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Innovazione Interviste

Innovazione: quale ruolo per l’Istituto superiore di sanità?

Aggiungere nuovo valore all’assistenza sanitaria: il ruolo dell'Istituto superiore di sanità.

Intervista a Walter Ricciardi

Presidente Istituto superiore di sanità

By Maggio 2017Settembre 30th, 2020Nessun commento

È legge la stabilizzazione dei precari “storici” dell’Istituto superiore di sanità (Iss): quale spinta all’innovazione potrà giungere dal contributo di ricercatori più motivati? Quale peso ha “l’anagrafe” nel perseguire l’innovazione?

La stabilizzazione dei ricercatori precari dell’Istituto, che hanno in media dai dieci ai quindici anni di servizio, è innanzitutto il riconoscimento del loro lavoro. Si tratta di personale che è stato ed è responsabile di servizi cruciali e che ha sempre contribuito a garantire funzioni essenziali. Non abbiamo mai percepito questi lavoratori come “esterni”, ma sono sempre stati parte di questo Istituto, delle sue eccellenze, e come gli altri hanno lavorato per la tutela della salute pubblica. La loro stabilizzazione, relativamente all’innovazione, significa innanzitutto procedere con uno sguardo più sereno e più a lungo termine rispetto a molti progetti che possono essere condotti senza il condizionamento dovuto alla possibilità di perdere improvvisamente i ricercatori che li hanno condotti, fatti crescere e spesso anche ideati. Significa anche non perdere la linfa vitale e la motivazione che anima molti di loro, soprattutto i più giovani. Questi ultimi avranno la possibilità di non dover cercare a tutti i costi una posizione all’estero o progettare lontano il loro futuro.
Grazie all’impegno delle istituzioni, in particolare del ministro Lorenzin e della senatrice De Biasi, si potrà procedere subito alla stabilizzazione dei primi lavoratori e, gradualmente, saranno regolarizzati anche gli altri. In base all’emendamento approvato, infatti, nel triennio 2017-2019 e nel rispetto della programmazione triennale del suo fabbisogno, l’Iss potrà bandire procedure concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato per 230 persone.

In un incontro presso l’Istituto superiore di sanità, il grande centroavanti Paolo Rossi ha ricordato come la chiave di ogni successo sia raramente nel singolo protagonista: è possibile costruire una “squadra” contando sulle competenze delle istituzioni pubbliche e dell’industria privata?

Più che di squadra, parlerei di una rete, in cui ogni maglia ha una funzione specifica e tutte insieme reggono l’obiettivo, innanzitutto della tutela della salute pubblica. Obiettivo che ha in sé anche la crescita della conoscenza e dello sviluppo economico e sociale, ai quali la salute e il benessere sono inscindibilmente connessi. Fare rete, fare squadra, è una necessità e una grande opportunità in questo momento, soprattutto nel panorama internazionale. Si tratta di ottimizzare risorse e energie, di riprenderci anche un po’ di ciò che ci appartiene e di cui non siamo stati in grado di riappropriarci. Alimentiamo i fondi europei della ricerca in misura del 17% del budget generale, ma accediamo solo in minima parte a questi fondi con i quali, quindi, finanziamo la ricerca di Paesi più capaci nell’organizzazione. Il pubblico, insieme al privato, nella distinzione necessaria dei ruoli e nella chiarezza degli obiettivi, può contribuire a costruire una macchina efficace per accedere alle risorse e impiegarle in maniera strutturata sfruttando un patrimonio di conoscenza oggi enorme ma spesso disarticolato.
Horizon 2020 lo dimostra. I settanta miliardi di euro messi a disposizione sono stati concepiti per progetti che coniugano l’eccellenza scientifica e l’impatto industriale. L’Iss ha avuto 15 progetti finanziati, ma l’Italia, in generale, ha perso. La rete è la chiave per accedere a queste risorse, una rete le cui maglie legano tra loro anche i diversi paesi europei ma, se non ci si connette al tessuto produttivo del Paese e non si lavora in sinergia, sicuramente si perde. Si riesce al massimo a creare piccole isole per le quali il futuro è una navigazione pericolosa e quasi sempre un naufragio. L’Istituto può essere la struttura sulla quale annodare la rete italiana: può agire da connettore tra le diverse realtà scientifico-sanitarie del paese e, soprattutto, può evitare che i nostri ricercatori più giovani, come sta drammaticamente accadendo, escano da queste maglie, per andare a fare rete altrove.

In un’alleanza pubblico-privato non devono esserci battitori liberi ma schemi di gioco ben collaudati.

Se la risposta alla precedente domanda fosse positiva, ritiene necessaria una divisione di ruoli o – al contrario e per proseguire nella metafora calcistica – questi possono essere anche intercambiabili, come nel calcio totale “alla olandese”?

Direi di no. Direi che lo scacchiere debba avere ruoli e regole ben precisi e, per proseguire la metafora calcistica, in un’alleanza pubblico-privato non debbano esserci “battitori liberi”, ma schemi di gioco ben collaudati.

Le decisioni di health policy devono comprendere anche valutazioni più complessive, che riguardano gli assetti economici del Sistema Paese, premiando l’innovazione come volano per un maggiore e diffuso benessere dei cittadini: quale equilibrio ritiene necessario al riguardo, per incentivare il trasferimento dei risultati della ricerca privata alla clinica, tutelando la sicurezza dei pazienti?

La pressione che subiscono oggi tutti i sistemi sanitari richiede decisioni molto equilibrate e un bilanciamento molto attento tra la crescita dell’offerta di salute e l’equità all’accesso delle nuove tecnologie. È sempre più forte il divario tra l’evoluzione tecnologica, le aspettative dei cittadini e le risorse disponibili. Si tratta di ridefinire le regole alla luce dei nuovi scenari economici e sociali, all’interno delle quali stabilire metodi, obiettivi e priorità. Il metodo non può che essere la produzione della migliore evidenza scientifica, delle migliori prassi e la promozione di una prevenzione primaria che è una delle armi più importanti per sostenere il welfare alla luce dell’evoluzione demografica ed epidemiologica dei paesi occidentali. Tutto questo si inscrive nel quadro di un’acquisizione della conoscenza e del suo sviluppo sempre più ricca. Ma la vera sfida che ci aspetta è garantire che i risultati della ricerca siano un patrimonio di tutti e che sia l’equità nell’accesso uno dei cardini intorno ai quali far ruotare i futuri sistemi sanitari.

“Stiamo vivendo un momento diverso” nella storia del mondo, ha affermato recentemente Flavia Bustreo, e in un’epoca complessa, la health literacy dei cittadini è essenziale per valutare e accogliere l’innovazione: che ruolo può svolgere l’Istituto?

Siamo tra gli ultimi paesi europei nella diffusione e nella fruizione della conoscenza sulla salute e questo non può che incidere negativamente sulla tutela della salute pubblica che è un processo in cui i cittadini sono attori protagonisti e non semplici comparse di un film scritto da altri.

I processi della salute si governano insieme.

I processi della salute si governano insieme. Dalla costruzione dei sistemi sanitari alla produzione di un’informazione rigorosa e corretta ai cittadini consapevoli, ognuno di questi elementi gioca un ruolo essenziale sia nella promozione della salute sia nell’innovazione. Si pensi, per esempio, laddove si manifesta un focolaio infettivo, all’importanza della conoscenza delle regole della prevenzione nell’evitare la diffusione di un’epidemia oppure alla prevenzione delle malattie cardiovascolari attraverso l’acquisizione della conoscenza di stili di vita corretti o al contributo che dà nella promozione di un buon invecchiamento. Significa benessere, ma anche risparmio per i sistemi sanitari che possono investire altrove, magari nel rendere accessibili cure più innovative. La diffusione della conoscenza scientifica ha a che fare sia con il grado di civiltà di un paese sia con la possibilità di aumentare indirettamente il benessere collettivo e la ricchezza dello stesso. Un grande Istituto come il nostro, che da oltre ottant’anni tutela la salute di tutti, non può esimersi dal compito di promuovere la cultura scientifica ed è per questo che nella riorganizzazione abbiamo previsto anche questo tra i compiti dell’Istituto. Pazienti più forti sono anche pazienti più consapevoli di eventuali conflitti di interesse quando questi esistono. Sono pazienti più capaci di partecipare consapevolmente ad un trial clinico, di non essere semplici oggetti della rete scientifica e sanitaria, ma di far parte di questa rete, di diventare un anello non solo finale ma realmente centrale.