“La smart technology non sono solo destabilizzanti: possono anche conservare lo status quo. Rivoluzionarie in teoria, sono spesso reazionarie nella prassi[1]” — Evgeny Morozov
Per la decima edizione del festival della rivista settimanale Internazionale, il primo weekend di ottobre si sono riuniti a Ferrara giornalisti, intellettuali e scrittori da tutto il mondo per parlare di attualità e informazione, economia e letteratura, ma anche di fumetti e fotografia. Tra loro Evgeny Morozov, sociologo e giornalista bielorusso, oggi uno degli intellettuali di riferimento in merito al dibattito sugli effetti politici e sociali dello sviluppo della tecnologia. Morozov è noto per le sue posizioni critiche e in controtendenza rispetto al comune ottimismo sulle potenzialità democratizzanti di internet.
Secondo Morozov uno dei temi centrali del nostro tempo è la regolamentazione dello spazio cibernetico. Per poter comprendere meglio la questione bisogna tornare indietro agli anni Ottanta, stagione in cui è emersa l’idea che vedeva il cyberspazio come un luogo distinto dal mondo reale e quindi regolato dal cosiddetto diritto cibernetico. Oggi molte aziende della Silicon Valley hanno pensato di sfruttare a loro vantaggio la diversa legislazione. Esempio calzante è quello di Airbnb che, non appena si è tentato di regolamentarne la attività online con le leggi nazionali, è ricorsa in giudizio sostenendo di essere vittima di censura. Unica soluzione, a parere di Morozov, è smettere di attenersi alla visione ingenua di internet come mondo diverso.

Nei grandi dibattiti sulla rete e l’innovazione ci si è sempre limitati a parlare del digitale per il digitale, senza considerare invece le conseguenze che questo ha avuto su politica, economia e società. Ed è proprio questo l’errore secondo Morozov: il cyberspazio non può essere considerato un mondo separato perché internet è al centro del contemporaneo economico e sociale in cui ci troviamo. La Silicon Valley non è così diversa da Wall Street e le grandi piattaforme digitali come Amazon, Google e Facebook, spinte dagli stessi istinti predatori della finanza, si stanno appropriando dello spazio pubblico monopolizzando i dati personali. Come scrive Morozov nella sua raccolta di saggi “Silicon Valley: i signori del silicio” [2], “le aziende della Silicon Valley stanno piazzando un filo spinato invisibile intorno alle nostre vite. Sulla carta ci promettono più libertà, apertura e mobilità, ci dicono che possiamo andare dove vogliamo quando vogliamo, ma in realtà si tratta di una libertà fasulla, come quella di chi deve portare il braccialetto elettronico”.
Queste società, infatti, offrono ai cittadini un sistema solo apparentemente conveniente perché in cambio di servizi sempre più a basso costo, o addirittura gratuiti, ricevono la titolarità dei dati collettivi. Ormai è stato costruito un mercato di dati su cui le aziende hanno fondato il loro business, ma le nostre numerose informazioni personali non dovrebbero esistere come un qualcosa che può essere venduto. E i cittadini continuano a essere indeboliti dai trattati commerciali transnazionali che stanno limitando i loro diritti e aumentando quelli delle aziende. Ci troviamo così nel bel mezzo di un paradosso: il diritto alla privacy sta diventando il servizio al diritto alla privacy, se lo si desidera lo si deve comprare.
Secondo Morozov, è come se la Silicon Valley avesse due mani: la sinistra buona che ci offre i servizi gratuitamente e la destra cattiva che cattura e rivende i nostri dati. I cosiddetti big data sono infatti così importanti che l’industria tecnologica riesce a controllare persino la nostra immaginazione e il nostro futuro attraverso la costruzione di storie, facendo diventare la Silicon Valley la più grande storyteller del mondo occidentale.
E i mercati ormai possono raggiungerci nelle nostre case facendoci offerte che non possiamo rifiutare. “La rapida ascesa della sharing economy – sostiene Morozov – può essere letta anche in questa chiave: il capitalismo dispone ora di nuove tecnologie capaci di convertire ogni merce che sia stata comprata, e quindi rimossa dal mercato diventando un capitale inerte poco utile, in oggetti affittabili che non abbandonano mai il mercato”. Che la sharing economy stia rendendo le conseguenze dell’attuale crisi economica più sopportabili è innegabile, ma “il fatto è che nell’affrontarne le conseguenze non fa nulla per rimuoverne le cause. È come distribuire tappi per le orecchie contro i fastidiosi rumori stradali, invece di fare qualcosa per ridurli”.
Come si addice a Silicon Valley, i big data sono per lo più una grande campagna pubblicitaria, ma c’è una possibilità: che un giorno possano portare profitti a milioni di persone che attualmente non hanno accesso ad essi. — Evgeny Morozov
Per fare in modo che il costo di un sistema alternativo alla Silicon Valley non ricada sul cittadino consumatore, che si troverebbe a dovere pagare di più un servizio offerto da aziende tradizionali, Morozov sostiene la necessità di un’alternativa di tipo governativo a Uber e Airbnb, i giganti della sharing economy. Si deve quindi guardare alle istituzioni pubbliche per raccogliere e gestire i dati che ora sono nelle mani delle aziende della Silicon Valley: “È importante che i big data rimangano nelle mani dei cittadini. Ma anche l’Europa non dovrebbe pensare a un’autorità che sia alternativa a Google, ma realizzare invece una piattaforma pubblica che si articoli in infrastrutture più o meno piccole a disposizione della comunità”. Inoltre, per Morozov è questo l’unico modo affinché l’Europa non rimanga sottomessa alla regola americana.
L’intervento pubblico, conclude Morozov, è tanto più urgente poiché le società digitali si stanno muovendo molto più di quanto pensiamo, per avere sempre più potere. “Ormai Google, operando spesso a Bruxelles, influenza la politica e si sta facendo strada perfino nel settore dell’energetica. Dunque, bisogna trovare un’alternativa. O vogliamo davvero che in futuro sia tutto gestito da Airbnb, Facebook e Google?”.
Bibliografia
[1] Morozov E. Imprisoned by innovation. The New York Times 2013; 23 marzo.
[2] Morozov E. Silicon Valley: i signori del silicio. Torino: Codice Edizioni, 2016.
Conseguenze politiche e morali del consumismo informativo
Deve esserci ben chiaro che stiamo andando incontro a un’apocalisse informativa, in un mondo in cui i dati personali sono oggetto di scambio come se fossero caffè o una qualsiasi altra merce. Si prenda l’argomento tanto in voga dei vantaggi derivanti dalla cessione dei propri dati in cambio di benefici commerciali tangibili. Mettiamo che decidiate di installare un sensore sulla vostra automobile per provare all’assicurazione che guidate in modo molto più sicuro dell’automobilista medio secondo il suo modello dei prezzi per le polizze. Benissimo: se siete sopra la media, pagherete meno. Il problema con i valori medi, tuttavia, è che metà della popolazione è sempre al di sotto del valore di riferimento; e inevitabilmente — al di là del fatto che ci vogliano monitorare o no — quella metà sarà costretta a pagare di più: se chi ha più successo accetta l’auto-tracciamento, allora la maggior parte delle istituzioni sociali finirà per concludere (in modo del tutto logico) che chi invece lo rifiuta abbia qualcosa da nascondere.
Secondo questo modello, le implicazioni della cessione dei miei dati personali non riguardano più soltanto il mercato e l’economia, ma si estendono anche all’ambito etico. Se la mia scelta di vendere i miei dati personali fa stare peggio qualcun altro, privandolo di alcune opportunità, allora ho un fattore etico extra da prendere in considerazione: l’economia da sola non basta. Tutto questo per dire che il consumismo informativo ha profonde conseguenze politiche e morali, comparabili al consumismo energetico per estensione e importanza. Intellettuali e partiti politici dovrebbero impegnarsi per mostrare la reale portata di queste conseguenze. Dovremmo fare del nostro meglio per contrastare l’apparente normalità economica della condivisione di informazioni. Un atteggiamento del tipo “è solo business!” non basta più.
La condivisione di informazioni darà anche vita a un mercato vivace, ma manca di una cornice etica a supporto. Più di trent’anni fa, Michel Foucault è riuscito a prevedere che il neoliberismo ci avrebbe trasformati in “imprenditori di noi stessi”, ma non dimentichiamo che l’imprenditoria non è priva di lati negativi: come la maggior parte delle attività economiche, può generare esternalità negative, dall’inquinamento al rumore. L’imprenditoria basata sulla condivisione di informazioni non fa eccezione.
Evgeny Morozov
Da: I signori del silicio. Codice Edizioni.