Skip to main content
Influencer Articoli

Sarà assente l’autore

Gli influencer di oggi hanno preso il posto degli intellettuali novecenteschi?

Luca De Fiore

Direttore Il Pensiero Scientifico Editore

By Ottobre 2023Ottobre 19th, 2023Nessun commento
Fotografia di Lorenzo De Simone

Gli influencer di oggi hanno preso il posto degli intellettuali novecenteschi? Un interessante dibattito estivo ha invitato a ragionare sull’utilità dei libri, sull’editoria “come religione laica” che potrebbe faticare ad avere significato in un mondo selvaggio, contraddittorio e inospitale. Ma nel quale il libro è pur sempre un totem.

A modo loro, sono influencer. Almeno alcuni che hanno più “seguaci” o follower che dir si voglia. Negli ultimi anni – e potrebbe essere un effetto della pandemia – alcuni giornalisti o esperti in materie scientifiche hanno aperto e alimentato dei canali di comunicazione diretta con un pubblico sempre più ampio di cittadini interessati ai temi della scienza. Salute compresa. Da Roberta Villa – ormai tra le persone più ascoltate sui vaccini e sulle vaccinazioni – a Beatrice Mautino – che ha sottratto cosmesi e cura della pelle ai media “femminili” sponsorizzati – siamo tutti “influenzati” da un’informazione che il più delle volte è basata su evidenze robuste, sull’analisi accurata della migliore letteratura scientifica internazionale.

Perché scrivere un libro?

Nell’ultima edizione dell’appuntamento annuale “Folle di scienza” che si svolge nella cittadina piemontese di Strambino, molti divulgatori si sono interrogati su una questione apparentemente trascurabile: perché scrivere un libro? Nessun problema ad ammettere che, oltre ai potenziali autori, la risposta a un interrogativo del genere possa più facilmente interessare chi fa il mio mestiere: ma, a ben vedere, anche l’attualità politica ci conferma che realmente tantissime persone hanno un libro nel cassetto (o più facilmente nella memoria del computer) e (purtroppo, bisogna ammettere) oggi è molto più facile di un tempo poterlo pubblicare. Basta pagare. Il tema della pubblicazione di un libro si intreccia con quello della costruzione del profilo dell’influencer: le persone meno giovani ricorderanno la lunga attesa di intellettuali del Novecento come Italo Calvino, Alberto Moravia o Pierpaolo Pasolini per approdare con continuità alle pagine culturali dei grandi quotidiani nazionali. A distanza di mezzo secolo, tutto – o quasi – è cambiato: talvolta basta un libro autoprodotto a garantire la notorietà ma, il più delle volte, è la fama acquisita su Instagram a sollecitare la pubblicazione di un libro.

Il più delle volte è la fama acquisita su Instagram a sollecitare la pubblicazione di un libro.

La postmodernità editoriale è l’ambito in cui si muovono i personaggi di un breve romanzo di Giampaolo Simi che ha come protagonista Gianfelice Sperticato, autore immaginario e autoprodotto. Di Sperticati è pieno il mondo dei libri. E anche di libri che meriterebbero lo stesso titolo dell’opera che lui è riuscito finalmente a pubblicare con un editore sconosciuto: “Sarà assente l’autore” è il titolo azzeccato del libro di Simi, non soltanto divertente ma per diversi aspetti necessario. Utile a descrivere un ambiente molto celebrato ma popolato da persone sopravvalutate. Il 30 per cento dei libri pubblicati non vende neanche una copia o al massimo una (l’autore o l’autrice stessa? La mamma?). Potrebbe essere una fortuna, perché la qualità è quella che è. In cima alle classifiche finiscono (anche o soprattutto) personaggi come quello di Federigo Crudeli, altrettanto immaginario personaggio di Simi e nella finzione autore di “Acque torbide”, libro teoricamente illeggibile ma in realtà amato da decine di migliaia di lettori.

Il libro è un prodotto di nicchia?

Torniamo alla domanda che si sono posti i divulgatori-influencer: perché pubblicare un libro? Il dialogo sul prato di Strambino dei divulgatori della scienza si è svolto dopo che un’ampia discussione aveva tenuto occupati gli aficionados del confronto culturale estivo: “I libri sono ormai un prodotto di nicchia non dico quanto le carrozze a cavalli, ma quasi” aveva scritto la giornalista Guia Soncini su Linkiesta del 19 agosto scorso [1], “I libri non contano niente. I libri non li legge nessuno”. E – riferendosi direttamente alla scrittrice e intellettuale morta pochi giorni prima – Soncini osservava che “molta più gente seguiva Michela Murgia su Instagram di quanta ne comprasse i libri”. Secondo Soncini c’è un solo posto che, “se vuoi avere un pubblico in questo secolo, è ragionevole presidiare: il posto che illude il pubblico che non sia necessario esso s’affatichi, che non sia mica quello il punto d’avere un[’]intellettuale di riferimento. Insomma: Instagram”. Soncini offre una chiave di lettura di un cambiamento non da poco avvenuto nell’ultimo mezzo secolo: la differenza tra intellettuali novecenteschi e influencer contemporanei è che seguire i primi costava fatica. Dobbiamo dunque accettare che il ruolo degli influencer sia oggi quello di “tenere compagnia alle nostre vite di silenziosa disperazione con parole talmente semplici che persino noialtri (…) possiamo capirle e sentirci accuditi?”. E per chi ama le domande Soncini ne ha un’altra: “È questo il futuro del mercato dell’intelletto, se l’intelletto ha un futuro?”.

A Soncini faceva eco Paolo di Paolo sempre su Linkiesta [2]: “Ogni giorno, nell’insieme, leggiamo – tutti! – più o meno le parole contenute da un romanzo, ma fatichiamo a leggere romanzi”. Sarà un caso che “il tramonto del romanzo letterario” coincida con l’emergere di una legione di scrittori e scrittrici capaci di conquistare la nostra attenzione con un mix di immagini e di opinioni? Potrebbe essere un problema non da poco, ma lo nascondiamo sotto al tappeto. “Se non ci interroghiamo noi che scriviamo libri sulla fatica che facciamo a farli comprare, chi altro dovrebbe?” chiede di Paolo. “Ma non lo facciamo perché è un argomento fastidioso, che intristisce, e perché richiederebbe una messa in discussione del nostro stesso fare, del pilota automatico con cui pensiamo al prossimo romanzo e lo scriviamo, pretendendo che fra infinite opzioni narrative debba esserci per forza qualcuno interessato a quella che abbiamo prodotto noi”.

 

“Perché hai più voglia di scrivere un tuo libro che di leggere quello scritto da qualcun altro? Qual è l’ultimo romanzo che ti ha fatto saltare sulla sedia e a cui non vedevi l’ora di tornare? Quando è stata l’ultima occasione in cui a tavola ti sei acceso parlando di un romanzo appena pubblicato? Sapresti definire in che modo un romanzo è alternativo rispetto ad altre forme narrative? Hai ancora – sii sincero – la voglia di leggere i libri che non si leggono in fila alla posta (una volta si diceva così), i libri difficili?”
Paolo di Paolo. Il tramonto del romanzo letterario nei consumi culturali italiani. Linkiesta, 23 agosto 2023.

 

Questo desiderio di interrogarsi di scrittori e critici cinquantenni è reso meno limpido da un velo di nostalgia, quella che per esempio fa ricordare i bei, vecchi tempi a Nicola Lagioia su Lucy sulla cultura [3] come un periodo in cui redattori, scrittori, editor, grafici, traduttori provavano “a fare dell’editoria la propria religione laica, dedicandoci ogni giorno (e ogni notte!) un tempo che non [aveva] ha nulla a che fare con il tempo lavorativo. [Aveva] a che fare con la dimensione della preghiera, con la dedizione assoluta, con la socialità come dovere etico, persino con l’utopia”. E, ricordando con affetto Michela Murgia, lo stesso Lagioia ammette di non aver condiviso la scelta dell’amica “di abbandonare i panni della ‘scrittrice pura’ e di utilizzare la letteratura (volutamente imbastardendola, semplificandola, facendone persino a volte uno strumento di persuasione) per fare politica”.

Come nascono i libri migliori?

Da scrittrice a popstar – o a influencer? – Michela Murgia si è trovata a proprio agio in uno spazio che riusciva ad abitare con competenza, quello dei social media, accettando l’evidenza che in questi anni il confronto di idee si svolge proprio là. Il punto è, però, che non poche persone ritengono che lo spopolamento dei luoghi classici del dibattito culturale a vantaggio della rete sia di per sé una pessima notizia: “Alla luce del fallimento evidente delle istituzioni che più di ogni altre dovrebbero teoricamente sviluppare il cosiddetto dibattito pubblico fuori dalle cosiddette élite (giornali, riviste, sto parlando di noi) – ha scritto Francesco Costa su Il Post [4] – il suddetto dibattito si è trasferito principalmente in luoghi – i social media – che non sono stati costruiti per ospitarlo, e che anzi cercano in ogni modo di peggiorarlo e scoraggiarlo con gli incentivi sanciti dai loro algoritmi. Questo tragico trasloco, insieme al lavoro poverissimo delle istituzioni che avrebbero il compito di insegnare alla popolazione intera a discutere, e quindi a partecipare al dibattito pubblico con argomenti logici e conoscenza (scuole superiori, televisione di Stato, sto parlando di voi), ha prodotto un’altra triste conseguenza oltre all’istupidimento generale di cui siamo insieme responsabili e testimoni, ognuno per la sua parte: la perdita della capacità di distinguere un influencer da un politico da un intellettuale”.

Lo spopolamento dei luoghi classici del dibattito culturale a vantaggio della rete non è di per sé una pessima notizia.

Nonostante le molte voci e l’esperienza delle persone intervenute in questo interessante dialogo estivo, sembra essere tutto un poco confuso. A ben vedere, persone come Michela Murgia hanno continuato a pubblicare libri anche dopo il loro “tragico trasloco”. Basta pensare ai tanti titoli prodotti con alterna fortuna anche dai divulgatori e divulgatrici di scienza. Il confronto più serrato con i propri lettori, proprio della rete, potrebbe aiutare a pubblicare libri più utili, “migliori” perché capaci di rispondere con maggiore esattezza alla domanda di informazione dei propri follower. Dopo tutto, anche l’allenamento negli spazi dei social media potrebbe favorire una scrittura più esatta e coinvolgente.

Il confronto più serrato con i propri lettori, proprio della rete, potrebbe aiutare a pubblicare libri più utili.

Ma invece di guardare avanti senza spaventarsi, si cede alla tentazione della nostalgia. “Il mondo di Moravia, Morante e Pasolini – lamenta Nicola Lagioia – è stato spazzato via molti anni fa. È saltata la scuola, l’università, la politica per come le conoscevamo, sono saltati i giornali e i mediatori tradizionali. È un mondo, per certi versi più selvaggio, contraddittorio e inospitale”.

Se è la rete che fa crescere un influencer, è sempre un libro che lo consacra.

Nel quale, però, tutto trova spazio e dunque anche i libri, capaci di “fare ancora casino”, come ha scritto Marino Sinibaldi su Il Post [5]: perché “affermazioni che girano un po’ dappertutto e sono altrove normali (…) diventano, stampate su un libro, drammatiche, pesanti, influenti? Evidentemente l’oggetto, perso molto del suo valore materialmente economico e persino la centralità simbolica che lo connotava in un universo culturale passato, resta una specie di totem”.

Alla fine dei conti, se è la rete che fa crescere un influencer, è sempre un libro che lo consacra.

Bibliografia
[1] Soncini G. I social, l’irrilevanza dei libri e il futuro del mercato degli intellettuali. Linkiesta, 19 agosto 2023.
[2] di Paolo P. Il tramonto del romanzo letterario nei consumi culturali italiani. Linkiesta, 23 agosto 2023.
[3] Lagioia N. Le persone facili si dimenticano, Michela Murgia no. Lucy sulla cultura, 23 agosto 2023.
[4] Costa F. Non importa se eravate d’accordo con Michela Murgia. Il Post, 15 agosto 2023.
[5] Sinibaldi M. Perché un libro fa ancora casino. Il Post, 24 agosto 2023.