Se in settori commerciali relativamente meno regolamentati, come la vendita di automobili e i servizi online, la regolamentazione oppone una forte resistenza all’innovazione, è facile immaginarne gli effetti in ambito energetico, farmaceutico, delle neuroscienze, della tecnologia medica e di altri settori caratterizzati da regolamenti più complicati. L’investitore Peter Thiel ha messo a confronto due mondi diversi dal punto di vista delle regole ed esaminato come i diversi approcci regolatori comportino esiti innovativi differenti. Nel “mondo dei bit” la regolamentazione è intervenuta, per qualche tempo, con “mano leggera”, mentre pesante è stato il suo effetto sul ‘mondo degli atomi’. Questa differenza spiega perché negli ultimi decenni ci sia stata maggiore innovazione nel software in confronto agli oggetti materiali. I progressi della moderna tecnologia del software sono generalmente apprezzati, ma raramente ci si chiede perché i cambiamenti tecnologici siano tanto più rapidi in questo settore rispetto ad altri. Dopo tutto, buona parte del nuovo sviluppo tecnologico nel “mondo dei bit” è caratterizzata da scarsi profitti e pessima qualità. L’economista Alex Tabarrok ha chiarito questo aspetto: “Yo è un app per smartphone. MelaFind è un dispositivo medico. Yo invia un messaggio insignificante: ‘Yo!’ MelaFind vi dice: ‘In questo caso fate una biopsia, in quest’altro no’. MelaFind salva delle vite, Yo no. Provate a indovinare: quale azienda mette più agevolmente a disposizione dei consumatori il proprio prodotto? Oy” [1].
Un’app per smartphone che invia un messaggio insignificante non ha bisogno di regolamentazione. Un dispositivo medico è diverso. Ma, come osserva l’innovatore Joseph Gulfo nel suo racconto kafkiano su MelaFind e la sua richiesta di approvazione per immettere sul mercato il prodotto, l’innovazione viene scoraggiata dal peso eccessivo della regolamentazione [2]. Non stupisce, allora, che le economie occidentali abbiano difficoltà ad ampliare i confini dell’innovazione o che l’incremento dei livelli di produttività sia insoddisfacente. Disponiamo di una grande quantità di gadget e tecnologie che non rendono più produttive le nostre abitudini, ma di scarse innovazioni radicali, necessarie per esercitare un effetto dirompente sulle economie e creare maggiore competizione e rinnovamento economico.
L’innovazione viene scoraggiata dal peso eccessivo della regolamentazione.
È forse per questo che molte delle innovazioni dello scorso decennio hanno influenzato il nostro tempo libero più di quanto abbiano migliorato le competenze professionali nel mondo del lavoro. Ad esempio, il fiorente mondo delle app sembra essere più promettente per le nostre attività private che per la nostra produttività lavorativa. Diversamente dal periodo in cui vennero rapidamente introdotte apparecchiature per la manutenzione domestica, molte nuove tecnologie attualmente in uso nella nostra vita privata non stanno rendendo le persone più libere di concentrarsi sulla propria carriera o di essere più efficienti nel lavoro.
L’opinione dell’economista John Kay è simile ma in una prospettiva diversa. “I progressi tecnologici del passato decennio – afferma – hanno straordinariamente migliorato l’efficienza domestica ma non quella del mondo degli affari” [3]. Questa tendenza si spiega in parte con la regolamentazione. Non è difficile comprendere perché la regolamentazione abbia un ruolo importante nel determinare i settori, o la direzione, dell’innovazione; le decisioni dei consigli di amministrazione e dei finanziatori relative agli investimenti per l’innovazione sono influenzate dalla regolamentazione, e l’investimento difficilmente verrà finanziato nell’eventualità di un conflitto che possa schiacciare una nuova promettente tecnologia.
Queste prevedibili reazioni spiegano anche i modelli di innovazione all’interno dei settori caratterizzati, in tempi recenti, dai maggiori cambiamenti. Investitori e innovatori in ambito digitale parlano di un modello di innovazione “offshore” che si orienta verso prodotti con scarso rischio di regolamentazione contraria alla commercializzazione di una nuova tecnologia. “Se mi chiama qualcuno con un’idea brillante per la pubblicità online in Germania, pongo immediatamente fine alla conversazione. Non sono uno stupido”, dice un investitore in capitale di rischio della San Francisco Bay Area, attivo sul mercato europeo e a conoscenza dello strano modo in cui la Germania regolamenta la pubblicità online [4].
Come dimostra l’esempio di MelaFind, in ambito sanitario la regolamentazione esercita un forte impatto non soltanto sull’indirizzo dell’innovazione ma anche sulla rapidità di diffusione. E questo non è sfuggito ad altri investitori e imprenditori. Sergey Brin di Google, ad esempio, a proposito del settore sanitario ha osservato: “È davvero penoso averci a che fare… Negli Stati Uniti il peso della regolamentazione è così gravoso che, a mio parere, dissuaderebbe molti imprenditori” [5].
La ragione è semplice. Basta considerare i costi, e talora il tempo, necessari per far approvare un nuovo farmaco o dispositivo medico dalla Food and drug administration (Fda) negli Stati Uniti o dai suoi analoghi in altre parti del mondo. I costi sono aumentati quasi ininterrottamente − e più rapidamente del tasso di inflazione. Secondo una rilevazione di alcuni anni fa del Tufts Center for the Study of Drug Development, il costo dello sviluppo di un nuovo farmaco approvato dalla Fda è aumentato di 13 volte tra il 1975 e il 2005 [6]. All’inizio degli anni 2000 il costo era di circa 1,3 miliardi.
Alcuni mettono in discussione questa cifra, sostenendo che sia di fatto più elevata, o addirittura molto più elevata. Più recentemente, studiosi del Tufts Center hanno affermato che il costo medio di sviluppo per un farmaco approvato con obbligo di prescrizione medica (comprensivo di insuccessi e costi del capitale) sia arrivato a circa 2,6 miliardi di dollari [6]. Secondo il giornalista scientifico Matthew Herper che ha esaminato le spese per ricerca e sviluppo sostenute in 15 anni dalle aziende del settore farmaceutico e che le ha confrontate con i costi per l’approvazione dei farmaci, la cifra è considerevolmente maggiore, più di 4 miliardi di dollari [7].
All’incremento dei costi concorrono diversi fattori. Uno è l’aumento dei costi di sviluppo di nuovi farmaci per diagnosi complesse; un altro è la maggiore spesa per la regolamentazione, dovuta ad esempio al costo dei trial clinici richiesti dagli enti regolatori. Lo studioso Avik Roy sostiene, ad esempio, che la spesa per ricerca e sviluppo necessaria per i trial clinici di fase III sia aumentata notevolmente e rappresenti circa il 90% del costo totale per un farmaco approvato [8]. Questo incremento è dovuto alla maggior quantità di informazioni richieste dalla Fda.
Secondo il primo studio Tufts, tra il 1999 e il 2005 la durata di un trial clinico è aumentata del 70 per cento e l’onere dello staff clinico del 67 per cento [9]. In anni più recenti altri studi hanno rilevato che a far lievitare i costi non sia tanto il tempo necessario per ottenere l’approvazione della Fda, quanto piuttosto l’estensione e la complessità dei trial clinici. Secondo Roy le difficoltà connesse al sistema di approvazione della Fda non derivano soltanto dai cambiamenti intervenuti nella regolamentazione dei trial clinici di fase III, ma anche dalla impossibilità per il sistema di funzionare in modo efficiente con i nuovi farmaci per le malattie croniche piuttosto che per le malattie acute o rare. L’attuale approccio, con minor enfasi sulle approvazioni condizionate, porta a un mercato in cui sono troppo pochi i farmaci motivati da ragioni commerciali − e dove soltanto le grandi aziende possono permettersi il rischio finanziario di sottoporre un farmaco a un trial clinico di fase III. Le industrie farmaceutiche hanno reagito a questo cambiamento. Alcune hanno ridotto le risorse per le attività di ricerca e sviluppo e le hanno riallocate nell’acquisto di aziende più piccole con nuovi medicinali che hanno già superato i primi ostacoli per l’autorizzazione all’immissione in commercio. Restringendo i propri confini, queste aziende si sono specializzate nella conoscenza approfondita di tutti i dettagli dei sistemi regolatori.
Lo studio dei costi e della complessità della regolamentazione non è una scienza esatta e le risorse necessarie per immettere un nuovo farmaco sul mercato possono essere superiori o inferiori alle cifre sopra citate. È, tuttavia, indubbio che per gli investitori e le aziende la commercializzazione di un nuovo farmaco sia caratterizzata da una crescente complessità e che gli investimenti in innovazione siano condizionati dall’incremento dei costi. Questa situazione non riguarda soltanto big pharma, ma forse ancora di più gli investitori di private equity nel settore sanitario (il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società definita target sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando nuovi capitali all’interno della target, ndr) e, come sostiene Roy, le piccole aziende innovative che non possono permettersi di esporsi ai rischi di un procedimento che richiede tempo e risorse ingenti. Ne risentono anche le aziende produttrici di farmaci generici che non possono ottenere le approvazioni in tempi rapidi, con una competizione sul mercato dei farmaci a brevetto scaduto resa ancora più difficile.
L’innovazione nel settore dei dispositivi medici deve affrontare problemi analoghi. I tempi necessari per immettere sul mercato un prodotto innovativo – e, quindi, l’intervallo che precede la diffusione – sono diventati più lunghi. L’iter per l’autorizzazione all’immissione in commercio è generalmente più lungo negli Stati Uniti che in Europa. Ma per un effettivo accesso al mercato europeo dei prodotti sanitari – per essere in grado di vendere realmente il prodotto – è inoltre necessario un processo molto lungo finalizzato all’ottenimento delle autorizzazioni governative per i rimborsi nei diversi paesi e regioni. È, certamente, necessario che i dispositivi medici e i farmaci nuovi dimostrino la loro efficacia per i consumatori in modo diverso dagli altri beni di consumo e servizi, ma i tempi richiesti dai processi di approvazione sono notevolmente lenti e compromettono l’innovazione e la portata di un positivo adattamento alle economie.
Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha confrontato “il tempo per arrivare sul mercato” per i dispositivi sottoposti alla procedura di approvazione sia commerciale sia del rimborso, contiene un messaggio che fa riflettere, rivolto specialmente ai pazienti europei [5]. Negli Stati Uniti per lo sviluppo di una tecnologia medica media sono necessari 21 mesi. In Germania la stessa procedura richiede più di 70 mesi considerando anche i tempi per l’autorizzazione all’immissione in commercio e per il rimborso. Negli Stati Uniti per un prodotto come il pacemaker impiantabile Stratos, il tempo per arrivare sul mercato, che intercorre tra la richiesta alla Fda e la decisione per il rimborso, è stato di 14 mesi. La stessa procedura, in Francia, ha richiesto quasi 40 mesi e le autorità italiane hanno impiegato 70 mesi per autorizzare l’accesso al mercato. La prima richiesta di approvazione del prodotto è stata presentata, in Italia, cinque anni prima di quella negli Stati Uniti, eppure i pazienti americani hanno avuto accesso al dispositivo prima dei pazienti italiani.
Alla fine sono i pazienti a soffrirne. Se anche la tecnologia dovesse avere la meglio sulla politica, ciò non avverrà certo immediatamente.
Alla fine sono i pazienti a soffrirne. Se anche la tecnologia dovesse avere la meglio sulla politica, ciò non avverrà certo immediatamente. E, a nostro avviso, questo è parte del reale problema dell’innovazione per i paesi occidentali. Pur essendoci ottime ragioni alla base di molte regolamentazioni, politica e innovazione non sono realmente in sintonia, neppure con l’idea di un’incombente accelerazione nel dirompente progresso tecnologico. La maggior parte delle volte, i sistemi regolatori − per come li conosciamo − rallentano l’innovazione invece di accelerarla, indeboliscono la capacità innovativa delle aziende alimentando l’incertezza nel processo regolatorio e dilatando i tempi di immissione sul mercato. È semplicemente impossibile motivare gli investimenti in innovazione se la procedura di approvazione può ritardare per anni l’accesso al mercato. Per gli investitori che hanno riversato capitali in progetti innovativi è come essere intrappolati nella Valle della Morte. Al giorno d’oggi gli investitori sono ben consapevoli di dove si nascondano i rischi ed esitano a lungo prima di avventurarvisi. Tuttavia, anche troppo spesso finiscono per rinunciare a progetti innovativi che possano essere oggetto di contestazione e ai relativi investimenti.
[Traduzione di Daniela Bausano]Testo originale
The innovation illusion. How so little is created by so many working so hard. New Haven: Yale University Press, 2016; pp: 140-4.
Bibliografia
[1] Tabarrok A. It’s Broke, Fix It. The Wall Street Journal 2014; 11 agosto.
[2] Gulfo JV. Innovation breakdown: how the Fda and Wall Street cripple medical advances. Franklin (Tennessee): Post Hill Press, 2014.
[3] Kay J. Miracles of productivity hidden in the modern home. Financial Times 2015; 11 agosto.
[4] Erixon F. Eu policies on online entrepreneurship: conversations with Usa venture capitalists. Ecipe.org 2015; giugno.
[5] Growing Protocol Design Complexity. Tufts Csdd impact reports single issue 2008; vol.10, n.1.
[6] DiMasi JA, Grabowski HG, Hansen RA. Innovation in the pharmaceutical industry: new estimates of R&D costs. Journal of health economics 2016; 47: 20-33.
[7] Herper M. The truly staggering cost of inventing new drugs. Forbes 2012; 10 febbraio.
[8] Roy A. Stifling new cures: the true cost of lengthy clinical drug trials. Project Fda report 5, marzo 2012.
[9] Basu S, Hassenplug JC. Patient access to medical devices. N Engl J Med 2012;367:485-8.