“Margini” racconta la storia di tre ragazzi di Grosseto, che cercano di uscire dai confini della provincia attraverso la musica punk. Il titolo richiama la canzone all’interno del film, ma è denso di significato e senza dubbio di impatto. Come lo avete scelto?
Il nostro rapporto col titolo è stato come una di quelle storie d’amore che ti fanno soffrire. Abbiamo avuto momenti in cui la percezione del titolo ci arrivava diversa, ma poi con i Manetti Bros e Fandango abbiamo deciso di confermarlo. Col senno di poi, anche raccogliendo la percezione del pubblico, ci sembra che la scelta sia stata felice perché vuole parlare di come si sta sul margine, come si sta nella provincia che ha una marginalità tutta sua, ben diversa dalla periferia. Demograficamente l’Italia ha una forte presenza di popolazione nelle piccole città, tuttavia tende a raccontarsi come un Paese di metropoli. Ed è qualcosa in cui facciamo cortocircuito, perché quando smettiamo di chiederci come si sta in alcuni posti è come se ci fosse un vuoto. La conferma che il titolo sia quello giusto, insomma, viene da questo percorso e dall’ascolto della gente. Il tema del riscatto della provincia è molto importante e lo è anche dal punto di vista sociale, della sanità e non solo.
Voi avete detto che la domanda che vi siete fatti è stata un po’ “come stanno i ragazzi in provincia?”. E allora le chiedo, per quella che è la sua esperienza, come stanno davvero? Quali differenze – tra pro e contro – ritrova, avendo adesso il confronto con una metropoli come Roma? E non solo i ragazzi, anche le fasce più fragili come quelli che sono appunto più ai margini della società.
È una domanda enorme. Io ero follemente innamorato di Roma e della libertà che avrei trovato. Ero felicissimo. All’inizio puoi goderti un po’ di quell’anonimato delle metropoli, ma poi ti accorgi che questo viene da una indifferenza generale, perché in città i rapporti sono più rarefatti, tra le persone è più difficile stringere relazioni. Roma in particolare ha subìto un periodo duro, ha sofferto tanto negli ultimi anni, è stata un po’ incapace di stare al passo coi cambiamenti che ci sono stati intorno e ha subìto il peso della sua storia in confronto a una modernità impietosa. Non riesce a sostenere il paragone con grandi città europee come Berlino o Londra e ho visto una sorta di declino, di crisi, di decentrificazione, ma anche un lento abbandono delle periferie: è una città di cui sembra quasi che nessuno si stia prendendo cura. Per tanti motivi in provincia questo non accade, perché i rapporti sono densi, succedono meno cose, meno eventi e i volumi dei conflitti interni sono ridotti e messi in una bolla. A livello sociale credo che ci sia sempre una grande confusione nella testa dei giovani, che è fisiologica, ma ritengo che i percorsi del vecchio mondo siano finiti e non portino da nessuna parte. Chi ha gli strumenti per fare qualcosa può farlo solo individualmente e questo è anche il messaggio che tende a passare, cioè “lascia stare gli altri e salvati”, ma questo è un problema trasversale.
Quanto possono aiutare la musica e l’arte in genere per uscire dai confini e magari da alcuni dei limiti che può avere l’ambiente più ristretto della provincia?
Il discorso è complesso. C’è qualcosa che dobbiamo riaggiustare, perché ci stiamo raccontando che il nostro è un mondo che non ha bisogno di arte o cultura, siccome passiamo tempi difficili e questi sono dei suppellettili. Dopodomani guarderemo a cosa ci è successo negli ultimi anni, ma c’è uno scollamento che ha portato il mondo umanistico a perdere potere e centralità nella vita quotidiana. C’è un calo verso il cinema e la lettura, il teatro è stato spazzato via; e poi c’è il problema degli autori che non si accorgono del mondo in cui vivono e spesso fanno una comunicazione autoreferenziale. E se questo vale nelle metropoli e nelle città, figuriamoci in provincia. D’altronde è più raro che la provincia ti porti da qualche parte. Se parti da Grosseto la strada è più difficile, ma lo sai, e forse lo fai più per te stesso che per altro.
Uscire dai confini è importante per andare ad aiutare le persone che vivono ai margini della società e hanno magari più difficoltà nell’accesso ai servizi, al sistema sanitario o molto altro. Pensa che in chiave metaforica il suo film possa abbracciare anche questo significato?
Non lo so, ma perché un film in generale non so se abbia il potere di farlo. Anche i film più inquadrati del nostro. Si dà spesso un mandato educativo all’arte che l’arte non può avere, altrimenti diventa ipocrita, né può fingere che un mondo non esista o di essere effettivamente la vita. Chiaramente l’arte è incisiva, alcune opere hanno cambiato la storia, ma credo che “Margini” abbia altri scopi. Tuttavia dove c’è occasione di incontro – e il film può esserlo – c’è sempre la possibilità di uscire dai confini ed essere d’aiuto. Fandango ci ha suggerito di andare nei centri sociali, nei paesi e nelle cittadine per distribuire “Margini”, perché è nella natura del nostro film renderlo accessibile anche in contesti in cui il film di solito non arriva.
Nel film emerge l’importanza del provare a realizzare un sogno, indipendentemente dal risultato che si consegue. E i vostri protagonisti sono dei tipi che non si arrendono e cercano di andare oltre i confini che vedono davanti a sé. La società, le istituzioni e i decisori dovrebbero prendere spunto da questa forza di volontà?
Da quella forza di volontà dovrebbero prendere spunto tutti. Forse i nostri protagonisti non sono il miglior modello, ma in generale si dovrebbero ascoltare le esigenze di chi è adolescente. Nell’apertura di spazi o nell’organizzazione degli eventi la bussola te la dovrebbe dare chi vive in quei luoghi. È un po’ più facile in provincia e quindi è lì che devi creare canali di ascolto, perché c’è una semplicità maggiore, e quando questo non avviene ti arrabbi un po’. Se ci fosse un po’ di ascolto, e anziché dire ai giovani di restare nei propri confini e di fare quello che diciamo noi, gli chiedessimo cosa vogliono fare o se provassimo a fare qualcosa insieme a loro, tutto potrebbe andare meglio. E poi in generale si tende a non dare fiducia ai giovani. Se chiedi uno spazio da gestire non te lo danno, ma sarebbe importante fare le cose da protagonisti e non solo da comparse.
A cura di Tiziano Costantini
Sempre sul vita ai margini, l’*.