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Influencer Interviste

Comunicare il dubbio può rendere più credibili

Un medico confessa i propri punti fermi tra gli influencer

Intervista a Vittorio Fontana

Medico geriatra ospedaliero

By Ottobre 2023Ottobre 19th, 2023Nessun commento
comunicare il dubbio
Fotografia di Lorenzo De Simone

Vittorio Fontana è autore del libro “Di verità solo l’ombra” che raccoglie storie autentiche di vita professionale e di pazienti, e ha collaborato a “Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia“, entrambi pubblicati dal Pensiero Scientifico Editore.

Se per Luciano Floridi online e offline non possono essere più considerati mondi indipendenti (la nostra esistenza sarebbe onlife), in fin dei conti il medico si confronta pur sempre con problemi reali vissuti da persone reali: nella giornata del medico arriva l’eco dei punti di vista degli influencer che si pronunciano sulla possibile “fine della pandemia”, sull’utilità – o sull’inutilità – delle misure di prevenzione, sul valore di un’innovazione presentata a un congresso internazionale?

In ospedale purtroppo arrivavano soprattutto gli echi degli influencer generici, quelli che hanno da dire la loro su tutto anche se non sanno di cosa parlano, solo perché hanno una grande audience, di quelli che alimentavano fake news e teorie del complotto, gli echi dei no-vax, dei negazionisti e dei minimizzatori. Qualche volta malauguratamente sostenuti da personaggi con una certa credibilità di facciata sia tra professionisti sanitari che tra i giornalisti e gli opinionisti vari. Personaggi perlopiù interessati a sostenere l’interpretazione di comodo della propria parte di riferimento, pur di fronte ad un problema così drammatico come la pandemia, quindi con l’aggravante di una certa dose di cinismo.

In relazione al tema degli influencer, c’è chi ha contribuito durante la pandemia ad aiutare i medici a farsi un’idea più precisa sulle scelte cliniche o sulle misure di prevenzione?

L’eccesso di informazioni è uno dei grandi problemi. Troppe informazioni di cui forse la maggior parte non di grande qualità. Avere gli strumenti intellettuali per distinguere tra informazioni attendibili (anche se magari incerte) e informazioni non attendibili credo che sia un problema centrale a diversi livelli, sia per i professionisti (penso per esempio al trascurato problema dei conflitti di interesse di chi produce contenuti scientifici) che per la popolazione generale. Per rispondere alla parte finale della domanda dirò che durante la pandemia ho avuto dei punti fermi informativi anche tra quelli che si potrebbero definire influencer. Penso per esempio all’immunologa Antonella Viola, all’infettivologo Massimo Galli, allo scrittore Paolo Giordano, allo scienziato Enrico Bucci, alla giornalista scientifica Roberta Villa.

Nel lavoro di un medico geriatra come di un medico di medicina generale è frequente trovarsi nella necessità di dover gestire problemi clinici un poco distanti dalle proprie specifiche competenze. In situazioni del genere può essere opportuno suggerire al malato di consultare un collega più esperto. Ciò premesso, che effetto fa ascoltare o leggere medici specialisti in virologia esprimersi sulle chiusure scolastiche o ricercatori in epidemiologia suggerire strategie cliniche? 

In generale ammettere di non sapere è sempre dimostrazione di intelligenza, ed evitare di esprimersi su tutto è una regola da non dimenticare. Perciò chiedere agli esperti è sempre un’ottima soluzione. Tuttavia nel mio lavoro di geriatra mi capita spesso di esprimermi in campi che non sono propriamente i “miei”, sarebbe impensabile e controproducente per il paziente se dovessi rivolgermi in continuazione a specialisti diversi: cardiologi, pneumologi, neurologici, psichiatri e così via. Nella pratica clinica geriatrica così come credo nella medicina generale non è sempre necessario essere dei super specialisti (senza essere dei tuttologi) ma le conoscenze di cui si dispone, sia teoriche sia pratiche, sono spesso del tutto adeguate a gestire un ampio range di problemi clinici. Trovo però sempre fondamentale poter consultare anche informalmente colleghi specialisti quando ce n’è bisogno: lo scambio culturale fa sempre bene reciprocamente e lavorare in ambienti stimolanti e polispecialistici è una grande fortuna, non sempre realizzabile purtroppo. Certo, non mi avventurerei mai in campi distanti dalla mia formazione e dal mio ambito clinico. Per esempio la virologia o l’epidemiologia: mi aspetterei analoga cautela dalle altre parti.

L’alfabetizzazione riguardo alla salute richiede tempi lunghi e uno sforzo strutturato e organizzato che andrebbe programmato e sostenuto continuativamente.

Dopo la tragedia degli scorsi anni, l’alfabetizzazione dei cittadini in tema di salute è in fin dei conti migliorata? Dopo migliaia di articoli sui media, di trasmissioni televisive, nonostante il rumore di fondo, sappiamo qualcosa di più sui determinanti e sull’andamento di un’epidemia o su come si svolge il lavoro dei sanitari in una terapia intensiva?

La memoria è labile, credo che quello che credevamo appreso come conoscenza consolidata sia per la gran parte già volatilizzato. Tuttavia alcune procedure che avevamo acquisito (penso ad esempio al lavaggio delle mani, all’uso dei gel disinfettanti e delle mascherine, o le procedure di distanziamento) saranno più facili da richiamare alla memoria in caso di bisogno e forse si riveleranno quasi automatiche, proprio come accade per la memoria procedurale che non ci fa dimenticare come si va in bicicletta o si gioca a tennis se lo avevamo già imparato.

Inoltre chi ha vissuto l’esperienza diretta della terapia intensiva per sé o per un suo caro non potrà certo dimenticare e avrà ben chiaro di che immane lavoro si svolga in quei reparti. Ma l’alfabetizzazione riguardo alla salute richiede tempi lunghi e uno sforzo strutturato e organizzato che andrebbe programmato e sostenuto continuativamente. Purtroppo l’analfabetismo scientifico, non solo sanitario, è piuttosto diffuso nel nostro Paese.

Si può quasi sempre comunicare il dubbio senza che questo significhi far apparire che si naviga al buio, anzi possiamo mostrare come le nostre competenze siano comunque fondamentali per navigare sicuri anche in mari agitati.

Da medico-che-vede-i-malati come ci si dovrebbe rivolgere al malato in una situazione in cui anche il clinico soffre le difficoltà imposte dal dubbio?

Nel “mandato” di molti influencer c’è avere sempre la risposta pronta per tutto, non possono ammettere l’incertezza, ne va della loro credibilità, devono sembrare sempre in possesso della verità. Questo chiede la gente. Credo invece che per noi comunicare l’incertezza che spesso caratterizza le nostre scelte sia l’unica strada possibile anche solo per onestà intellettuale. Adoro Socrate e “so di non sapere” è una specie di mantra: si può quasi sempre comunicare il dubbio senza che questo significhi far apparire che si naviga al buio, anzi possiamo mostrare come le nostre competenze siano comunque fondamentali per navigare sicuri anche in mari agitati.