Il Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs, pur essendo un policlinico dedicato all’assistenza di pazienti affetti da tutte le patologie, ha una particolare vocazione oncologica. Basti pensare che ogni anno assiste tra i 45.000 e i 50.000 pazienti oncologici. Numeri che sono rimasti alti anche durante i due anni della pandemia, con l’assistenza a circa 43.000 pazienti oncologici. Con questi volumi di attività l’integrazione delle competenze è fondamentale nella gestione quotidiana e nelle informazioni che si scambiano tra professionisti sanitari e in quelle che servono al paziente, sia fino a che rimane all’interno della struttura, sia nei rapporti con l’esterno. Ne abbiamo parlato con tre professionisti sanitari che lavorano in questa struttura: Monica Liberatori, coordinatore infermieristico del Day hospital di Oncologia medica, Marcello Pani, direttore della Farmacia ospedaliera, e Giampaolo Tortora, direttore dell’Unità operativa complessa di Oncologia medica.
Quali sono le competenze più utili che ognuno di voi mette in campo nella gestione del paziente oncologico?
Marcello Pani. Il farmacista e la farmacia sono pienamente coinvolti in tutte le attività che riguardano l’assistenza al paziente oncologico. Sono tutte attività integrate con altre professionalità, in primis naturalmente con gli oncologi e con gli infermieri professionali che lavorano in questo ambito. Queste attività riguardano tutte le fasi che consentono ai pazienti di accedere alle terapie farmacologiche. Per questo inizierei senz’altro elencando quelle attività che riguardano i trial clinici e le sperimentazioni cliniche, che nel nostro Policlinico sono importanti, molto numerose e ampiamente dedicate alle innovazioni farmacologiche in oncologia. In questo ambito la farmacia ha il compito di garantire il percorso corretto del farmaco secondo le good clinical practice e oltre a un’attività imponente a tal riguardo, la farmacia è coinvolta, integrandosi con gli altri professionisti, in tutte le altre fasi che caratterizzano l’accesso alle terapie, dall’inserimento dei nuovi farmaci in prontuario ospedaliero, dalla verifica della rimborsabilità del farmaco e dalla gestione del flusso dati nel file F, perché il nostro è un policlinico universitario privato accreditato, inserito nel contesto del Servizio sanitario regionale del Lazio. Dopodiché un ambito importante di coinvolgimento integrato multidisciplinare è quello relativo alle prescrizioni e alla somministrazione di queste terapie. Nel nostro Policlinico l’allestimento di tutte le terapie oncologiche è centralizzato nella struttura che si chiama Unità farmaci antiblastici (Ufa), che risiede presso la farmacia ospedaliera, e qui avvengono circa 450 allestimenti giornalieri di terapie oncologiche. Ecco, credo che queste siano le principali attività di integrazione professionale nelle quali il farmacista, l’oncologo e l’infermiere collaborano ogni giorno in maniera efficace.
Giampaolo Tortora. Oltre a quanto descritto dal collega, che rappresenta la nostra quotidianità nella gestione delle terapie, sia quelle infusionali somministrate in ospedale sia quelle assunte a domicilio, c’è tutto il lavoro della multidisciplinarità nella gestione del singolo paziente. È un lavoro enorme che abbiamo strutturato in maniera codificata all’interno del nostro Comprehensive cancer centre: abbiamo 24 diversi gruppi multidisciplinari, 23 per organo o apparato, più il Molecolar tumor board. Questi gruppi multidisciplinari si riuniscono un giorno alla settimana, alcuni anche due, mentre il Molecolar tumor board una volta ogni due settimane, con un coordinatore responsabile, con un sistema che gestisce immagini e tutte le informazioni sanitarie dei pazienti. Sono incontri che vedono seduti intorno al tavolo tantissimi specialisti; quindi la multidisciplinarità è messa al servizio del paziente simultaneamente per scegliere il miglior percorso per la singola persona dal punto di vista chirurgico, radiologico, radioterapico, oncologico medico, ma anche nutrizionale ad esempio. Tutto questo vale per ciò che avviene all’interno dell’ospedale, ma poi c’è anche tutto quello che avviene fuori. Avere la continuità della cura prevede che ci sia un contatto continuo e un flusso bidirezionale con i medici di medicina generale e con il territorio. Con l’assistenza domiciliare integrata e con le strutture hospice per i pazienti nella fase finale del loro percorso di malattia c’è un’ottima continuità, mentre deve essere migliorato il circuito con l’integrazione dei medici di medicina generale. A questo proposito, sia nell’ambito della rete oncologica regionale sia attraverso una serie di iniziative proprio con la Federazione nazionale dei medici di medicina generale, si sta cercando di colmare questo gap perché è chiaro che il paziente non può sentirsi protetto nel momento in cui è all’interno della struttura e poi, quando esce, sentirsi scoperto e continuare a far riferimento alla struttura che lo ha seguito nella fase acuta. Va chiuso a 360 gradi questo percorso di continuità della cura e questa parte richiede un impegno ulteriore.
Monica Liberatori. L’infermiere che lavora in oncologia deve possedere competenze specifiche, inerenti i farmaci che vengono somministrati e gli eventuali eventi avversi, deve saper gestire i diversi device necessari nel percorso di cura. Inoltre è necessario che abbia competenze comunicative, relazionali e di educazione sanitaria, al fine di ottenere una presa in carico del paziente globale. Competenze che non possono essere dettate solo dall’esperienza, ma rispondenti all’evidence based practice.
L’approccio al paziente deve essere olistico. Quindi le competenze non possono essere a compartimenti stagni. — Monica Liberatori
Qual è il vantaggio di mettere in relazione le diverse competenze rispetto a un approccio a compartimenti stagni?
Liberatori. La letteratura moderna ci dice che l’approccio al paziente deve essere un approccio olistico, quindi le competenze non possono essere a compartimenti stagni. Ci dice anche che il paziente non è più al centro, tra i diversi professionisti sanitari che lo curano, ma è attore che mette in campo le sue competenze, quelle di cittadino che si è ammalato di cancro. Questo mette in evidenza come sia necessario che le competenze di tutti i ruoli, all’interno di un percorso di cura, siano in relazione per offrire una risposta efficace. Per dare al paziente la consapevolezza di essere all’interno di un circuito che lo comprende.
Tortora. Ci sono numerosi vantaggi. Il primo è che i percorsi che si scelgono sono i percorsi ottimali. Ogni specialista conosce perfettamente le migliori pratiche cliniche per la propria area di competenza e tutti noi conosciamo le linee guida che governano le scelte più opportune, la sequenza dei trattamenti. Incontrarsi intorno a un tavolo significa concentrare l’attenzione sul singolo caso, valutare quel singolo paziente, cosa che dà un vantaggio estremo rispetto a una applicazione asettica di una linea guida uguale per un qualsiasi paziente affetto da quella patologia. Si scende nel dettaglio del paziente: sulle altre patologie di cui soffre, sugli altri farmaci che assume, sulla sua storia precedente. È unico come approccio. L’altro vantaggio è la velocità e l’appropriatezza perché si ottimizzano i tempi e si riduce la possibilità di errore evitando di fare scelte che magari per un paziente non sono le più opportune. E di conseguenza si contengono i costi, sia del percorso che viene ottimizzato sia eventualmente dei trattamenti che in questo modo vengono fatti sempre in maniera appropriata.
Pani. Un altro ambito importante, che mette in relazione le diverse competenze, riguarda la gestione dei pazienti oncologici cronici, che per fortuna ormai sono numerosi e vengono seguiti da noi anche nelle terapie a domicilio attraverso una prescrizione, una dispensazione del farmaco e con tutti i controlli che periodicamente fanno presso il centro oncologico. In questo ambito la multidisciplinarità rappresenta un valore perché spesso questi pazienti sono affetti da comorbilità ed è importante intercettare le necessità anche di cambiare dosaggi, di personalizzare le terapie. Credo che il paziente oncologico attraverso questo lavoro di squadra sia tutelato e seguito in maniera efficace.
Credo che il paziente oncologico attraverso un lavoro di squadra sia tutelato e seguito in maniera efficace. — Marcello Pani
Per lavorare in gruppi multidisciplinari è importante che ciò avvenga fin dalla formazione?
Tortora. Non è ancora strutturata una formazione di questo tipo. È però vero che gli specializzandi delle diverse discipline partecipano ai gruppi multidisciplinari. Inoltre abbiamo inserito nell’ambito del percorso formativo della scuola di specializzazione in oncologia medica, che qui al Policlinico Gemelli dirigo, la partecipazione obbligatoria a un certo numero di gruppi multidisciplinari, così come è obbligatoria la partecipazione a un certo numero di sperimentazioni cliniche. Quindi di fatto gli specializzandi si stanno formando partecipando ai gruppi multidisciplinari e questo non succede solo per l’oncologia medica perché partecipano anche gli specializzandi della diagnostica, della radioterapia, delle chirurgie. Questo approccio formativo dovrà sempre più strutturarsi, perché ad esempio non è ancora trasversale con le scienze infermieristiche. Ritengo però che sia ormai partito questo tipo di impostazione culturale perché è una necessità ineludibile.
Pani. Lo stesso vale per la specializzazione in farmacia ospedaliera, che prevede nel tirocinio dei momenti per gli specializzandi di partecipazione attiva a tutte le attività integrate alle altre professionalità: alle attività integrate ai trial clinici, all’attività centralizzata delle Ufa, fino alle attività di discussione dell’inserimento di determinati farmaci nel nostro prontuario. Tutte queste attività si svolgono in modalità multidisciplinare. La formazione dovrà essere meglio strutturata anche nell’ambito degli insegnamenti, che dovranno essere adeguati a questi nuovi modelli organizzativi.
Liberatori. Come dicevano anche i colleghi, questa cultura ancora non c’è. È però necessaria una formazione di questo tipo, perché ci si abituerebbe a condividere obiettivi comuni tra le diverse figure professionali. Attualmente accade che alcuni master, frequentati da medici e infermieri, oltre a dei moduli comuni abbiamo dei moduli specialistici legati al proprio profilo professionale. Questo apre un confronto attivo e condiviso in modo funzionale, in cui emergono le esigenze formative di ciascun ruolo.
La condivisione di responsabilità penso sia connaturata al fatto di partecipare a un gruppo multidisciplinare. — Giampaolo Tortora
Mettere in condivisione le competenze comporta anche una condivisione di responsabilità?
Pani. La responsabilità è condivisa e ciascun atto professionale che segue a queste scelte condivise porta con sé la responsabilità professionale di chi lo compie.
Tortora. La condivisione di responsabilità penso sia connaturata al fatto di partecipare a un gruppo multidisciplinare, basti pensare che i pazienti discussi vengono verbalizzati e i presenti firmano quel verbale. Quindi è vero che c’è un coordinatore responsabile, ma tutti si sentono coinvolti in questo processo.
Liberatori. Ogni ruolo professionale risponde per il proprio operato, ogni profilo professionale risponde per le proprie competenze specifiche. È vero però che la responsabilità è condivisa laddove, come specifica il professor Tortora, si lavora in un team multidisciplinare.
A cura di Rebecca De Fiore