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Competenze Articoli

Decisori versus esperti

Come sono stati formati i comitati scientifici? Quali competenze sono state considerate fondamentali e quali trascurate?

Alessandro Magini

Giornalista

By Luglio 2022Febbraio 13th, 2023Nessun commento
Fotografia di Lorenzo De Simone

Troppo spesso si tende a dimenticare la sostanziale differenza dei ruoli tra decisori ed esperti o, per meglio dire, si immagina che il decisore debba anche essere un esperto. Per quanto possa suonare populista e brutale, affermare che la politica non abbia mai, da sola, le competenze per affrontare una qualsiasi situazione è tanto vero quanto banale. Dietro ogni provvedimento annunciato in pompa magna da un politico durante una conferenza stampa o un’intervista, si cela sempre il lavoro di decine, a volte anche centinaia di tecnici che hanno agito silenziosamente, seguendo sì le indicazioni generali date dal decisore, ma lavorando su dati, temi e soluzioni così complessi che quest’ultimo non avrebbe potuto nemmeno comprendere. Considerato che la politica si occupa di ogni singolo aspetto della vita pubblica, sarebbe infatti impensabile pretendere che un decisore sia competente in materie tanto specifiche e diverse tra loro come l’economia e lo sport, il turismo e l’agricoltura, la cultura e le relazioni internazionali, la difesa e l’amministrazione della giustizia. Si può affermare però che ognuno dei due ruoli abbia bisogno dell’altro: così come il politico ha bisogno delle conoscenze dell’esperto, quest’ultimo ha bisogno di un decisore che lo interroghi quando opportuno, altrimenti le sue competenze non potrebbero essere messe al servizio della società, risultando inutili. In sostanza al politico è richiesta la sensibilità di comprendere i bisogni della collettività e fornire risposte adeguate, individuare le traiettorie e le aspirazioni delle comunità che guida. All’esperto è richiesto lo studio e la ricerca continua, poiché per essere davvero competenti su una materia è necessario studiare e aggiornarsi per tutta la vita. Non solo: se il primo deve misurarsi con il consenso, che è per sua natura variabile e fluttuante, il secondo, soprattutto quando si tratta di scienza, deve ricercare verità che siano stabili e durature (almeno finché queste non siano confutate).

Se questa relazione tra decisori politici e ed esperti è valida in tempi ordinari, la sinergia tra i due ruoli risulta ancora più necessaria in tempi straordinari come quelli che stiamo vivendo a causa della pandemia di covid-19. Ma se normalmente il lavoro dei tecnici è tenuto volontariamente in secondo piano e le luci della ribalta sono riservate solamente ai vari ministri o presidenti del consiglio, per fronteggiare il nuovo virus, che si è diffuso tanto velocemente e con effetti così devastanti, i governi di tutto il mondo hanno dovuto delegare platealmente alla scienza, non soltanto avvalendosi dei consigli di scienziati e di istituzioni già esistenti, ma nominando anche commissioni ad hoc e figure che li hanno sostituiti sia dal punto di vista mediatico che decisionale. In che modo hanno composto i vari comitati scientifici nazionali? Quali competenze hanno ricercato e quali trascurato? Quanto e come hanno saputo delegare? Pur muovendosi nel medesimo scenario – ovvero brancolando nel buio, davanti a un nemico sconosciuto e quindi spaventoso – i diversi Paesi hanno operato scelte che ne riflettono sia la cultura politica che il rapporto che hanno saputo costruire tra politica e scienza e tra decisori ed esperti.

Cosa è stato fatto in Italia?

Il 31 marzo 2022 il governo Draghi dichiarava l’uscita dallo stato di emergenza, in vigore dal 31 gennaio 2020. Le misure di sicurezza venivano allentate e veniva sciolto il Comitato tecnico scientifico (Cts). Primo paese occidentale ad essere travolto dalla pandemia, nel marzo 2020 l’Italia si era ritrovata a dover disporre misure per contenere il contagio in tutta fretta, senza poter contare su dati e notizie certe riguardo alla natura del virus e ai suoi meccanismi di diffusione, e il 5 febbraio 2020 il governo Conte annunciava l’istituzione, tramite decreto del Capo del Dipartimento della protezione civile, del Cts “con competenza di consulenza e supporto alle attività di coordinamento per il superamento dell’emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del coronavirus”, come riporta il sito del Ministero della salute. Nei suoi due anni di vita il Cts ha cambiato più volte componenti e prerogative: inizialmente formato da nove membri, è arrivato ad un massimo di 27 componenti salvo poi tornare a undici esperti nel momento della sua chiusura. Nella formazione del team si è scelto di nominare le più importanti istituzioni del sistema sanitario nazionale: hanno fatto parte del Cts il presidente del Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute, Franco Locatelli, il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, Giuseppe Ippolito. Fino all’aprile 2020 tra i venti membri del Cts non era presente nemmeno una donna, ma nel maggio successivo sono entrate a far parte sei esperte. Al momento del suo scioglimento, il Cts contava nove uomini e due donne, la professoressa Alessia Melegaro, direttrice del Covid crisis lab, Università Bocconi, e la dottoressa Cinzia Caporale, dirigente tecnologo presso il Cnr. Oltre all’odiosa e anacronistica disparità di genere, ha suscitato diverse critiche il ristretto numero di competenze rappresentate all’interno del team di esperti. Come ha notato il giornalista Sergio Pistoi su Nature Italy, tra gli esperti del Cts vi erano “figure di livello mondiale in pneumologia, malattie infettive, gerontologia ed epidemiologia”, ma il comitato era “a corto di figure in aree critiche di competenza come diagnostica molecolare, virologia molecolare e high-throughput screening” quando il tracciamento mediante test, sia dei sintomatici che degli asintomatici, era di cruciale importanza nel contenere il contagio. Le nomine d’ufficio, cioè quelle dei massimi dirigenti sanitari dello Stato, erano superiori a quelle basate sulle competenze scientifiche più indicate. Lo stesso professor Franco Locatelli, coordinatore del Cts al momento della sua dismissione, è specialista in pediatria ed ematologia.

Le nomine d’ufficio, cioè quelle dei massimi dirigenti sanitari dello Stato, erano superiori a quelle basate sulle competenze scientifiche più indicate.

Il confronto con gli altri Paesi

Se in Italia, tra dirigenti pubblici ed esperti, i membri del Cts erano tutti specializzati in medicina, osservando la composizione dei comitati scientifici degli altri paesi si nota come questi ultimi abbiano coinvolto anche competenze sociali ed umanistiche per affrontare la pandemia. Si può affermare che nel nostro Paese non è stata minimamente presa in considerazione l’idea di attingere a più discipline, eppure due anni di pandemia hanno reso evidente come sia necessario il contributo di competenze riconducibili a una vasta gamma di materie, in primo luogo per una comprensione più profonda della trasmissione delle malattie, ad esempio all’interno delle famiglie e delle comunità. La ricerca sociale e comportamentale può fornire informazioni sulle regole implicite ed esplicite della comunità e su quegli atteggiamenti e comportamenti individuali che influenzano la diffusione dell’infezione, suggerendo potenziali punti di intervento. L’emergere di malattie e la diffusione di epidemie, infatti, dipendono dal comportamento degli individui, dalla struttura sociale in cui sono inseriti e dall’ambiente politico e civile. Ai decisori e alle istituzioni sarebbe stato utile sapere che le emozioni, soprattutto quelle negative come la paura, possono essere funzionali nella prevenzione dei rischi di salute dal momento che attirano l’attenzione delle persone sui fattori di rischio e generano la motivazione a modificare il proprio comportamento per proteggersi.

L’emergere di malattie e la diffusione di epidemie dipendono dal comportamento degli individui, dalla struttura sociale in cui sono inseriti e dall’ambiente politico e civile.

In Francia questi aspetti sono stati considerati. Come il nostro Cts, il Conseil scientifique è stato creato ad hoc su nomina politica, ha subito modifiche nel numero di partecipanti tra fuoriusciti e nuovi ingressi e ha mantenuto un numero di membri limitato. Osservando la composizione del Conseil scientifique francese, però, si nota come accanto a esperti in medicina sono stati nominati anche un sociologo come il professor Daniel Benamouzig e un’antropologa come la professoressa Laëtitia Atlani-Duault.

Il Regno Unito non è ricorso alla creazione di un comitato scientifico appositamente creato per la covid-19, ma si è appoggiato allo Scientific advisory group for emergencies (Sage), organo indipendente incaricato di fornire consulenza al governo in casi eccezionali e che si distingue per l’elasticità e l’anonimato dei suoi partecipanti. Fondato nel 2009 per fronteggiare l’influenza suina, non ha un numero di componenti fisso, ma varia in base alle situazioni di emergenza che il Regno Unito si trova ad affrontare di volta in volta. Per evitare possibili pressioni da parte di aziende farmaceutiche, multinazionali o lobbisti, i nomi dei membri del Sage sono segreti. Nel caso di un evento eccezionale come la pandemia di covid-19, però, diversi giornali hanno reso pubblici alcuni dei nomi dei partecipanti. Stando alle rivelazioni di The Guardian, si nota come anche il Regno Unito non si sia appellato soltanto a esperti di medicina, ma abbia puntato sull’interdisciplinarietà coinvolgendo sociologi, matematici e psicologi.

Ancora diverso l’esempio tedesco. In Germania infatti il governo si è affidato all’Accademia Cesarea Leopoldina. Fondata nel 1652, deve il suo nome a Leopoldo I d’Asburgo ed è tra le più antiche e prestigiose accademie scientifiche al mondo. Composta attualmente da circa 1600 scienziati e studiosi di ogni materia provenienti da oltre 30 paesi al mondo, l’Accademia ha fornito diversi report e pareri al governo tedesco, venendo ascoltata in alcuni casi e ignorata in altri. Senza dover istituire un comitato per l’occasione, la Germania ha potuto contare sulle conoscenze di un gruppo di lavoro ampio, già consolidato e da sempre improntato alla multidisciplinarità.

In questi due anni “si è sviluppato un rapporto di dialogo e collaborazione tra scienza e politica mai esistito prima in forma così strutturata”. – Franco Locatelli

Creati ad hoc o meno, formati da 10 o 1600 persone, indipendenti o governativi, i vari comitati scientifici hanno dovuto far fronte a numerose critiche. Probabilmente, data l’eccezionalità della situazione a livello globale che ha imposto di agire nella massima fretta, ogni commissione avrebbe potuto essere composta seguendo criteri più efficienti e meritocratici. Il Sage è stato ritenuto da alcuni poco trasparente per via della segretezza dei suoi membri, mentre al Conseil scientifique è stato rimproverato di essere soggetto a potenziali conflitti di interesse perché alcuni dei suoi componenti avevano lavorato per aziende farmaceutiche. Il Cts italiano, oltre alla mancanza di multidisciplinarità, è stato invece accusato di scarsa indipendenza dal governo. Molti dei suoi rappresentati ricoprivano infatti ruoli la cui nomina spetta al Consiglio dei ministri, come nel caso del presidente dell’Istituto superiore di sanità.

Eppure, uno dei possibili effetti positivi di covid-19, potrebbe essere proprio quello di migliorare il rapporto tra decisori ed esperti. La pandemia ha di fatto rimesso al centro del dibattito pubblico la scienza, troppo spesso trascurata, ricordando tanto ai cittadini quanto ai politici l’importanza della competenza intesa come studio e ricerca scientifica. Intervistato dal Corriere della Sera nel giorno della dismissione del Cts, Franco Locatelli ha dichiarato che in questi due anni “si è sviluppato un rapporto di dialogo e collaborazione tra scienza e politica mai esistito prima in forma così strutturata”, augurandosi che questo possa essere un lascito importante e prezioso per il Paese. Ed è un augurio ampiamente condivisibile.