“Esiste una sorta di terra di mezzo, che è l’adolescenza, piena di bisogni di salute peculiari ma che le varie articolazioni del sistema sanitario non sembrano in grado di intercettare in maniera sistematica”, si legge nella guida alla transizione dal pediatra di libera scelta al medico di medicina generale. Come mai esiste questa “zona grigia” in cui gli adolescenti rischiano di non essere seguiti?
Michele Valente I motivi sono più di uno. Sicuramente c’è ne è uno di natura organizzativo-burocratica che incide sulla faccenda. In tutto il mondo l’età pediatrica, intesa come età in cui l’essere umano non ha ancora appieno sviluppato, va da 0 a 18 anni in base a quanto detto dall’Organizzazione mondiale della sanità. In Italia, invece, questo vale per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera, mentre per l’assistenza di base non è così perché c’è stata sempre un’opposizione da parte dei medici di medicina generale a lasciare che tutta l’età pediatrica fosse affidata al pediatra di famiglia. Per cui fino a 6 anni il pediatra ha l’esclusiva, fino ai 14 si può essere seguiti dal pediatra o dal medico di medicina generale, e fino a 16 il pediatra può continuare ad avere in carico i soggetti con patologie specifiche. E questa situazione ha sempre ritardato la presa in carico globale da parte del pediatra.
Il secondo motivo è di natura culturale. Con il passare del tempo il pediatra ha sviluppato delle competenze sugli adolescenti che invece il medico di medicina generale, tranne poche eccezioni, in genere non ha interesse a svilupparle perché per formazione è il medico della persona adulta e dell’anziano e spesso sposta il focus verso la cura della cronicità e della fragilità. Bisogna invece tenere a mente le peculiarità dell’età, per cui non si può trattare un adolescente né come un piccolo adulto né come un grande bambino. È un adolescente con caratteristiche specifiche sia di natura psicologica sia di natura fisico-medica. Il fattore culturale, però, riguarda anche gli adolescenti stessi e i loro genitori. I ragazzi e le ragazze a quell’età spesso oscillano tra un sentimento di onnipotenza per cui pensano di non avere bisogno di dottori perché non stanno mai male e un sentimento opposto per cui davanti alla prima difficoltà pensano di avere grandi problemi. E questo vale anche per i genitori, che pensano di non dover portare mai un ragazzo sano da un medico o almeno fisicamente in apparente buona salute.
In tutto il mondo l’età pediatrica va da 0 a 18 anni in base a quanto detto dall’Oms. In Italia, invece, questo vale per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera ma non per l’assistenza di base. — Michele Valente
Maria Luisa Zuccolo L’età adolescenziale e preadolescenziale è caratterizzata da un relativo benessere sul piano fisico tanto che spesso i ragazzi e le ragazze diventano invisibili al sistema sanitario (non solo del nostro Paese), salvo apparire in maniera dirompente quando il bisogno di salute non riguarda la sfera organicistica ma quella mentale. Il problema si è palesato in tutta la sua gravità e dimensione in questi ultimi tre anni di pandemia, nel corso dei quali abbiamo assistito a un aumento dei disturbi della salute mentale e l’adolescente ha pagato il prezzo più alto con un sistema sanitario assolutamente impreparato ad accogliere le richieste di aiuto. Esiste, infatti, un’area grigia che va dai 15 ai 18 anni ove non esiste una normativa chiara su chi si debba occupare della gestione della salute mentale. Tutto viene lasciato alle iniziative locali, inoltre non ci sono risorse in grado di soddisfare la richiesta su tutto il territorio nazionale. Il problema riguarda anche la patologia organica cronica. Mancano gli strumenti adatti a favorire una corretta migrazione delle conoscenze dal pediatra di famiglia/ospedaliero al medico di medicina generale che si traduce poi in cattiva gestione o ritardi di presa in carico dei pazienti e conseguente calo della qualità dell’assistenza.
Molte di queste criticità derivano dal fatto che in Italia esiste una separazione tra le cure primarie in pediatria e in medicina generale; pertanto al compimento del 14esimo anno di età decade automaticamente l’assistenza da parte del pediatra di famiglia e l’adolescente (salvo casi particolari) è obbligato a scegliere un nuovo medico. Tra le due figure sanitarie coinvolte purtroppo non esiste un passaggio automatico di dati relativi al paziente [1]. Oltre a queste difficoltà burocratiche si deve tenere conto che l’adolescenza, lungi dall’essere un processo evolutivo che semplicemente sfuma verso l’età adulta, comporta una modificazione di tutto il mondo interno interessante le rappresentazioni, gli affetti, le emozioni e l’immagine del corpo. In questo periodo matura il pensiero autoriflessivo e autocosciente. In questa fase della vita l’adolescente fatica a “riconoscere” il pediatra come responsabile della sua salute poiché spesso il pediatra è abituato a confrontarsi coi bisogni dei bambini piccoli; fatica anche a confrontarsi col medico di medicina generale che, all’opposto è spesso targato sui bisogni dell’anziano. Ecco dunque la necessità di ripensare al proprio ruolo, da parte di entrambe le figure, in modo tale da essere in grado di accogliere i bisogni di salute specifici di questa età.
L’adolescente fatica a “riconoscere” come responsabile della sua salute il pediatra che è abituato a confrontarsi coi bisogni dei bambini; fatica anche a confrontarsi col medico di medicina generale che, all’opposto è spesso targato sui bisogni dell’anziano. — Maria Luisa Zuccolo
Quali sono i rischi principali che un target così fragile non venga intercettato dal servizio sanitario?
MLZ Per quanto riguarda le malattie croniche organiche il rischio riguarda la gestione e/o la mancata intercettazione di eventuali complicazioni. Per le malattie mentali particolarmente gravi, invece, quali i disturbi del comportamento alimentare, la scarsa presenza sul territorio nazionale di servizi dedicati al problema, comporta oltre a colpevoli ritardi diagnostici anche conseguenze che possono essere molto gravi. Una malattia come questa, infatti, che dura ben oltre l’età adolescenziale avrebbe bisogno di un servizio in grado di accompagnare le pazienti dall’esordio e per tutta la durata della patologia, senza interruzioni o cambi di gestione.
I ragazzi in età adolescenziali, per quanto generalmente sani, hanno bisogno di essere seguiti. Lo dimostra un documento [2] – redatto attraverso la raccolta e l’analisi di questionari somministrati nelle scuole di tutta Europa per intercettare i bisogni di salute dell’adolescente a 11, 13 e 15 anni – da cui emerge che quando chiedi ai ragazzi come stanno rispondono tutti di star bene perché effettivamente i ragazzi stanno bene, ma se invece gli si chiede quante volte in una settimana hanno avuto mal di testa, mal di pancia o si sono sentiti giù di morale le risposte cambiano completamente: più del 50 per cento dichiara di soffrire di almeno due sintomi più di una volta la settimana.
MV Si rischia innanzitutto che i ragazzi e le ragazze vedano il servizio sanitario come un luogo da evitare, un luogo in cui non vengono capiti, e dove i loro problemi non possano trovare un approccio convincente da parte di un medico che non sia uno specialista. Così l’adolescente, che è già di suo molto schivo e orientato all’approccio tra pari e non verso l’adulto con cui instaura uno strano atteggiamento di rifiuto, ammirazione e competizione, tende a fuggire affidandosi ai suoi pari tramite miti, social media e sentito dire.
Aggiungo che se il rischio esiste per un adolescente sano, figuriamoci per un adolescente con patologia cronica o che viene da situazioni di fragilità: in questo caso la transizione diventa difficile non solo tra il pediatra e il medico di medicina generale ma anche tra i centri specialistici, perché spesso per l’adulto non esistono le stesse attenzioni o le stesse specialità che ci sono in ambito ospedaliero per il bambino. Si può pensare che gli adolescenti con patologie siano più seguiti, ma la verità è che in questo caso spesso noi medici “vediamo” la malattia e non la persona, cioè un bambino che è diventato adolescente pur con tutte le sue problematiche.
Il rischio è che i ragazzi e le ragazze vedano il servizio sanitario come un luogo da evitare, un luogo in cui non vengono capiti. — Michele Valente
Come fare per promuovere un maggior dialogo e una maggiore fiducia tra i ragazzi e il proprio medico?
MV La base è duplice. Da un lato il pediatra deve sviluppare le proprie competenze di natura medica relative alla fascia di salute adolescenziale: salute sessuale, patologie tipiche che insorgono o esplodono in età adolescenziale, dipendenza da sostanze o da comportamenti. Dall’altro deve sviluppare una buona relazione e per questo le basi si pongono dalla nascita, da quando la persona arriva per la prima volta a studio con i genitori. Solo sviluppando una buona relazione con i genitori, o caregiver che siano, e con il bambino si gettano le basi per poter poi intercettare i bisogni di salute di ogni età, anche quelli che insorgono in età adolescenziale. Ma questo è un discorso per cui è ancora più difficile essere preparati. Per questo io sono tra quei pediatri che sostengono che durante la scuola di medicina, le specializzazioni e nei corsi post-universitari sia necessaria per tutte le professioni sanitarie una formazione alla buona relazione medico-paziente e all’approccio empatico. Queste, infatti, sono cose che una persona può avere come attitudine personale in varia misura ma c’è tutto un bagaglio tecnico che se non viene insegnato non si avrà mai. Purtroppo solo adesso solo di recente e solo in alcuni ambiti lo si sta cominciando a capire.
MLZ Gli adolescenti e preadolescenti che afferiscono al servizio di cure primarie sono pazienti che spesso conosciamo fin dalla nascita. Questa condizione se da una parte può rappresentare una risorsa poiché presuppone la conoscenza da parte nostra di tutta la famiglia e soprattutto la presenza di un legame di reciproca fiducia, dall’altra può rappresentare un ostacolo in quanto spesso il rapporto fiduciario si è consolidato nel tempo principalmente coi genitori (il più delle volte la madre). Se non si è stati sufficientemente attenti a interagire col bambino fin da piccolissimo, in adolescenza egli faticherà a identificarci come “proprio medico”.
Quando l’adolescente si presenta nei nostri studi spesso viene condotto su iniziativa del genitore che chiede di essere aiutato nella sua funzione genitoriale o, peggio, di delegare al medico la soluzione di problemi e dei comportamenti del figlio. Talvolta viene chiesto un aiuto psicologico per il figlio. È fondamentale a questo punto riflettere con i genitori sulle modalità di coinvolgimento del figlio. Più raramente succede che sia l’adolescente stesso a richiedere una visita col pediatra. Sarà cura del medico valutare (a seconda dell’età del ragazzo/a) l’eventuale coinvolgimento dei genitori, soprattutto invitando l’adolescente a parlare direttamente con loro. La sfida che deve affrontare il pediatra di libera scelta in questa fase della vita dei propri pazienti risiede dunque nella necessità di costruire un rapporto diverso, più maturo, che accompagni l’adolescente nel responsabilizzarsi nella gestione della propria salute.
Incontrare l’adolescente nel proprio studio comporta, inoltre, una serie di modifiche che riguardano le modalità comunicative, il setting ambulatoriale, gli orari, il colloquio e la visita vera e propria che andrebbe lasciata per ultima anticipando verbalmente ciò che verrà esaminato, esplicitando chiaramente i contenuti della nostra osservazione e rispondendo a eventuali interrogativi [3]. È importante per questa fascia di età dedicare un’attenzione specifica alla storia psicosociale dell’adolescente e indagare le varie aree spaziando tra tappe evolutive e compiti di sviluppo (assetto emotivo, competenze cognitive e sociali, cosa si prepara a essere in futuro); l’esperienza del cambiamento corporeo; la qualità delle relazioni tra adolescente e famiglia (tipo di rapporto, esperienza del distacco, come gestisce le emozioni all’interno della famiglia); gruppo dei pari (importanza nella costruzione della propria identità). A questo scopo sono disponibili scale di valutazione che aiutano il pediatra anche se non possiede particolari competenze specialistiche.
La sfida per il pediatra di libera scelta risiede nel costruire un rapporto diverso, più maturo, che accompagni l’adolescente nel responsabilizzarsi nella gestione della propria salute.
— Maria Luisa Zuccolo
Per riuscire a comunicare con i pazienti adolescenti possono essere utili anche i social media? Quali sono i vantaggi e quali i rischi?
MV Non bisogna rifiutarsi di accettare una modalità comunicativa che è sempre più propria degli adolescenti ma che, allo stesso tempo, è un terreno particolare pieno di insidie quali per esempio la privacy. Con un gruppo di colleghi stiamo lavorando per promuovere delle “pillole di comunicazione” da inviare attraverso i social alle famiglie dei pazienti adolescenti che seguiamo riguardo le dipendenze. Penso sia più complicato utilizzare queste pillole come mezzo di comunicazione diretto con i singoli pazienti, ma sicuramente è un aspetto da studiare e non da rifiutare a priori. Bisogna capire gli ambiti, la forma e la modalità più adatta.
Non bisogna rifiutarsi di accettare una modalità comunicativa che è sempre più propria degli adolescenti. Bisogna capire gli ambiti, la forma e la modalità più adatta. — Michele Valente
MLZ Gli adolescenti sono sempre più precoci nell’uso di smartphone e sono sempre più connessi. È legittimo immaginare che per loro lo smartphone sia uno strumento privilegiato per la comunicazione, inclusa quella col medico. Molti pediatri di famiglia già condividono il proprio numero di cellulare coi propri pazienti e interagiscono con loro attraverso i social network (per esempio WhatsApp). Personalmente vedo in modo favorevole l’utilizzo dei social per comunicare con gli adolescenti poiché è uno strumento con il quale hanno molta confidenza e permette quindi una interazione più libera. È comunque opportuno fissare delle regole di utilizzo in quanto c’è il rischio che lo strumento venga utilizzato senza orari ma, soprattutto, potrebbe essere fonte di fraintendimenti e sfavorire quindi la comunicazione piuttosto che facilitarla.
Vedo in modo favorevole l’utilizzo dei social per comunicare con gli adolescenti poiché è uno strumento con cui hanno molta confidenza e permette quindi una interazione più libera. — Maria Luisa Zuccolo
Sfruttare l’uso massiccio con connessione internet continua dello smartphone da parte dei giovani e i dati da essi condivisi potrebbe rappresentare, inoltre, una grande opportunità per il servizio sanitario per intercettare bisogni di salute inespressi da parte dell’adolescente e fornire risposte concrete che, attraverso la fenotipizzazione digitale, potrebbero concretizzarsi in modalità alternative per promuovere il benessere mentale. Iniziative di questo tipo si stanno sviluppando attualmente nei Paesi nordici. In Olanda, per esempio, è in corso un progetto di ricerca multidisciplinare coinvolgente designer, matematici e psicologi clinici, che collegialmente stanno sviluppando delle applicazioni per gli smartphone sotto forma di videogiochi che permettono di valutare lo stato mentale dell’adolescente al fine di fornire opportuni interventi volti ad aumentare la resilienza mentale. Strumenti di questo tipo potrebbero fornire delle risposte concrete ed economiche alla crescente necessità di supporto psicologico in adolescenza, valendosi di un mezzo di comunicazione che per l’adolescente è molto familiare [4].
A cura di Rebecca De Fiore
Bibliografia
[1] Passerini G, Passerini G. Cambio del medico all’età di 14 anni: quali informazioni dal pediatra di libera scelta al medico di medicina generale? Quaderni ACP 2013;20:132-4.
[2] Istituto superiore di sanità. La sorveglianza HBSC 2018 – Health behaviour in school-aged children: risultati dello studio italiano tra i ragazzi di 11, 13 e 15 anni. Supplemento al Notiziario dell’Istituto superiore di sanità, numero 9, settembre 2020.
[3] Callegari M, Grossi C, Mazzini F, et al. Incontrare gli adolescenti e le loro famiglie nei nostri ambulatori. Quaderni ACP 2017;24:225-7.
[4] Fonda S. Design for youth’s flourishing: intervention design strategies to enhance teenagers’ mental resilience and well-being. Delft university of technology, 2021.