L’Organizzazione mondiale della sanità definisce il task shifting come il trasferimento razionale di compiti normalmente svolti da professionisti sanitari con qualifiche e competenze più elevate ad altri operatori, sanitari o non, con una formazione più breve e meno qualificata. L’aggettivo “razionale” fa riferimento alla necessità che il compito sia attribuito a personale dotato di professionalità ed esperienza comunque appropriate per quel compito. Il fine è garantire la maggior qualità di salute possibile per una singola persona malata o per una popolazione di malati, utilizzando nel modo più efficiente possibile le risorse umane disponibili [1].
Perché il task shifting
Il task shifting è stato pensato originariamente per fare fronte alla crisi sanitaria generata dalla pandemia da hiv nell’Africa subsahariana [2]. Ma successivamente ha ricevuto particolare attenzione da decisori politici e autorità sanitarie per garantire un equo accesso alle cure alle popolazioni dei Paesi a basso e medio reddito afflitti da una costante carenza di professionisti sanitari. Nei Paesi ad alto reddito il task shifting ha un’origine più complessa che chiama in causa più fattori, tra questi la carenza di personale medico e l’aumento dei costi sanitari.
Diverse revisioni sistematiche di letteratura [3-5] hanno dimostrato che il task shifting può contribuire a ridurre morbilità e mortalità soprattutto nei settori dell’infettivologia, delle malattie non trasmissibili, in quello materno-infantile e dell’emergenza. In quest’ultimo settore la tesi per cui interventi in emergenza gestiti da un medico invece che da altri professionisti esperti portino a una diminuzione di morbilità e mortalità non ha trovato prove solide a sostegno. Al contrario, la letteratura dimostra che nel settore delle cure primarie la presa in carico delle patologie non trasmissibili da parte degli infermieri garantisce un’assistenza di qualità uguale o migliore rispetto a quella offerta dai medici di medicina generale, e livelli più elevati di soddisfazione nella relazione di cura così come valutato dai pazienti [6-11].
I fattori che ostacolano il cambiamento
Una varietà di fattori può ostacolare la diffusione e lo sviluppo del task shifting, tra questi il più importante è probabilmente quello finanziario. Sembra più difficile attuare il task shifting da medico ad altro professionista sanitario nei casi in cui le due categorie (ad es. medico e infermiere) possono entrare in concorrenza per una medesima funzione con potenziale svantaggio per il primo sia in termini economici (per esempio, funzioni retribuite “a gettone”) che di perdita di posti di lavoro. È il caso dell’indagine attivata dall’Ordine dei medici di Bologna, su denuncia del sindacato Snami, conclusa nel 2018 con la radiazione dell’assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna in quanto medico egli stesso. La responsabilità ascrittagli consisteva nell’aver approvato la delibera con la quale erano delegati agli infermieri attivi nell’emergenza pre-ospedaliera, protocolli operativi che prevedevano, in definite condizioni patologiche, l’identificazione del problema e la somministrazione, ove necessario, di farmaci salva-vita sotto il controllo da remoto del medico di centrale operativa [12]. Anche i medici autori dei citati protocolli furono radiati ma il provvedimento disciplinare fu annullato per tutti in Cassazione [13]. L’Ordine addusse però ragioni diverse dall’interesse economico chiamando in causa la sicurezza dei cittadini, ritenuta a rischio per l’intervento in emergenza di personale infermieristico anziché medico, e l’art. 3 del Codice deontologico secondo il quale “la diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico” [14].
Una varietà di fattori può ostacolare la diffusione e lo sviluppo del task shifting, tra questi il più importante è probabilmente quello finanziario.
Il caso citato permette di comprendere come altri due fattori possono ostacolare un’attuazione efficace e vantaggiosa del task shifting. Il primo riguarda l’approccio culturale basato sulla centralità del loro ruolo con cui i medici si rapportano agli infermieri nella relazione interprofessionale. È ormai dimostrato che quando il medico imposta il lavoro con l’infermiere, o con altri professionisti sanitari, su una rigida concezione gerarchica, si ostacola la comunicazione, si generano ostilità, frustrazione e sfiducia a discapito della collaborazione e, in ultimo, della qualità dell’assistenza [15-18]. Una collaborazione che invece riconosca le rispettive aree di competenza e autonomia professionale consente ai diversi professionisti coinvolti nei processi di cura di costruire una relazione che, attraverso processi decisionali comuni, concretizzati in protocolli operativi condivisi e coordinati, permette di attuare piani assistenziali basati su funzioni e attività indipendenti aumentando, in ultima analisi, l’efficacia complessiva dell’assistenza sanitaria [19-22].
La visione corporativa, mantenendo la centralità del medico nella relazione con il paziente, spiega la più grossolana contraddizione della medicina.
Il secondo fattore riguarda la visione “corporativa” – parte anch’essa dell’approccio culturale – che permea ancora ampi strati della categoria dei medici. Indicativo in tal senso il numero di sigle sindacali di settore: una ricerca in internet ha permesso di contarne almeno quarantatré (dati personali, vedi box). La visione corporativa, mantenendo la centralità del medico nella relazione con il paziente, spiega la più grossolana contraddizione della medicina: se questa nasce per curare le persone malate, come è possibile, che ancora negli anni venti del duemila, si continua a parlare di “cura centrata sul paziente” come di un obiettivo tutt’altro che raggiunto? [23].
Sindacati medici in Italia 2022
Associaz. Anest. Rian. Osp. Italiani Emerg. Area Critica (AAROI-EMAC); Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI); Associazione Italiana Odontoiatri (AIO); Associazione sindacale Patologi Clinici (AIPaC); Associazione Medici Dirigenti (ANAAO-ASSOMED); Associazione Nazionale Dentisti Italiani (ANDI); Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO); Associazione Nazionale Medici Direzioni Opedaliere (ANMDO); Associazione Nazionale Medici INPS (ANMI); Associazione Nazionale Primari Ospedalieri (ANPO); Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI); Alleanza Professione Medica (intersindacale) (APM); Associazione Chirurghi Ortopedici Traumatologi Italiani (ASCOTI); Associazione Unitaria Psicologi Clinici (AUPI); Confederazione Generale Italiana Lavoro – medici (CGIL medici); Coordinamento Italiano Medici Ospedalieri (CIMO); Associazione Sindacale Medici Dirigenti (CIMO-ASMD); Confederazione Italiana Medici Ospedalità Privata (CIMOP); Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori – medici (CISL medici); Coordinamento Sindacale Professionisti Sanità (COSIPS); Confederazione Unitaria Medici Italiani (CUMI); Federazione Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI); Federazione (Intersindacale) (FASSID); Federazione Sindacale Medici Dirigenti (intersindacale) (FESMED); Federazione Specialisti Ambulatoriali (FESPA); Federazione Italiana Autonoma Lavoratori Sanità (FIALS); Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO); Federazione Italiana Medici Medicina Generale (FIMMG); Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP); Sindacato Autonomo Urgenza Emergenza Sanitaria (SAUES); Sindacato Branca a Visita (SBV); Sindacato Endoscopisti Digestivi Italiani (SEDI); Sindacato Italiano Medici Territorio (SIMET);
Sindacato Nazionale Farmacisti Dirigenti SSN (SiNaFO); Sindacato Italiano Medici Medicina Fisica Riabilitativa (SIMMFIR); Sindacato Medici Italiani (SMI); Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani (SNAMI); Sindacato Nazionale area Radiologica (SNR); Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana (SUMAI); Sindacato Unitario Otorinolaringoiatri Italiani (SUOI); Sindacato Unitario Specialità Ortognatodonzia (SUSO); Unione Generale Lavoratori – medici (UGL medici); Unione Italiana Lavoratori – medici (UIL medici).
Risultati di una ricerca su internet con le seguenti parole chiave: sindacati medici; associazioni sindacali medici; federazioni sindacali medici.
È rilevante in proposito quanto sta accadendo in Lombardia, dove la recente proposta di adottare la figura dell’infermiere “supplente” del medico di medicina generale, formulata dalla giunta regionale, ha sollevato già dure proteste [24]. Sarebbe stato invece auspicabile, in considerazione delle gravissime carenze funzionali e organizzative della sanità territoriale lombarda, ma anche nazionale, evidenziate dalla pandemia, avviare tra i rappresentanti delle categorie professionali, i decisori politici e le autorità sanitarie una discussione approfondita in merito ai nuovi ruoli delle professioni sanitarie nella prospettiva di un rinnovamento del concetto di salute, della singola persona o della comunità, non più rapportato alla mera erogazione di prestazioni ma al riconoscimento, all’intercettazione e al soddisfacimento dei bisogni di salute.
È chiaro allora che rispondere a un bisogno di salute è molto più complesso che rispondere in termini di semplice “prestazione medica” e che la medicina clinica non è che una parte del concetto di salute. Ne consegue che oggi la figura del medico, pur nella sua specificità, non è che una tra tutte quelle che compongono la costellazione della cura. In una lettera al direttore della rivista Recenti Progressi in Medicina due medici scrivevano: “Se proprio siamo alla ricerca di una definizione di atto medico, piuttosto che alla scomposizione dell’attività del professionista in una moltitudine di prestazioni delle quali avrebbe l’esclusiva, bisognerebbe forse guardare alla ricomposizione delle prestazioni, a prescindere da chi le faccia e data per scontata la sua capacità a effettuarle, in un percorso coerente, organico di cui rivendicare ciascuno la propria responsabilità” [25]. È proprio in questa prospettiva che il task shifting potrebbe essere considerato un approccio operativo per rispondere ai bisogni di salute.
Ciononostante, le istituzioni mediche – Ordini, sindacati, società scientifiche, università – pur mostrandosi sensibili a quella che appare come una vera e propria “questione medica”, non sembrano, in generale, sapere e/o volere affrontare le complessità strutturali di questo tempo [26]. La crisi di ruolo in cui oggi il medico si dibatte non è quindi da ascrivere solo ai mutamenti socioeconomici, ma anche alla resistenza che la classe medica stessa offre alla necessità di ragionare nella logica del futuro della professione che si va già delineando [27].
Conclusioni
Ci sono dunque sostanzialmente due modi di guardare al task shifting. Il primo individua in esso una mera policy gestionale, idonea a contrastare almeno due rilevanti problemi: la riduzione critica del numero dei medici, i costi sanitari continuamente crescenti. Il secondo prevede invece che il task shifting sia parte di un progetto più ampio e più ambizioso di ridefinizione dei ruoli e delle funzioni dei professionisti sanitari in una società in cui aumentano sempre di più le disuguaglianze riguardo alla salute e la conseguente vulnerabilità di interi gruppi sociali come il recente libro di Carlo Saitto e Lionello Cosentino mette in drammatica evidenza [28].
Ciononostante, rispetto ad appena qualche decina di anni fa molti più pazienti sopravvivono fino alla vecchiaia grazie ai progressi della terapia. Molti trattamenti sono divenuti più complessi, incluse tecniche chirurgiche radicalmente nuove o una diagnostica fondata su alta tecnologia. Tuttavia, in sanità pubblica le cose sono cambiate poco: tra queste la funzione del medico, le cui responsabilità e i cui compiti sono riconosciuti più sulla base di consuetudini e regole ormai obsolete che su prove di efficacia. I cambiamenti sono appropriati se aiutano a raggiungere gli obiettivi del sistema sanitario consentendogli di fornire le cure che meglio rispondono alle esigenze dei cittadini. Così, alcuni compiti tradizionalmente dei medici possono essere svolti oggi da altri professionisti sanitari, dagli stessi pazienti, dai loro caregiver, o addirittura da macchine. Quando questi cambiamenti sono stati valutati, come già detto, sono risultati spesso associati a esiti altrettanto buoni se non migliori di quelli ottenuti dai medici. Ovviamente, i risultati dipendono dal contesto e non si può dare per scontato che ciò che funziona in una situazione funzionerà anche in un’altra e, d’altra parte, cambiare è spesso difficile.
Il task shifting non è una panacea per tutte le sfide che la sanità pubblica deve affrontare. Ma può concorrere alla sostenibilità dei processi di cura, contribuendo a ridurre le disuguaglianze.
Il task shifting richiede non solo lo sviluppo di competenze tecniche, ma anche radicali modifiche dell’organizzazione, delle prassi cliniche e dell’identità di ruolo. Queste soluzioni sono impegnative perché, tra l’altro, devono dare risposte alla popolazione, alla politica, all’economia e incontreranno difficoltà ulteriori se anche le altre professioni sanitarie non si disporranno a evolvere allo stesso modo, ridefinendo anch’esse la loro funzione e il loro ruolo in un’ottica cooperativa.
Interventi educativi e organizzativi per costruire una cultura orientata al team potrebbero potenzialmente aumentare la probabilità di successo del task shifting, stimolando da un lato gli infermieri ad assumersi responsabilità per loro non tradizionali e, dall’altro, orientando i medici a svolgere al meglio le attività di loro reale pertinenza per realizzare potenziali guadagni di efficienza.
La necessaria condizione preliminare è però che i professionisti interessati siano convintamente partecipi dei processi di cambiamento nella prospettiva di una generale revisione del concetto di salute pubblica [29].
Il task shifting non è una panacea per tutte le sfide che la sanità pubblica deve affrontare, ma se basato su solide evidenze e inserito nel contesto di un processo di revisione critica del concetto di salute, può concorrere utilmente alla sostenibilità dei processi di cura, contribuendo a ridurre o a eliminare tutte quelle disuguaglianze “inutili, evitabili, e ingiuste” [30] che ancora persistono nei sistemi sanitari che si dichiarano universalistici.
Questo contributo è un estratto dell’articolo in corso di pubblicazione sulla rivista Recenti Progressi in Medicina (settembre, 2022).
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