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Scelte e decisioni Articoli

La formula vincente. Per migliorarsi, il calcio dà i numeri

Il talento, la classe di un giocatore, le decisioni di un bravo allenatore sono tutte componenti fondamentali per costruire una squadra di successo. Ma è possibile migliorare le prestazioni con numeri, dati e statistiche?

Rebecca De Fiore

Il Pensiero Scientifico Editore

By Settembre 2017Luglio 31st, 2020Nessun commento

Il talento, la classe di un giocatore, le decisioni di un bravo allenatore sono tutte componenti fondamentali per costruire una squadra di successo. Ma è possibile migliorare le prestazioni con numeri, dati e statistiche? Negli ultimi anni, con la rivoluzione dei big data applicati allo sport, si sta provando a rispondere a questa domanda.

Nel calcio, a differenza che negli altri sport, l’analisi statistica ha incontrato numerose resistenze. Su tutte quelle degli allenatori, preoccupati che il loro lavoro potesse essere messo in discussione. È famosa la risposta che diede Harry Redknapp quando era allenatore del Southampton all’analista Simon Wilson dopo una sconfitta: “Facciamo così, la prossima volta facciamo giocare il tuo computer contro di loro e vediamo chi vince”. Ma soprattutto bisogna considerare che il calcio è uno sport estremamente complicato da prevedere ed è definito da eventi rari: i goal. Se nel basket si tira circa 123 volte in una partita, nel calcio si tira solo poco più di 12 volte. E se nel football americano si segna in media una volta ogni 9 minuti, nel calcio una squadra segna un goal ogni 69. Per questo la scienza dei dati ha impiegato molto più tempo a diffondersi nel mondo del pallone. Ma oggi, con l’avvento dei big data, anche nel calcio si stanno iniziando a capire le potenzialità dell’analisi statistica.

Ogni anno vediamo spuntare nuovi aspetti, vediamo progressi rapidi, che ci allontanano sempre più dall’approccio di colui che possiamo considerare il primo analista calcistico della storia, Charles Reep, un contabile arruolato nell’aeronautica. Nel primo dopoguerra, dopo una chiacchierata con Charles Jones, capitano dell’Arsenal di Herbert Chapman, al ragioniere venne voglia di applicare la contabilità al calcio, di cui era appassionato. Nel corso della sua vita scrisse di oltre 2200 incontri, dedicando a ciascuno circa 80 ore. Reep riuscì a dimostrare che soltanto due goal ogni nove nascevano da azioni con più di tre passaggi consecutivi. Dunque, pochi passaggi, lanci lunghi e rapidi contropiedi: le sue conclusioni furono talmente popolari da determinare la verticalità del calcio inglese. Oggi il computer ha sostituito il taccuino, ma il data analyst è diventata una delle figure più richieste nel mondo del pallone.

Nei paesi anglosassoni, tutti i club professionistici hanno a disposizione un data analyst, dotato di un’ottima formazione matematica e statistica, ma spesso con scarse conoscenze calcistiche e tattiche. In Italia, invece, nell’ultimo anno sta acquisendo sempre più rilievo la figura del match analyst. Oltre che avere competenze matematiche, è un allenatore a tutti gli effetti. Non si limita ad analizzare i dati che gli vengono messi a disposizione, ma lavora anche sui video e sulla preparazione tattica delle partite. Analizza l’avversario, le partite specifiche, ma anche l’atteggiamento dei singoli giocatori e le sedute di allenamento.

Se l’analisi applicata al calcio è arrivata anche in Italia, lo si deve a un allenatore in particolare: Arrigo Sacchi. A proposito della sua rivoluzione tattica, Daniele Morrone scrive su l’Ultimo uomo: “La rottura dei paradigmi esistenti effettuata da Arrigo Sacchi ha spinto il dialogo tattico in avanti come, prima di lui, aveva fatto solo l’Olanda del calcio totale. In ambito nazionale, ha portato al cambiamento di un modo di pensare calcio che sembrava insito nella natura stessa della scuola italiana, nel codice genetico degli allenatori italiani, cioè, proiettandola prima in quello che sarebbe diventato il calcio un decennio dopo”. Ed è proprio con questa rivoluzione di fine anni ottanta che sono cambiati anche i metodi di lavoro che hanno portato nel tempo a un utilizzo massiccio delle tecnologie nel mondo del calcio.

Le prime aziende a essere nate in Italia sono la Digital soccer, bresciana, e la Sics di Bassano del Grappa, che oggi sviluppa programmi di video-analisi avanzati per poter analizzare anche le singole prestazioni. Poi è nata anche la Wyscout che, con clienti come Barcellona, Liverpool e Boca Juniors, si è imposta diventando la principale protagonista nel settore dello scouting dei giocatori e dei giovani per il mercato calcistico. La Juventus è stata il primo club in Italia a dotarsi di uno staff di match analyst a tempo pieno e oggi ha a disposizione quattro analisti, coordinati da Riccardo Scirea, che analizzano attentamente le partite della prima squadra fino a quelle delle giovanili. È la Roma, invece, la squadra che sfrutta maggiormente i dati statistici nel settore scouting in fase di calciomercato, grazie anche all’impegno della società americana, più vicina culturalmente allo sfruttamento dei big data.

Nel corso degli anni, però, l’obiettivo dell’analisi statistica è cambiato. Se Reep voleva aiutare le squadre a migliorarsi basandosi su convinzioni che già aveva, oggi si cercano di sfruttare i dati per stabilire se ciò che diamo per scontato sul calcio è vero. Non si usano più i numeri per dimostrare una teoria, ma per capire cosa ci dicono e che direzione prendere.

Football analytics è una disciplina in cui il modo col quale una squadra gioca suggerisce quali statistiche vanno studiate perché sono significative.
− Joao Medeiros, Wired

Analizzando i risultati dei quattro principali campionati europei (Premier league, Bundesliga, Liga e Serie A), è venuto fuori che in media la squadra che segna di più in una stagione vince il campionato circa la metà delle volte (51 per cento), mentre la squadra con la miglior difesa circa il 46 per cento. Dunque, è vero che segnare più goal di tutti in un campionato dà probabilità leggermente più alte di vincere il titolo rispetto a subirne di meno, ma sembrerebbe non essere così efficace. In Premier league, infatti, segnare dieci goal in più riduce il numero di sconfitte dell’1,76 per cento, mentre subire dieci goal in meno le riduce del 2,35 per cento. Così, se quello che conta è evitare una sconfitta, se hai una buona retroguardia aumentano le possibilità di vincere il titolo o di salvarsi. E questo è solo un esempio delle indicazioni che può dare l’analisi statistica. I big data applicati al calcio ci insegnano che tenere palla, completare più passaggi, non cederla troppo spesso all’avversario significa più vittorie, più punti e più successi. Ci insegnano che l’89 per cento dei calcio d’angolo va sprecato e che la squadra che tira per prima ai calci di rigore vince in oltre il 60 per cento dei casi.

Quello che è fondamentale capire è quanto questi dati influiscono o dovrebbero influire sulle decisioni di un allenatore. Da sempre gli allenatori raccolgono le informazioni nei modi più tradizionali, parlando con osservatori e collaboratori o seguendo gli allenamenti, e continuare a farlo è importante. Ma per prendere le migliori decisioni possibili gli allenatori devono attingere anche a fonti di dati oggettivi. E qui entrano in gioco i numeri. La difficoltà, oggi, sta nel capire cosa è davvero necessario: di dati ne hanno in abbondanza, la parte fondamentale è saperli leggere.

La sensibilità di un allenatore sarà sempre fondamentale nei processi decisionali, ma non si potrà più non sfruttare anche l’oggettività dell’analisi statistica.

Insomma, è davvero iniziata la rivoluzione dei big data nel calcio? La risposta ce la dà Antonio Gagliardi, match analyst della Nazionale italiana dal 2010, che in un articolo per l’Ultimo uomo scrive: “Credo che la rivoluzione dei big data nel calcio sia definitivamente esplosa e sia ormai irreversibile, gli addetti ai lavori che sceglieranno di non cavalcare e percorrere questa strada rimarranno semplicemente indietro. L’occhio, la sensibilità, l’intuizione di un allenatore o di un direttore sportivo saranno sempre importanti e fondamentali nei processi di scelta ma non si potrà non sfruttare il vantaggio di uno studio e di una rielaborazione attenta dei dati statistici”.


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