Con l’istituzione nel 1978 del Servizio sanitario nazionale si voleva unificare un servizio sanitario frammentato basato su numerosi “enti mutualistici” o “casse mutue” e con un’assistenza ospedaliera separata da quella territoriale. A distanza di trent’anni, con la modifica costituzionale dell’articolo 117 nel 2001, le Regioni hanno acquisito un potere della sanità molto pregnante e si sono delineati sistemi diversi anche per la differente capacità amministrativa ed economica delle varie Regioni italiane. L’attuale proposta di legge Calderoli sulla autonomia differenziata nasce dal referendum in Lombardia e in Veneto, e poi ripreso in parte dall’Emilia-Romagna, per chiedere maggiore autonomia dal governo centrale senza considerare però che un tale cambiamento in sanità porterà nuovamente a una frammentazione dell’assistenza e un accentuarsi irragionevole delle disuguaglianze tra i cittadini non solo di serie A e B, come dichiarato dalla ministra Meloni, ma di serie A, B, C e così via.
La proposta Calderoli è stata presentata all’attuale Consiglio dei ministri con alcune modifiche procedurali rispetto alla prima edizione che, in una certa qual misura, garantiscono un maggiore controllo del Parlamento sull’evoluzione dell’autonomia differenziata. Ma tali accorgimenti, purtroppo, non cambiano la sostanza del problema, cioè quello di un’offerta sanitaria regionale disuguale nel territorio con cui già ci confrontiamo: da un lato il cittadino che si rivolge al privato laddove la risposta della sanità pubblica è meno tempestiva oppure i “viaggi della speranza” per curarsi fuori Regione, spostandosi dal sud al nord dove i servizi sono migliori, dall’altro le fragilità della sanità territoriale lombarda che la pandemia ha reso evidenti. Tutti segnali che le disparità non derivano unicamente dalla performance dei servizi pubblici misurabili in termini di spesa, di salute e indicatori ma anche dalla diversa organizzazione dei servizi.
Pertanto nel nostro Paese i cittadini non sono uguali. Se davvero vogliamo garantire che i cittadini della Calabria abbiano la stessa assistenza sociosanitaria dei cittadini di Firenze o di Milano, andrebbe intrapreso il processo inverso a quello dell’autonomia differenziata. Ovverossia, recuperare il tempo perduto con la modifica dell’articolo 117 della Costituzione e riportare al centro, cioè al Ministero della salute, un forte potere di controllo nazionale e di programmazione dei servizi. Senza di esso è impensabile riuscire a garantire un Servizio sanitario nazionale di prossimità ed equo. Su tre questioni – istruzione, giustizia e sanità – i cittadini sono uguali davvero se hanno le stesse possibilità, le stesse occasioni e le stesse opportunità di soluzioni ai loro problemi.

Dati Lea 2010-2019 | Report Osservatorio Gimbe 2/2020. Dati 2018 | Report Osservatorio Gimbe 1/2023
Con le case di comunità previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si sta cercando di potenziare i presidi territoriali per avvicinare fisicamente la sanità ai cittadini e ai loro bisogni. Ma per salvaguardare una reale uguaglianza del diritto alla salute serve un sistema sanitario a rete con una programmazione centrale. Non dovremmo ragionare solo sulla marcata differenza tra alcune Regioni del nord e del sud. Il servizio sanitario pubblico in Toscana, in Emilia-Romagna o nel Veneto, che vantano i migliori livelli essenziali di assistenza (Lea), è un servizio a rete in cui si cerca di fare in modo che un cittadino con un problema, che si trovi in un piccolo paesino o che si trovi in una città, abbia più o meno – nei limiti del possibile – la stessa possibilità di essere assistito. Anche la Lombardia ha un punteggio elevato di Lea ma ha un’organizzazione del servizio sanitario con dei centri di eccellenza, anche su scala nazionale, a discapito però della prossimità dei servizi e dell’equità: i cittadini di alcune zone sono meno assistiti di quanto possano esserlo in altre zone all’interno della stessa Regione.
Se questo ragionamento è una situazione di fatto, come lo è, il regionalismo differenziato crea un aggravamento di una situazione che è già di disuguaglianza tra cittadini di serie A e di serie B nelle varie Regioni.
Se davvero vogliamo garantire che i cittadini siano tutti uguali, andrebbe intrapreso il processo inverso a quello dell’autonomia differenziale.
Assistenza versus prestazione
Un altro ragionamento andrebbe fatto sul passaggio dai Lea ai livelli essenziali di prestazione (Lep). I Lea sono i livelli complessivi con cui il servizio garantisce l’assistenza per una determinata situazione, sia essa una fragilità, una cronicità, una malattia oncologica o una situazione morbosa. L’assistenza a cui si riferiscono è quella sanitaria e anche quella sociale come enunciato da uno dei principi fondamentali su cui si basa il nostro Ssn: “È un dovere integrare l’assistenza sanitaria e quella sociale quando il cittadino richiede prestazioni sanitarie e, insieme, protezione sociale che deve garantire, anche per lunghi periodi, continuità tra cura e riabilitazione”.
Con i Lep si mette l’accento sulla singola prestazione perdendo di vista l’assistenza del singolo individuo nella sua peculiarità. L’assistenza sanitaria viene così trasformata in una somma di singole prestazioni, quando invece le ipotesi stesse del Pnrr sono quelle di una sanità territoriale volta ad alleggerire i piani di assistenza individuale. Quindi il rischio in questo sistema di conteggio all’americana è di spezzettare il servizio sanitario in mille prestazioni come fanno le assicurazioni: ma il sistema sanitario non è un sistema assicurativo, fatto di tabelle, è un sistema in cui si affrontano i problemi complessivi dell’individuo.
Inoltre, con una sanità fondata sull’autonomia differenziata regionale, in una situazione di definanziamento della nostra sanità pubblica che pone l’Italia ultima tra i Paesi del G7 per spesa sanitaria e di iniziative come la flat tax con un conseguente calo delle entrate fiscali dello Stato, non potranno che accentuarsi le differenze regionali nell’erogazione dei servizi con l’attribuzione di maggiori finanziamenti pubblici in funzione all’adempimento sui Lep.
Con i Lep si mette l’accento sulla singola prestazione perdendo di vista l’assistenza del singolo individuo nella sua peculiarità.
Un doppio errore
La preoccupazione di chi si occupa di sanità rispetto all’autonomia differenziata è che questo progetto faccia ulteriormente perdere la programmazione generale, vista anche la debolezza dell’apparato ministeriale, degli apparati governativi centrali italiani. Trasformando l’Italia in venti diversi sistemi sanitari tanti quanti sono le Regioni si andrà a creare una situazione incompatibile con quella della professione medica la cui deontologia fin dal tempo del giuramento di Ippocrate, cinque secoli prima di Cristo, è assistere tutte le persone, indipendentemente dalle loro condizioni sociali o dalla loro religione o dalla loro etnia. Le persone sono tutte uguali e hanno ugual diritto di assistenza sanitaria e sociale. Lo sforzo originario con l’istituzione del Ssn era proprio quello di garantire la salute del cittadino e della collettività in condizioni di eguaglianza. L’articolo 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. E lo Stato ne è il responsabile. Sembra invece che l’attuale governo orientato alla destra sociale del “Dio patria famiglia” e al concetto di nazione stia cedendo all’atteggiamento regionalista del nord che – di fatto – non reca alcun vantaggio alla cittadinanza e alla popolazione nel suo complesso.
In questo modo si peggiorerà ulteriormente la situazione che si è generata con la riforma del Titolo V che ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Di fronte alla salute non possiamo pensare che l’assistenza erogata ed erogabile da un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico sia legata al ceto, all’istruzione e soprattutto alla posizione geografica di residenza. È inammissibile che il cittadino italiano nato in Lucania abbia una assistenza diversa dal cittadino italiano nato in Veneto. Percorrere la strada dell’autonomia differenziale sarebbe un errore valoriale ed etico oltre che politico. La sanità pubblica andrebbe riformata rispetto a quello che dovrebbe essere un servizio sanitario nazionale per come è stato istituito.
Articolo ricevuto il 10 febbraio 2023.