La dimensione globale del cambiamento climatico e dell’antropocene è implicita nelle due definizioni. Specificatamente per antropocene si intende l’epoca attuale, nella quale l’essere umano con le sue attività è riuscito a incidere sui processi naturali. Per la prima volta nella sua millenaria storia, l’uomo è diventato il principale driver dei cambiamenti ambientali e rischia di diventarne vittima.
Lo stato di salute e di benessere dell’uomo, degli animali e degli ecosistemi sono lo scopo della medicina unica, la cosiddetta one health. Con questo concetto si intende un approccio olistico alle problematiche di salute che comprende la progettazione e la realizzazione di programmi di prevenzione, politiche, normative, ricerca e pratica clinica in cui diverse professionalità e competenze lavorano in collaborazione per raggiungere ottimali esiti di salute.
In quest’ottica, già da tempo la medicina umana e la medicina veterinaria collaborano nella gestione delle zoonosi (malattie trasmissibili tra uomo e animali). Ma quello che si sta realizzando a livello globale è un approccio molto più integrato, che vede la partecipazione attiva di componenti non sanitarie di tipo scientifico (ecologi, fisici, botanici, climatologi) e anche umanistico (sociologi, economisti, antropologi). La sfida maggiore è riuscire a inserire la componente ambientale nelle agende delle diverse autorità che, a vario titolo, si occupano di salute.
La sfida maggiore è riuscire a inserire la componente ambientale nelle agende delle diverse autorità che a vario titolo si occupano di salute.
La condizione di salute riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) prevede oltre all’assenza di malattie anche il benessere delle persone, che non può prescindere dalla disponibilità di acqua e aria pulite, energia sostenibile, cibo disponibile, sicuro e nutriente. L’accesso a queste risorse inoltre deve essere democratico e deve essere riconosciuto anche alle generazioni future, pertanto la considerazione degli impatti ambientali delle politiche internazionali diventa un elemento critico ai fini dell’obiettivo della salute per tutti e per il pianeta.
Con questi intenti si è formalizzata per la one health un’intesa tra le quattro principali agenzie internazionali – Fao, Oms, Woah e Unep – denominata la Quadripartita. L’applicazione dell’intesa è descritta nel documento “One health joint plan of action” (2022-2026) il cui sottotitolo è “lavorare insieme per la salute degli uomini, animali, piante e ambiente”.
Il cambiamento climatico agisce sugli agenti patogeni e i determinanti di malattia producendo effetti sulla salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente che si traducono in sfide per le politiche di prevenzione. Di seguito se ne rappresentano alcune.

La mappa del Wwf con le principali zoonosi nel mondo. Molte delle malattie emergenti – come ebola, aids, sars, influenza aviaria, influenza suina e sars-cov-2 – sono la conseguenza dell’impatto sugli ecosistemi naturali delle attività dell’uomo, si legge nel report del Wwf Italia sull’azione distruttiva dell’uomo nei confronti dell’ecosistema. Per fronteggiare questa situazione, il Wwf sostiene l’adozione dell’approccio one health.
Fonte: Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Wwf Italia, marzo 2020.
Alimentazione e nutrizione. Il mondo si trova ad affrontare per la prima volta delle problematiche apparentemente divergenti. Da un lato la crescita della popolazione, prevista di 10 miliardi per il 2050, richiede una quantità sempre maggiori di energia e proteine. D’altro lato, l’attuale sistema economico di produzione primaria, trasformazione e distribuzione conduce a uno spreco di risorse alimentari non più sostenibile, accompagnato da problemi di salute nel mondo occidentale dovute a ipernutrizione e obesità.
L’incentivo alla produzione deve quindi essere portato avanti insieme a una politica di riduzione degli sprechi e ad una riduzione del consumo di carne. L’aumento di superficie agricola dedicata alla produzione di mangimi per animali deve essere fermato, a favore della promozione di colture dedicate direttamente all’alimentazione umana, molto più convenienti in termini di conversione di biomassa in energia. L’allevamento intensivo deve essere ripensato per permettere un maggior benessere animale, che a sua volta comporta un minor ricorso agli antibiotici ed un minor impatto sull’ambiente in termini di emissione di anidride carbonica. Le politiche di contenimento delle malattie epidemiche degli animali dovranno essere riviste, in quanto il sacrificio e la distruzione di migliaia di capi di bestiame può non essere più tollerabile alla luce del bisogno calorico e proteico del prossimo futuro. Sono in corso di valutazione la possibilità di un’alimentazione umana e animale a base di farine di insetti e la produzione di carni coltivate in vitro.
Un’altra fonte proteica importante per l’uomo è costituita dai prodotti della pesca. La conduzione irrazionale e predatoria di questa ha portato a un impoverimento, in alcuni casi irreversibile, dei mari. Si è quindi diffusa la pratica dell’acquacoltura, che nel nostro Paese ha ancora tanto margine di sviluppo. Questo tipo di allevamento però non è esente dalle problematiche degli allevamenti intensivi terrestri che abbiamo già considerato, quindi deve essere attuato nel rispetto delle risorse disponibili e dell’impatto ambientale.
In conclusione, tutto il sistema di produzione globale di alimenti deve trasformarsi, e le risorse alimentari devono essere gestite razionalmente e con lungimiranza, per prevenire ulteriori problematiche di salute e non essere considerate dal punto di vista esclusivamente economico-utilitaristico.
Biodiversità. La deforestazione per l’espansione agricola e l’allevamento procede a una velocità di 10 milioni di ettari distrutti ogni anno secondo le stime della Fao. Inoltre, l’industrializzazione e la globalizzazione del settore agricolo ha portato alla perdita del 75 per cento di diversità genetica delle specie vegetali coltivate a uso alimentare. La diversità genetica è fondamentale come ausilio alla lotta ai parassiti con una conseguente diminuzione di uso di antiparassitari. Inoltre, permette l’uso di terreni marginali, poco adatti ad una coltura intensiva, e garantisce una variabilità delle caratteristiche nutrizionali che contribuiscono ad una dieta sana, senza necessità di ricorrere a integratori. Occorre cambiare la mentalità che ha dominato i nostri atteggiamenti culturali, basati sulla crescita continua e illimitata e che, sinora, ha rappresentato la base dello sfruttamento dei sistemi naturali in un pianeta dagli evidenti limiti biofisici.
Nuove esposizioni e nuovi pericoli. La deforestazione e in generale l’alterazione degli ambienti naturali determinano un possibile aumento dei rischi da agenti patogeni conosciuti e sconosciuti a causa di un cambiamento delle vie di esposizione e di un parallelo cambiamento delle fasce di popolazione esposta e della loro consapevolezza dei pericoli. Se l’animale selvatico si trova privato dei propri rifugi naturali, può essere spinto a modificare la propria ecologia, entrando in contatto con l’uomo e quindi a trasmettergli patogeni a cui finora non era stato mai esposto, con conseguenze potenzialmente devastanti. A questo proposito, si ricorda che i chirotteri sono specie serbatoio di migliaia di virus potenzialmente patogeni per l’uomo. Questo fenomeno è noto ed è stato l’origine dell’insorgenza di alcune malattie epidemiche/pandemiche sviluppatesi negli ultimi anni (malattie emorragiche, sars, mers, sars-cov-2).
Il clima, inteso come parametri di temperatura e di umidità, sicuramente influisce sullo sviluppo degli insetti vettori di malattie infettive, in particolare di virus, ma anche sulla facilità con cui i virus replicano all’interno dei vettori stessi. Le popolazioni di insetti vettori possono espandersi oltre il loro naturale areale (è già successo con Aedes albopictus e alcune specie di zecche) ed esporre l’uomo a patogeni in aree indenni.
Purtroppo nei confronti delle malattie da vettori poco si può fare in termini di prevenzione e controllo, ma sicuramente diventa essenziale la preparazione, la rilevazione precoce e l’intervento tempestivo congiunto delle diverse professionalità coinvolte. In questo senso riportiamo con orgoglio il Piano di sorveglianza integrata nei confronti della malattia di West Nile, primo esempio in Italia di applicazione operativa one health in prevenzione e controllo di una zoonosi.
Ora che abbiamo la cultura e l’organizzazione, non ci resta che elaborare delle pratiche di prevenzione adeguate.
Dalla teoria ai fatti
Il nostro Paese gode di un importante vantaggio organizzativo sugli altri: è uno dei pochi in cui le competenze di medicina veterinaria e di medicina umana sono governate dallo stesso ministero. Lo stesso Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 riconosce l’interconnessione delle persone, degli animali e degli ecosistemi, promuovendo la collaborazione interdisciplinare nell’affrontare le sfide sanitarie.
Stanno sorgendo numerosi centri interprofessionali di ricerca, pratica clinica e prevenzione in ottica one health: il Centro di referenza nazionale per la ricerca scientifica sulle malattie infettive nell’interfaccia uomo/animale – Izs Venezie, il Centro di referenza nazionale per l’analisi e studio di correlazione tra ambiente, animale e uomo – Izs del Mezzogiorno, il gruppo di lavoro One health dell’Associazione italiana di epidemiologia, il Centro per la salute globale – Iss, e il One health European joint programme di cui l’Istituto superiore di sanità e alcuni istituti zooprofilattici sperimentali sono partner.
Inoltre ricordiamo le molteplici iniziative di formazione in materia, dai pratici corsi online, ai più strutturati dottorati di ricerca e master, aperti a laureati in diverse discipline.
In conclusione, ora che abbiamo la cultura e l’organizzazione, non ci resta che elaborare delle pratiche di prevenzione adeguate.