Dove bisogna mettere mano quando introduciamo dei cambiamenti tecnologici in sanità?
L’innovazione è un pilastro della sanità la cui introduzione impone necessariamente una rivisitazione del sistema sanitario. Ad esempio, la robotica in chirurgia generale e in urologia ha cambiato il modello organizzativo a diversi livelli: ha modificato tanto gli standard della degenza media – riducendo le complicanze e tutto il follow-up successivo – quanto gli standard del personale che richiede caratteristiche e competenze diverse dal passato. In aggiunta la robotica ha cambiato il percorso del paziente con una medicina di affiancamento alla parte chirurgica nel pre- e nel post-operatorio. Altro esempio è rappresentato dall’introduzione in cardiologia interventistica di device o tecniche mininvasive, quali le Mitral clips o le Tavi, che si traducono in una riduzione delle complicanze e della durata della degenza da 20 a 5 giorni, e in una contrazione della parte riabilitativa post-interventistica, e che comportano una riorganizzazione delle cardiochirurgie. È chiaro che ogni innovazione introdotta modifica l’esito finale dell’intervento ma anche l’assetto organizzativo.
Ogni innovazione introdotta modifica l’esito finale dell’intervento ma anche l’assetto organizzativo. Richiede nuove organizzazioni e nuove competenze.
Accade che il punto di vista del direttore generale possa non coincidere col punto di vista dei clinici?
Laddove sono disponibili tecniche mininvasive o di chirurgia robotica che non appartengono più a scenari futuristici, il metodo tradizionale viene messo in discussione o comunque viene ridimensionato. Questo può mettere in crisi gruppi e ruoli professionali ma attraverso il confronto e il lavoro di squadra che coinvolge professionalità diverse e altamente qualificate si può arrivare a una condivisione finale. Per noi l’introduzione di una nuova tecnologia significa lavorare insieme anche al farmacista ospedaliero e all’ingegnere al fine di approfondire l’argomento e trovare un punto d’incontro.
Quali sono le fonti alle quali un direttore generale attinge per valutare l’opportunità di un’innovazione?
La funzione di direttore generale implica anche delle conoscenze tecniche e un aggiornamento continuo sulle novità farmacologiche e tecnologiche applicabili alla sanità. La lettura di riviste quotate e l’approfondimento condiviso sono le basi per intraprendere un vero e proprio studio su un’innovazione candidata a fare il suo ingresso nella struttura sanitaria. Al Careggi prima di introdurre una tecnologia avviamo degli studi approfonditi con il coinvolgimento di professionisti e del laboratorio di ingegneri gestionali per valutarne le ricadute sociali, sanitarie ed economiche sulla base delle quali trarre una conclusione. Un sistema di health technology assessment ci consente di avere valutazioni anche nell’arco di soli tre giorni laddove si rendono necessarie risposte immediate. Mentre le valutazioni di tecnologie di altissimo costo – con importanti e grandi cambiamenti anche nell’organizzazione – richiedono tempi più lunghi con discussioni che possono durare anche tre mesi.
Un ospedale con un bacino di utenza così ampio come quello di Careggi dovrà in certi casi rispondere anche a una sollecitazione da parte dei cittadini per l’introduzione di nuove tecnologie che attraverso la cassa di risonanza dei mass media sono arrivati all’opinione pubblica. Come equilibrare la decisione ponderata con quelle le esigenze della politica?
La pressione dei cittadini o delle associazioni di pazienti è un problema reale e diffuso che deve essere affrontato. Nel sistema italiano non sono previsti gruppi di cittadini designati ad hoc per partecipare ai processi decisionali all’interno di un consiglio di amministrazione. Per coinvolgere la parte pubblica la nostra azienda ha istituito una consulta delle associazioni di cittadini con cui colloquiare e che viene coinvolta a seconda dei temi affrontati. La nostra esperienza insegna che la partecipazione dei gruppi di cittadini è una strada da percorrere nei processi decisionali che riguardano l’innovazione intesa non solo come device e tecnologia robotico ma anche come farmaco e percorso assistenziale.
Il robot Da Vinci e alcune applicazioni nel campo della chirurgia urologica sono ancora controverse in termini di rapporto costi-efficacia. In alcuni casi il decisore si può trovare nella condizione di riconvertire certi percorsi appena iniziati: è il concetto del medical reversal che spesso riguarda novità presentate come innovazioni. Ha qualche esperienza in merito?
Per quanto riguarda la robotica Da Vinci o simili – di cui sono una fautrice – abbiamo scelto di introdurla in chirurgia toracica in modo puntuale e rigoroso, laddove richiesto, secondo le linee guida senza ampliarne l’uso in campi non indicati e in accordo con il chirurgo. Nella mia professione di dirigente sanitario, e non solo, mi sono trovata più volte nella condizione di non introdurre delle tecnologie importanti anche se già collaudate perché il rapporto costo-beneficio non era congruo o perché la loro adozione avrebbe comportato uno stravolgimento del quadro organizzativo senza un reale beneficio. Una volta introdotta la tecnologia andrebbe monitorata per verificarne la reale efficacia e appropriatezza sulla cui base valutare se amplificarne o meno l’uso all’interno della struttura. Qui al Careggi monitoriamo l’attività svolta dopo l’introduzione di un’innovazione e ci mettiamo in rete con altre realtà che svolgono valutazioni analoghe al fine di avere delle comparazioni. I monitoraggi in essere ci stanno dimostrando la solidità delle scelte compiute e dei miglioramenti raggiunti negli ultimi anni grazie all’introduzione di nuove tecnologie – avendo però le competenze perché la tecnologia da sola non basta. Come ho già sottolineato l’ingresso di un’innovazione richiede nuove organizzazioni e nuove competenze: ogni volta che al Careggi abbiamo introdotto delle grandi innovazioni, abbiamo modificato realmente l’assetto organizzativo e abbiamo introdotto anche professionalità nuove che sapevano utilizzare le tecnologie. I risultati sono stati importanti sia in termini di volumi complessivi migliorati e aumentati, sia anche in termini di mortalità, di complicanze, che di degenza ridotta all’intero follow-up, fatto che è stato dimostrato anche dagli indicatori Agenas.
L’innovazione, volto applicativo della ricerca, è una componente di cui la sanità non può fare a meno perché ne rappresenta l’anima.
Qual è una innovazione organizzativa recente, qui al Careggi, di cui lei è fiera?
Sono diverse. Una di queste è la riorganizzazione dell’oculistica conseguente all’introduzione di un’innovazione d’avanguardia: l’occhio bionico. Il Careggi è l’unico centro italiano di riferimento per l’impianto della retina artificiale con 30 interventi eseguiti negli ultimi cinque anni. Per l’azienda questo non si traduce in grandi guadagni economici: la protesi costa più di 120.000 euro e non ci sono rimborsi; ma ha un impatto sociale enorme: grazie a questo intervento una persona con retinite pigmentosa può riacquistare una nuova capacità visiva seppur parziale. L’introduzione di questa innovazione ha modificato tutto il percorso dell’attività dell’oculistica che ha raggiunto alti livelli di qualità dalla gestione dei tumori oculari rari ai comuni interventi di cataratta (gli interventi di cataratta sono cresciuti da 1800 a 7000) e ha comportato una rivisitazione dell’intero percorso del paziente con problemi all’apparato visivo. Oggi l’oculista di Careggi è un centro di eccellenza nazionale, riconosciuto anche a livello internazionale. Un altro ambito di cui vado fiera è quello della terapie cellulari per il quale siamo diventati un riferimento internazionale. La nostra azienda ha partecipato a una ricerca multicentrica italo-inglese sull’autotrapianto cellule staminali del sangue nei pazienti affetti da sclerosi multipla che sono stati seguiti dopo la procedura per una media di quasi sette anni. Motivo di orgoglio è anche l’adozione della robotica che è un ambito di grande sviluppo e impatto non solo in urologia ma anche in chirurgia generale, otorino ed ortopedia. Anche la chirurgia per patologie complesse in oncologia e in cardiologia richiede oggi un gruppo di professionisti iperspecialisti, nonché tecnologie innovative. L’innovazione sia tecnologica, che comprende la robotica, i device, eccetera, ma anche le terapie cellulari e i nuovi farmaci, ha cambiato e sta cambiando il mondo della sanità e anche la percezione di salute e di guarigione. L’innovazione, volto applicativo della ricerca, è una componente di cui la sanità non può fare a meno perché ne rappresenta l’anima.
aprile 2017