietà non va considerata come una violazione delle scelte individuali sulla propria salute, si tratta piuttosto di uno strumento diretto alla protezione della popolazione, così come si vigila sulla qualità dell’acqua che beviamo e dei cibi che mangiamo o sul tasso alcolico di quando ci mettiamo alla guida.
Tale protezione si compone di due obiettivi centrali.
- Il tentativo di eradicare alcuni agenti patogeni che affliggono l’umanità. Ci vacciniamo per esempio contro la polio, anche se da molti anni in Italia non ci sono più casi, poiché in alcune aree del mondo il virus continua a colpire e la vaccinazione è ancora necessaria finché l’Organizzazione mondiale della sanità non annuncerà che la polio è stata eradicata dal pianeta. Non può sfuggire che la sparizione dal mondo di virus che provocano malattie invalidanti e mortali sia una conquista enorme per la salute di tutta la popolazione del pianeta Terra.
- L’immunità di gregge. In molti hanno appreso di recente il significato di questa espressione. Invece è l’argomento principale per convincere i restii a vaccinarsi e a vaccinare i propri figli. Qualcuno lo sta capendo ora, in seguito al grande risalto mediatico generato dal caso del bambino leucemico contagiato da persone non vaccinate e morto per le complicanze del morbillo. Un evento simbolico, avvenuto in un momento particolare in cui è accesa la discussione sulla legge, fa capire alla gente l’importanza dell’immunità di gregge e, forse, riesce ad abbattere delle barriere ideologiche. Tuttavia occorreva che l’informazione e l’abbattimento delle barriere fossero molto precedenti, poiché si sa bene che casi come quello del bambino non sono per niente una novità e che morti di morbillo ce ne sono stati anche fra bambini precedentemente in ottima salute (ovviamente anche loro contagiati da non vaccinati).
Le resistenze verso questi argomenti comunque sono comprensibili. Banalizzando qualcuno si chiede: “Per la vaga possibilità di proteggere qualche immunodepresso nell’improbabile caso che entri in stretto contatto con mio figlio, devo io metterlo a rischio di qualche danno?”.
La scienza è imperfetta, a volte controversa, ma non esiste alcun riferimento migliore per guidare le nostre decisioni in tema di salute.
La scienza, che studia l’effetto delle numerose vaccinazioni in atto in tutto il mondo, ci dice che esiste una notevolissima probabilità che i vaccini difenderanno i nostri figli dalle malattie che combattono, e una bassissima, infinitesimale, probabilità che essi provochino un danno serio. La scienza è imperfetta, a volte controversa, ma non esiste alcun riferimento migliore per guidare le nostre decisioni in tema di salute.
Ciò detto, a chi scrive non piace molto l’obbligo per i vaccini. Ho seguito con interesse il tentativo della Regione Veneto di abolire l’obbligatorietà. Sono molto più favorevole a una politica di informazione, di educazione, di condivisione e non simpatizzo per provvedimenti che limitino il diritto all’istruzione. Ma questo non è il momento di seguire le proprie simpatie e le proprie ideologie. In Italia c’è un problema reale di malattie che se non prevenute sono in grado di causare gravi danni, e la disaffezione in atto verso le vaccinazioni è molto rischiosa e va sicuramente affrontata. In questo momento, quindi, l’obbligo appare una misura sgradevole ma in parte necessaria. La sua necessità è riferibile ai seguenti punti:
- è necessario per superare le resistenze dettate da timori infondati,
- è necessario per abbassare drasticamente la probabilità che i soggetti fragili vengano contagiati sviluppando malattie molto pericolose nella loro condizione,
- è necessario per quelle malattie per cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito perseguibile l’eradicazione,
- è un rimedio, magari provvisorio, per vaccinazioni raccomandate la cui copertura è subottimale e continua a scendere. Proviamo ora a esaminare il decreto e l’opportunità di rendere obbligatorie le vaccinazioni del piano nazionale.
Tetano, difterite, polio ed epatite B. Si tratta di vaccinazioni che sono obbligatorie da qualche tempo: non è certo questo il momento di toccarne l’obbligatorietà (tetano compreso, che non rientrerebbe nelle categorie considerabili per l’immunità di gregge). A questi va aggiunta la pertosse da tempo inserita in cosomministrazione con tetano e difterite, che risponde quanto meno al secondo dei criteri citati sopra.
Morbillo, parotite e rosolia. La vaccinazione è assolutamente da considerarsi idonea per l’obbligatorietà per tutti e quattro i motivi espressi sopra.
Meningiti. Oggi la meningite è combattuta da diversi vaccini: antimeningococco B, antimeningococco C, anti-Hib (Haemophilus influenzae) e antipneumococco. I primi tre sono inclusi nel decreto, riguardo all’antipneumococcica ci sono pressioni di alcune società scientifiche per la sua inclusione. Qui qualche perplessità sulla congruità di tali vaccinazioni con i quattro criteri che ne dovrebbero determinare l’obbligatorietà esiste, e tale dubbio è stato in parte colto dal legislatore. Le meningiti, infatti, sono una malattia rara. Quelle da Haemophilus sono addirittura rarissime, quelle da meningococco sono molto poco contagiose, quelle da pneumococco sono provocate da una quantità enorme di sottotipi del batterio di cui il vaccino combatte solo una parte. Certo l’obiezione a tutto ciò è che le meningiti sono una patologia gravissima. Ovvio, ma la scelta può essere individuale, visto che sono discutibili i requisiti che ne imporrebbero l’obbligatorietà.
Varicella. Al contrario delle precedenti è meno importante per la protezione individuale, ma diventa invece piuttosto rilevante per l’immunità di gregge. Infatti, si tratta di una patologia generalmente di modesta gravità e con rare sequele, ma molto contagiosa e, in caso di epidemia, molto insidiosa per gli immunodepressi. Sembrerebbe strano considerare più idonea all’obbligatorietà la vaccinazione antivaricella che quella antimeningite. Tuttavia, se riconosciamo che i quattro principi citati dovrebbero ispirare la decisione di rendere obbligatoria una vaccinazione, non ci sono molti dubbi.
Sulla base di queste schematiche considerazioni, si possono trarre alcuni spunti per orientare le scelte di sanità pubblica. Un primo spunto è che andrebbe di molto potenziata l’opera d’informazione ed educazione sui vaccini, non solo tramite enunciazioni programmatiche negli atti e rimando alla buona volontà degli operatori, ma con supporto materiale di mezzi, personale e interventi articolati in ambito sociale oltre che sanitario: l’obbligatorietà deve essere un provvedimento provvisorio accompagnato da un’azione di più lungo periodo di educazione in grado di accrescere nella popolazione la fiducia nella scienza e nelle istituzioni sanitarie e di ridurre l’arroccamento irrazionale a difesa dell’individualità e a scapito della collettività. Inoltre, sarebbe indispensabile considerare complessivamente l’impatto che genera un provvedimento così rilevante.
Oltre ai ragionamenti centrali sull’efficacia non bisogna tralasciare: l’impatto psicologico, gli aspetti organizzativi (con le risorse disponibili i servizi oggi non sono in grado di attuare il piano vaccinale), la sostenibilità economica (reperimento dei fondi e corretta gestione delle risorse).
È necessario valutare a fondo tutti questi aspetti se vogliamo che le disposizioni di legge rispondano a criteri rigorosi e siano giustificabili razionalmente di fronte a tutti i cittadini, qualunque siano i loro valori, le loro opinioni o le loro ideologie, eliminando il sospetto di star solo facendo l’interesse dei produttori.