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Confini Articoli

La burocrazia

Una barriera per i medici stranieri che vogliono lavorare in Italia

Aodi Foad

Presidente Amsi e Umem

By Marzo 2023Nessun commento
professionisti sanitari di origine straniera in Italia
Fotografia di Giacomo Doni

L’esercito dei professionisti della sanità di origine straniera che lavora in Italia è fatto di 22mila medici, 38mila infermieri, più di 11mila tra farmacisti, fisioterapisti, odontoiatri, psicologi e altre specializzazioni. In totale sono oltre 77.500, molti arrivati in Italia a cavallo degli anni ’70 e ’90 per studiare, altri durante la seconda fase di immigrazione, avvenuta dopo la caduta del muro di Berlino, altri ancora all’inizio delle Primavere arabe. Secondo le statistiche dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) e dell’Unione medica Euromediterranea (Umem), in Europa ci sono 650mila medici di origine straniera di cui 150mila in continua mobilità.

In Italia per ottenere il riconoscimento del titolo di laurea ci vuole almeno un anno e mezzo di tempo.

L’anamnesi

Di tutti i professionisti di origine straniera che lavorano nella sanità italiana, il 65 per cento non ha la cittadinanza; l’80 per cento lavora nel privato, il restante 20 per cento nel pubblico o come medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. La maggioranza di chi lavora nel pubblico fa parte di quella prima categoria di medici laureati in Italia 40 anni fa che ha ottenuto nel tempo la cittadinanza, visto che per accedere ai concorsi pubblici è necessaria. Questo è un problema ancora in essere e che abbiamo sollevato oltre venti anni fa, quando nacque l’Amsi, avviando un dialogo con il governo, con il Ministero della salute, con gli albi professionali e con la Fnomceo, con cui collaboriamo dal 2000. La nostra associazione ha proposto che chi lavora in Italia regolarmente da cinque anni, conosce bene la lingua e la cultura italiane, la cultura e l’educazione sanitarie, tutti gli aspetti connessi alla medicina legale e difensiva abbia la possibilità di accedere ai concorsi pubblici senza l’obbligo della cittadinanza. Perché? Per cercare di risolvere ciò che denunciamo da anni, ovvero la carenza di medici, specialisti, infermieri e fisioterapisti in Italia, come testimoniano i numeri: negli ultimi sei anni abbiamo ricevuto più di 9mila richieste di medici specialisti da tutte le strutture, pubbliche e private. Una tappa fondamentale è stata quella del decreto-legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020 che ha permesso ai medici di origine straniera di lavorare senza l’obbligo del riconoscimento del titolo, per via dell’emergenza pandemica. Proprio in quel periodo abbiamo visto arrivare medici cubani, egiziani, russi, ucraini e da molti altri Paesi. Ultimamente invece le aziende sanitarie si avvalgono delle manifestazioni di interesse, ovvero un modo per reclutare medici – senza un concorso pubblico – in base alle carenze e alle necessità, accessibile anche ai medici di origine straniera senza cittadinanza. Le più note tra queste sono state fatte con la Regione Lazio e l’ultima in ordine cronologico con l’Asp di Trapani, che richiedeva medici di pronto soccorso, cardiologi e altri specialisti. Oltre alle regioni che richiedono medici stranieri, e sono sempre di più, ce ne sono alcune che si rivolgono direttamente all’estero, come ha fatto la Regione Calabria.

Esistono deserti sanitari mondiali, non solo italiani o europei. La pandemia ha solo ulteriormente accorciato la coperta, che è corta per tutti.

Deserti sanitari

Il problema che riguarda i cosiddetti deserti sanitari non è soltanto italiano o europeo, bensì mondiale, ma l’Italia, rispetto ad altri Paesi, ha lacune molto importanti dal punto di vista burocratico. Per ottenere il riconoscimento del titolo ci vuole almeno un anno e mezzo di tempo. Un medico, con la carenza di professionisti sanitari a livello mondiale, non aspetta un anno e mezzo per ricevere una risposta e si sposta altrove, dove l’iter è molto più veloce. Altro problema sono i salari, più bassi rispetto ad altri Paesi, ma anche la medicina difensiva e le denunce. Inoltre, negli ultimi quindici anni, la parola programmazione in sanità non è stata mai citata, tantomeno applicata. Per questo ci troviamo in questa emergenza, marcata dalla pandemia. Le statistiche parlano chiaro, abbiamo un aumento del 35 per cento dei medici italiani che vogliono andare all’estero. Alcuni medici stranieri invece tornano nei Paesi di origine perché la situazione lì è migliorata: al primo posto Polonia, Albania, Romania, i cui medici, dopo la caduta del muro di Berlino, erano tra i più numerosi ad arrivare in Italia. Un’altra questione riguarda la concorrenza a livello europeo: la carenza di medici è molto marcata anche in Germania, Francia e Inghilterra che, il giorno dopo la Brexit, ha perso più di 4mila specialisti in pediatria, medici di pronto soccorso e anestesisti perché non potevano più esercitare. La Francia manca di 15mila farmacisti, stessa cosa per la Germania, con l’unica differenza che loro si sono mossi molto prima dell’Italia, favorendo l’ingresso di professionisti stranieri. Da due anni circa, in Inghilterra, hanno iniziato a esercitare 20mila professionisti della sanità: di questi solo il 37 per cento è di origine britannica, il resto è di origine straniera, primariamente indiani, pakistani ed egiziani. Sono questi i deserti sanitari, zone senza copertura sanitaria, senza assistenza per i cittadini. Queste dinamiche hanno avuto conseguenze anche altrove: in India mancano 600mila medici, in Pakistan ne mancano 200mila, in Siria il 70 per cento dei medici ha lasciato il Paese e lo stiamo vedendo con l’assistenza per il terremoto. In Egitto negli ultimi anni sono andati all’estero 11mila medici, dal Marocco più di 14mila. Qual è la sintesi? La sintesi è che esistono deserti sanitari mondiali, non solo italiani o europei. Manca la programmazione. La pandemia ha solo ulteriormente accorciato la coperta, che è corta per tutti. Chi si è mosso prima sta meglio, ma non è garantito sia così nei prossimi anni.