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Influencer Interviste

Il mondo degli influencer? Bello, ma non ci vivrei

Il punto di vista delle industrie farmaceutiche

Intervista a
Francesca Patarnello

VP Market access & Government affairs, AstraZeneca

Dario Scapola

Integrated access management Director, Roche

Ivan Silva Romero

Southern cluster payer value & Patient access Director, Kyowa Kirin

informazione salute influencer farmaceutiche
Fotografia di Lorenzo De Simone

Il panorama dell’informazione sulla salute e sulle terapie è cambiato negli ultimi anni?

Dario Scapola. Il panorama dell’informazione sulla salute in generale è cambiato sostanzialmente negli ultimi dieci anni, favorito dallo sviluppo dei social media come importante mezzo da cui attingere e deliverare informazioni. I social, nei fatti, hanno dato a chiunque lo volesse la possibilità di commentare qualsiasi cosa, pur senza avendo, molto spesso, le necessarie competenze e conoscenze per poterlo fare e rendendo così la comunicazione inappropriata e pericolosa. Ad esempio, quando nell’informazione sulla salute si decide di commentare l’efficacia di un farmaco o la disponibilità dello stesso presso i centri prescrittori, lo si deve fare nei rispetti della normativa e dei decreti che disciplinano l’informazione scientifica degli stessi. Il non farlo (e troppo spesso capita nei social media), oltre ad infrangere la norma, rischia di creare un’illusione o una preoccupazione nei pazienti, che dovrebbe o potrebbe essere evitata. In Roche, abbiamo un sistema di monitoraggio sui social e poniamo seria attenzione a quello che viene pubblicato e, nel contempo, spendiamo tempo e risorse in una continua formazione alle nostre persone, affinché la nostra informazione scientifica sulle aree terapeutiche in cui siamo presenti e nelle quali introduciamo innovazione farmacologica e tecnologica sia effettuata nel rispetto delle norme e del buon senso. Sono dunque ancora molto combattuto, osservando l’evoluzione della comunicazione sulla salute, se questa sia stata positiva o negativa; perché se da una parte ne vedo un salutare sviluppo naturale in un mondo che sta allargando i propri modelli di comunicazione, dall’altra ne intravedo l’abuso. Durante la pandemia, secondo me, abbiamo toccato con mano “il mio dubbio” sul cambiamento in corso. L’acceso dibattito, con toni violenti tra vax e no-vax, tra scienziati e non scienziati, sul nuovo virus si è sviluppato proprio perché tutti, avendo accesso in maniera incontrollata ad ogni tipo di piattaforma di comunicazione, pensavano di avere il diritto, la competenza e la conoscenza per parlare di determinati argomenti, pur non avendo nulla di tutto ciò. Il mondo sanitario, invece, dovrebbe rimanere ancora un settore in cui l’alzare la mano per prendere la parola dovrebbe rimanere un atto agevolato a chi ha le competenze per poterlo fare inclusi gli influencer competenti che, con i loro messaggi basati su evidenze, chiariscono, con linguaggi semplici e più diretti, dubbi e perplessità.

Prendere la parola dovrebbe rimanere un atto agevolato a chi ha le competenze per poterlo fare. Inclusi gli influencer competenti. – Dario Scapola

Francesca Patarnello. L’informazione sulla salute è cambiata perché è cambiata la nostra percezione della salute, in particolare dopo la pandemia covid. Ma non è soltanto questo. La facilità di dialogare attraverso sistemi digitali e la produzione continua di nuovi contenuti sui social media hanno accelerato esponenzialmente la produzione e lo scambio di informazioni. Fino ad alcuni anni fa poche persone detenevano la gran parte delle informazioni che comunicavano in modo parsimonioso e, in un certo modo, esclusivo. Oggi la situazione è cambiata: molte persone “competono” sul fronte dell’informazione ed è aumentato il bisogno di attirare l’attenzione spesso con notizie, o almeno titoli, più sensazionalistici. Ad essere cambiato è anche l’obiettivo del comunicatore che è quello di costruire una rete attorno all’oggetto dell’informazione e di farla crescere raccogliendo sempre più persone. Ma per sapere se la comunicazione è cambiata in meglio o in peggio andrebbe valutata la qualità dell’informazione stessa, in relazione all’obiettivo dell’informazione. Sono dell’idea che il grande cambiamento riguarda proprio il fatto che l’obiettivo principale dell’informazione sia evoluto nel costruire e alimentare una rete di persone interessate all’argomento. Per attirare l’attenzione di un maggior numero di persone si punta spesso su notizie che riportano fatti eccezionali e non informazioni strutturate, con la conseguenza che i destinatari dell’informazione sono sempre meno interessati alla comunicazione più approfondita, qualificata e validata, che fino a qualche anno fa era quella dell’esperto.

Ivan Silva Romero. Assolutamente sì. L’industria farmaceutica è ancora abituata al fatto che l’opinion leader, spesso un medico, sia l’unica persona a poter dare la sua opinione su una patologia o un prodotto. Oggi con i social media tutti possono diventare influencer e potenzialmente parlare di ciò che vogliono: medici, farmacisti, infermieri, sociologi, psicologi.

A suo parere, c’è una continuità di “funzione” e di impatto sui comportamenti sanitari tra opinion leader e i influencer sanitari?

Dario Scapola. Vedo positivamente il grande opinion leader diventare anche influencer. Da lui/lei mi aspetto che sappia utilizzare sapientemente ogni strumento di comunicazione adattando il messaggio alla diversa piattaforma che deciderà di impiegare. Oggi non trovo ancora sia così.

Una maggiore libertà nella comunicazione può favorire lo scambio di idee o è rischiosa?

Ivan Silva Romero. Credo sia allo stesso tempo un’opportunità e un rischio. Da un lato andare su qualsiasi social media e trovare la risposta alla domanda che cerchi rende tutti uguali, tutti parte di un unico mondo; dall’altra c’è il rischio che le fonti non siano appropriate, che chi parla lo faccia senza cognizione di causa e per questo anche se pensi di aver trovato la risposta non è quella corretta. L’unica soluzione penso sia essere sempre più aperti a collaborare con gli influencer, se invece rimaniamo conservativi, non andiamo da nessuna parte.

L’unica soluzione penso sia essere sempre più aperti a collaborare con gli influencer. Se invece rimaniamo conservativi, non andiamo da nessuna parte. – Ivan Silva Romero

Francesca Patarnello. Abbiamo una grande domanda di informazioni rivolta al paziente sull’educazione sanitaria, sull’uso dei farmaci e la diagnosi, sull’accesso alle terapie e sui percorsi di cura che esula l’area del farmaco. Penso che l’industria possa fare qualcosa per soddisfare questa domanda e che possa farlo in un modo molto qualificato perché altrimenti impatterebbe negativamente sulla reputazione aziendale. Se n’è parlato tante volte per decenni ma non si è mai riusciti a costruire uno spazio per l’informazione al pubblico normato e non totalmente ingessato: è ovvio che se mettiamo troppi paletti alcune attività diventano ingestibili nella pratica. Serve quindi studiare un modo per cui anche le aziende farmaceutiche possano – in maniera regolata – contribuire ad offrire delle informazioni sul mondo della salute e del farmaco che siano a vantaggio dei pazienti, e costruire qualche cosa di più rispetto allo strumento delle medical information adottato dalle aziende per fornire informazioni mediche sui farmaci ma insufficiente per essere una risposta alla domanda di informazioni rivolta al paziente.

La vostra azienda ha mai coinvolto un influencer e, in caso, con quali risultati?

Francesca Patarnello. Dovremmo definire che cosa intendiamo per influencer. Se per influencer intendiamo la persona che – per lavoro – costruisce una rete per promuovere un prodotto dell’azienda sponsor, non ci siamo mai affidati a questa figura né ci siamo mai rivolti agli influencer il cui oggetto di comunicazione rientra in alcune aree di nostro interesse. Al contrario, se per influencer intendiamo una persona che tramite il suo network aiuti a sensibilizzare sui temi riguardanti la salute, sì li abbiamo coinvolti in diverse iniziative. Diverso invece è il ruolo dell’esperto, del clinico o anche del rappresentante di associazioni di pazienti ad esempio. In questo caso la comunicazione e l’informazione sono importantissimi, ma non li classificherei tra le attività di “influencer”. Sicuramente il loro ruolo e la loro expertise sono fondamentali anche nel caso di campagne di disease awareness al fine di veicolare, in modo semplice ed esaustivo, i messaggi che vogliamo trasmettere, ad esempio, l’importanza dell’aderenza alle terapie o quella della dieta in presenza di alcune malattie.

La salute è un ambito che si presta molto alla figura dell’influencer perché riguarda tutti i destinatari delle informazioni e perché i messaggi arrivano facilmente soprattutto nei momenti di difficoltà e fragilità delle persone che diventano più sensibili a questo tipo di comunicazione. La figura dell’influencer medico-scientifico è legittima se l’obiettivo è quello di fare una buona comunicazione e cambiare in meglio i comportamenti delle persone. Il punto critico è la deriva verso il sensazionalismo: se la priorità è ampliare la propria rete con messaggi finalizzati a suscitare interesse, alla fine il titolo prevale sul contenuto. Questo rischio non è relegato alla comunicazione sui canali digitali e social media, ma lo si corre anche sui media tradizionali, sulla stampa. La tendenza al sensazionalismo aumenta in modo esponenziale dove c’è più “competizione” e l’obiettivo è quello di catturare l’attenzione delle persone. Il pericolo è di creare dei professionisti del “sensazionalismo sanitario”. Abbiamo già delle società di marketing influencer e di healthcare influencer che offrono figure professionali – un mercato in espansione che purtroppo è difficile da regolamentare e controllare. Credo che l’unico modo per proteggersi dal rischio di un’informazione poco qualificata sia quello di fornire delle fonti attendibili e validate che possano essere un riferimento per chiunque abbia necessità di fare uno screening delle informazioni che circolano.

Credo che l’unico modo per proteggersi dal rischio di un’informazione poco qualificata sia quello di fornire delle fonti attendibili e validate. – Francesca Patarnello

Ivan Silva Romero. Come premesso, bisogna dire che se un’azienda decidesse di coinvolgere influencer dovrebbe scegliere persone credibili. Ad esempio, se parliamo di una patologia dovrebbe dare la parola a un professionista sanitario. Kyowa Kirin non lo ha mai fatto: non possiamo permettere che una persona parli sui social di una patologia o di un nostro prodotto senza prima sapere cosa dirà e a chi parlerà, è troppo rischioso. Spero si arrivi a definire una regolamentazione così che si possa farlo con maggiore sicurezza. Se, invece, parliamo di dare la parola a dei pazienti come testimonial allora lo facciamo: si tratta però di persone che raccontano la loro esperienza.

Dario Scapola. A Roche è capitato spesso di coinvolgere influencer in tanti progetti come “A fianco del coraggio” o “Screening routine”; progetti, tuttavia, in cui l’obiettivo non è mai stato quello di fare informazione scientifica, per la quale preferiamo operare rimanendo sui canali tradizionali, quanto invece sensibilizzare una platea più ampia possibile sulla necessità e importanza del caregiver (un soggetto ancora trasparente nella nostra società) e della prevenzione. “A fianco del coraggio”, alla sua sesta edizione, per esempio, premia i compagni di vita che davanti a una diagnosi infausta non scappano, ma diventano anche caregiver. Nel progetto abbiamo coinvolto attori molto noti che hanno contribuito a sensibilizzare, anche attraverso i loro canali di comunicazione, l’importanza e il valore del caregiver nel percorso di cura che i pazienti sono chiamati ad affrontare.

Ci è capitato spesso di coinvolgere influencer in tanti progetti in cui, tuttavia, l’obiettivo non è mai stato quello di fare informazione scientifica, per la quale preferiamo operare rimanendo sui canali tradizionali.– Dario Scapola

Quali cautele deve usare un’azienda farmaceutica nel momento in cui si avvicina a un influencer o coinvolge un influencer per determinate campagne o progetti?

Dario Scapola. Dovrebbe innanzitutto tenere a mente il tipo di influencer e l’ambito in cui vuole coinvolgerlo. Se parliamo di opinion leader scientifici (e quindi esperti del settore sanitario), divenuti anche influencer per il numero di persone da cui sono seguiti, il confronto e il coinvolgimento sono utili ed efficaci. Quando invece ci si avvicina ad influencer esterni al settore della salute, ecco che un’azienda farmaceutica dovrebbe limitare il coinvolgimento attirando la loro attenzione, per esempio, sulle campagne di prevenzione e di screening, sull’importanza dell’aderenza alle terapie, sui livelli minimi di assistenza (che purtroppo non vengono aggiornati da diversi anni) e sulle priorità definite nell’agenda del nostro Ministero della salute.

Francesca Patarnello. Nell’ambito della salute e del farmaco la divulgazione fatta da un influencer, nel caso in cui non sia controllata, può avere delle conseguenze. L’industria farmaceutica, più di altri attori, deve attenersi alle norme che regolano la comunicazione e che sono garanzia di una buona informazione, corretta e responsabile. Comunque queste cautele dovrebbero riguardare tutti, anche gli influencer la cui attività però non è normata. Dall’altra parte avvicinarsi agli influencer per collaborare su aree di informazione può avere un impatto importante e positivo sui comportamenti che riguardano la salute, pensiamo agli stili di vita come per esempio la disassuefazione dal fumo.

L’industria farmaceutica, più di altri attori, deve attenersi alle norme che regolano la comunicazione e che sono garanzia di una buona informazione, corretta e responsabile. – Francesca Patarnello

C’è una differenza sull’utilizzo delle attività degli influencer o dei testimonial da un Paese all’altro? Per esempio la sede Italia della vostra azienda adotta delle linee guide generali raccomandate dalla sede centrale a prescindere poi dalla normativa del singolo Paese?

Ivan Silva Romero. Kyowa Kirin ha delle linee guida generali che tutte le nostri sedi devono seguire tutti i Paesi a prescindere dalle normative locali. Anche perché i post pubblicati in Italia sui social media si possono vedere e rilanciare anche negli altri Paesi e, se andassero contro le normative, potrebbero comunque mettere l’azienda in difficoltà. Dal mio punto di vista, per evitare rischi bisognerebbe lavorare su linee guida comuni per tutte le aziende, una iniziativa che dovrebbe essere facilitata dalle associazioni di categoria di ciascun Paese.

Per evitare rischi bisognerebbe lavorare su linee guida comuni per tutte le aziende. – Ivan Silva Romero

Francesca Patarnello. Abbiamo delle regole comuni generali che puntano alla correttezza e appropriatezza per una buona informazione che non deve avere impatti negativi. A queste si aggiungono delle normative locali che, in modo diverso, regolano l’informazione negli Stati Uniti, in Europa e nei Paesi asiatici. Vi è poi una differenza culturale che riguarda l’aspettativa e il diritto di essere informato direttamente, una esigenza più sentita in alcuni Paesi che in altri. In tempi diversi, i cittadini arriveranno a voler essere informati direttamente e sceglieranno a chi rivolgersi per essere informato scegliendo la persona che considerano più affidabile. Questo sarebbe un salto culturale importante nella qualità dell’informazione su temi della salute e nella figura dell’influencer che ci spingerebbe ad affidare un ruolo divulgativo alle persone che sanno comunicare bene, puntando alla qualità e non al sensazionalismo e rispettando le regole del gioco.

A cura di Rebecca De Fiore