I confini, per quanto ideali nelle loro demarcazioni, rimandano a frontiere, spartiacque… diversità a seconda del contesto (internazionale, nazionale, locale) o della dimensione (politica, geografica, culturale, etnica, sociale, religiosa) di riferimento. I confini quindi non delimitano solo un territorio o uno spazio, ma anche le caratteristiche più profonde di chi lo occupa. La frontiera, fissata in vario modo da gruppi, comunità, tribù, etnie, popoli o Stati, indica isolamento, esclusione o semplicemente differenziazione. Difendere i confini è finalizzato a proteggere e garantire la qualità della vita del popolo e delle comunità “contenute”, a dare ordine e sicurezza alla loro vita. È questa la giustificazione dei conflitti armati conseguenti al tentativo di modificare i confini. Ma i confini, come le barriere e le frontiere, sono spesso imposti e subiti; sono linee di demarcazione di differenziazione e anche di detenzione. Possono quindi essere lo spartiacque tra il rispetto e la garanzia dei diritti umani e la loro negazione. La guerra è l’espressione più tragica della negazione dei diritti umani per imporre modifiche di confine.
Se si riscrivessero i confini usando linee, tratti, ombre, colori rappresentativi del rispetto dei diritti umani, le mappe geografiche sarebbero di difficile interpretazione. Una topografia dei diritti umani ridisegnerebbe un planisfero: carte generali, corografiche e topografiche basate sulla presenza di muri (la barriera di separazione israeliana in Cisgiordania, il muro di Tijuana tra Stati Uniti e Messico, barriere elettrificate, fili spinati, pali per fermare l’ingresso dei migranti in Europa), sulla distribuzione di favelas, di campi profughi, di squallide periferie e, ovviamente, di guerre. Dove il futuro è incerto, mobile e precario i confini diventano espressione di aree di conflitto, guerra, linee di annessione, sottomissione, fasce di dipendenza, di migrazione: espressione di territori dove i diritti umani sono negati.
Il cielo è di tutti
Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.
È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell’ortolano,
del poeta, dello spazzino.
Non c’è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.
Gianni Rodari
Dentro e fuori i confini di Gaza
La storia della restrizione della Palestina a partire dal 1947 è uno degli esempi più espliciti del mutamento dei confini non solo nella definizione dei territori, ma nel determinare la qualità della vita e dei diritti umani di gran parte delle persone che li abitano.
La Risoluzione 181 del mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 29 novembre del 1947, stabiliva la creazione di uno stato ebraico e di uno arabo. Sono trascorsi 75 anni, ma la nascita di uno Stato palestinese, dotato di indipendenza economica e continuità territoriale, sembra ancora lontana. In Cisgiordania gli abitanti devono convivere ogni giorno con un’occupazione militare e subire azioni di ostracismo messe in atto dai coloni, sono più di 280 insediamenti israeliani considerati illegali dal diritto internazionale che ospitano oltre 450mila persone. La continua crescita degli insediamenti israeliani restringe ogni anno l’area in cui ai palestinesi è permesso vivere, lavorare, giocare e muoversi in sicurezza. Mentre nella Striscia di Gaza, con quasi 2 milioni di persone costrette a vivere in 365 km2, la sopravvivenza di più della metà della popolazione dipende in modo diretto dagli aiuti umanitari. È sempre più difficile per l’Autorità palestinese coprire le spese e gli investimenti economici essenziali con un deficit di bilancio di oltre un miliardo di dollari annui. Una realtà quotidianamente caratterizzata da estremismi e azioni unilaterali che minacciano di aumentare i rischi per i palestinesi, gli israeliani e per l’intera regione.
Crescere senza diritti
I bambini e gli adolescenti pagano il prezzo più alto della violenza. Nel solo mese di gennaio 2023, 7 minori palestinesi e uno israeliano sono stati uccisi; 2394 bambini palestinesi e 139 israeliani dal 2000. Trentacinque il totale delle vittime palestinesi nel corso di “operazioni di sicurezza” israeliane nel mese di gennaio 2023; nel 2022 furono 220 di cui 38 minori.
Unicef nel rapporto “Children in the State of Palestine” afferma che resta ancora molto da fare affinché ogni bambino palestinese realizzi pienamente il proprio potenziale. Ciò comporta affrontare i numerosi ostacoli che limitano a bambini e giovani, quando non impediscono, l’accesso ai servizi di base e l’adempimento dei propri diritti. Tali ostacoli sono dovuti a molti fattori, non ultimi gli altissimi livelli di violenza a cui sono esposti a scuola e nella comunità come conseguenza del perdurare del conflitto. Quasi un terzo dei palestinesi vive in famiglie al di sotto della soglia di povertà. I tassi di disoccupazione sono alti: 32,4 per cento in tutto lo Stato di Palestina, 53,7 per cento nella Striscia di Gaza, uno dei più alti al mondo. Alto è anche il tasso di abbandono scolastico, lavoro minorile, abuso di sostanze e di matrimoni precoci.
La mortalità infantile in Palestina è tra le più alte della regione con 17 morti ogni 1000 nati (2,4 in Italia); ma resta ancora molto da fare per ridurre la mortalità neonatale, che rappresenta due terzi della mortalità infantile e la metà dei tassi di mortalità sotto i cinque anni. Restrizioni alla circolazione delle persone, sia da Gaza alla Cisgiordania sia all’interno della Cisgiordania, possono influenzare il rinvio a servizi sanitari adeguati delle madri e dei figli privandoli del diritto a ricevere le cure mediche di cui hanno bisogno.
Nello Stato di Palestina, pochissimi bambini in età scolare sono esclusi dall’istruzione, ma all’età di 15 anni quasi il 25 per cento dei ragazzi e il 7 per cento delle ragazze abbandonano la scuola e quasi il 5 per cento dei ragazzi di 10-15 anni e un bambino di 6-9 anni su tre con disabilità non va a scuola. Secondo le stime del Ministero dell’istruzione e dell’istruzione superiore palestinese, attualmente in Cisgiordania ci sono oltre 8000 bambini e 400 insegnanti che necessitano di una presenza protettiva per accedere in sicurezza alla scuola. A Hebron, i bambini palestinesi che vivono e/o studiano nelle scuole della città vecchia devono attraversare fino a quattro checkpoint militari israeliani solo per raggiungere la scuola.
I confini sono quindi contenitori e demarcatori di disuguaglianze… di una terra fatta a pezzetti, mentre il cielo (molto in alto) è uno solo.
L’elevata crescita della popolazione e la debole gestione delle risorse, insieme alle restrizioni di accesso hanno contribuito a carenze sempre più gravi di acqua potabile sicura e di servizi igienico-sanitari. Nella Striscia di Gaza, solo il 10 per cento delle famiglie ha accesso diretto a un ambiente pulito e sicuro. Il 97 per cento dell’acqua prelevata dalla falda acquifera costiera è inadatta al consumo umano, oltre ad essere inquinata. Il consumo per persona, con ampia variabilità, è di 79 litri al giorno rispetto ai 100 litri raccomandati dell’Oms per una salute pubblica ottimale. Solo il 38 per cento delle persone in Cisgiordania e l’82 per cento delle persone nella Striscia di Gaza vivono in contesti abitativi collegati alle reti fognarie.
I confini sono quindi contenitori e demarcatori di disuguaglianze… di una terra fatta a pezzetti, mentre il cielo (molto in alto) è uno solo.