Nell’articolo “Finding the missing link for biomedical data” [1], da lei preparato insieme a Kenneth D. Mandl e Isaac S. Kohane, scriveva che “i big data diventano un elemento di cambiamento quando diversi dataset possono essere collegati a livello della singola persona”. Qual è la situazione negli Stati Uniti, a questo riguardo?
Negli Stati Uniti la sanità è molto frammentata e vede i pazienti trattati in molti ospedali e ambulatori diversi, con un passaggio frequente da un’assicurazione a un’altra. A causa delle preoccupazioni per la riservatezza, i dati sono deliberatamente mantenuti isolati in ciascuno di questi grandi contenitori e c’è una forte resistenza a creare un codice di identificazione personale che possa avere valore nazionale. Tutto ciò rende molto difficile integrare tutte le informazioni che riguardano una singola persona.
Quali opportunità offrono i big data alla ricerca sanitaria?
L’espressione “big data” può avere diversi significati nell’ambito della ricerca sanitaria. Nuove tecnologie informatiche, come gli strumenti di interrogazione e ricerca all’interno di diversi centri ospedalieri, stanno garantendo ai ricercatori l’accesso alle tradizionali informazioni sanitarie – come quelle contenute nelle cartelle cliniche elettroniche o nelle richieste amministrative di risarcimento – di decine di milioni di pazienti. In questo caso, laddove i big data si riferiscono alla numerosità dei malati, i ricercatori possono disporre di campioni sufficientemente vasti per notare piccole variazioni nella morbilità tra sottopopolazioni diverse per caratteristiche demografiche o geografiche, identificando effetti di geni o monitorando gli effetti indesiderati anche rari di alcuni medicinali.
Ragionare sui big data biomedici può anche significare guardare oltre il sistema sanitario, individuando altre fonti di dati che possano essere collegate alla salute dei cittadini. Per esempio, i modelli di acquisto nei negozi di alimentari possono implementare e migliorare dei pattern predittivi sulla prevalenza di obesità e diabete di tipo 2; i dispositivi wearable che tracciano l’esercizio fisico possono fornire indicazioni sull’azione dei farmaci per la riduzione dei livelli di colesterolo; la distanza tra l’abitazione del paziente dall’ospedale o dalla farmacia può influenzare l’utilizzo dei presidi di assistenza sanitaria e anche il costo; e gli amici su Facebook dei pazienti possono influenzare le scelte sugli stili di vita e l’aderenza alle terapie.
Nell’articolo pubblicato sul Jama, avete presentato un framework in cui convergono molte forme diverse di informazione sanitaria, comprese quelle che possono fornire dati provenienti da flussi esterni al sistema sanitario stesso, quali per esempio i social media…
Sì, e la prima sfida che ci si trova ad affrontare usando bene i big data biomedici è quella di identificare le potenziali fonti di informazioni riguardanti la salute e come determinare il valore che può essere ottenuto collegando le une con le altre. Per esempio, le cartelle cliniche elettroniche possono scendere più in profondità comprendendo appunti, note cliniche e immagini diagnostiche raccolte nel corso del percorso di cura del singolo paziente, mentre i dati amministrativi possono svilupparsi longitudinalmente con la sintesi delle codifiche di fatturazione lungo un ampio periodo della storia sanitaria di un malato. Social media, documentazione di acquisto con le carte di credito, record anagrafici e molti altri tipi di dati, nonostante siano caratterizzati da una qualità variabile, possono contribuire a determinare una visione olistica del paziente e, in particolare, a chiarire i fattori sociali e ambientali in grado di influenzare la salute. Comunque, non è necessario collegare tutti questi tipi diversi di dati. La chiave è nel selezionare quelli che possono rivelarsi più utili per rispondere al quesito di ricerca.
“La prima sfida che ci si trova ad affrontare usando bene i big data biomedici è identificare le potenziali fonti di informazioni riguardanti la salute e come determinare il valore che può essere ottenuto collegando le une con le altre.”
Bibliografia
[1] Weber GM, Mandl KD, Kohane IS. Finding the missing link for big biomedical data. Jama 2014;311:2479-80.