Come fare in modo che spostare la cura a domicilio non si traduca in un maggior onere per i cittadini, ma sia veramente un elemento per coinvolgerli nella promozione e prevenzione della salute?
Deve cambiare l’approccio complessivo, sia per quanto riguarda il sistema sia i nostri operatori. Una prima cura a domicilio significa evitare al paziente cronico – chi soffre di diabete, scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa – di fare il “giro delle sette chiese”, ovvero di andare lui alla ricerca di ciò che gli serve per essere stabilizzato nella diagnosi e, pertanto, anche nelle cure successive. Su questo noi abbiamo un progetto ambizioso: passare dai circa 25.000 utenti over 65 attualmente presi in carico a domicilio a 126.000, per cui un balzo in avanti importante. È chiaro che per raggiungere questo traguardo ci deve essere un ecosistema diverso che spinge molto sulla digitalizzazione da un lato e, dall’altro, su un’integrazione dei professionisti, siano essi infermieri o medici. Su quest’ultimo versante, a mio avviso, servirebbe fare anche un lungo ragionamento sulla parte formativa: noi avremmo bisogno anche di medici a domicilio, di medici del territorio, che non sono solo rappresentati dalla figura che attualmente conosciamo della medicina di base, ma anche di una nuova specializzazione in grado di saper utilizzare appieno le nuove tecnologie, di saper fare a domicilio delle diagnosi e degli esami di primo livello, come per esempio ecografie, da sottoporre poi ai collaboratori ospedalieri. Deve essere un sistema nuovo, questo noi lo definiamo “vino nuovo in otri nuovi”. Questa è un po’ la nostra ambizione e speriamo di riuscirci.
Serve un ecosistema diverso, che spinge molto sulla digitalizzazione da un lato e, dall’altro, su un’integrazione dei professionisti, siano essi infermieri o medici.
Come superare i problemi della riservatezza dei dati per far sì che la condivisione digitale delle informazioni sia percepita dai cittadini come un vantaggio e non come una violazione della privacy?
Questo è un bel problema, oserei dire un grande problema per noi. Per esempio, anche di recente abbiamo avuto grossi problemi con l’autorità garante della privacy nel percorso di stratificazione del rischio della popolazione che è necessario e fondamentale per avere un quadro dei fabbisogni e di come impostare il lavoro. Ritengo che la strada migliore sia quella di mettere a disposizione dei professionisti l’accesso al dato la cui proprietà resta dell’utente, ma la cui condivisione è un elemento assolutamente importante per una presa in carico precoce, soprattutto se si parla di cronicità. Se vogliamo veramente mettere a terra il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e pensare a una modifica anche dei livelli assistenziali necessariamente si deve passare a una rivisitazione della normativa sulla privacy. Noi già lo stiamo vedendo nel contrasto alla pandemia: stiamo avendo grandi difficoltà perché non possiamo inviare a un utente un messaggio dicendo “sappiamo che non hai fatto la dose di richiamo, vieni a farla il giorno x all’ora x”. Questo non è fattibile, ed è un limite molto importante. Per cui ovviamente ci deve essere un giusto equilibrio, e in tale equilibrio la tutela della salute è prioritaria.
In particolare come far sì che il sistema sanitario regionale possa stratificare la popolazione sulla base della prevalenza delle malattie senza che questo sia percepito come un’infrazione della privacy?
Noi abbiamo un ottimo livello di stratificazione, penso forse uno dei migliori a livello nazionale ed europeo. Degli oltre 5,8 milioni di cittadini del Lazio noi di fatto conosciamo le condizioni di salute, l’uso dei farmaci da un punto di vista quantitativo, il consumo degli stessi, il livello di prescrizione, tutto in maniera molto raffinata, a livello distrettuale, comunale, del singolo cittadino, e interloquendo anche con i medici di medicina generale. Per cui veramente possiamo fornire ai professionisti una miniera di informazioni utili ad attivare quella medicina di iniziativa che è il presupposto fondamentale. Purtroppo oggi su questo c’è un ostacolo importante che è quello dell’autorità della privacy, ovvero di come interpretano questa stratificazione. È stata aperta una procedura nei confronti di otto Regioni italiane – il Lazio, la Lombardia, l’Emilia Romagna e altre – proprio sulla modalità di utilizzo della stratificazione. Delle due l’una: o dobbiamo procedere secondo le indicazioni del Pnrr nel rafforzare la rete territoriale di presa in carico della cronicità, e allora la stratificazione è fondamentale; oppure prevalgono altri legittimi interessi, ma allora questo aspetto il governo lo deve chiarire, perché altrimenti le Regioni si trovano in estrema difficoltà.
Non bisogna aspettare l’input dall’utente, ma fornire all’utente la possibilità di soddisfare un fabbisogno.
Ci sono ampie fasce della popolazione che hanno difficoltà ad accedere a Internet, per problemi sia geografici sia anagrafici. Come far sì che la digitalizzazione non aumenti le disuguaglianze nell’accesso alle cure?
Questo deve avvenire intanto attraverso degli elementi proattivi. Non bisogna aspettare l’input dall’utente, ma fornire all’utente attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione la possibilità di soddisfare un fabbisogno, mettendo in rete tutte le modalità che oggi la tecnologia ci consente. Con il Pnrr vogliamo finalmente dar vita a questo numero unico – il 116 117 – che deve essere un po’ l’architrave, la porta di accesso di tutta l’integrazione, di tutta l’assistenza domiciliare. Le unità mobili ci possono essere d’aiuto: oggi le cosiddette Usca – unità speciali di continuità assistenziale – sono dedicate a covid-19 ma proiettarle verso l’assistenza a domicilio potrebbe essere una soluzione. Per cui, l’utente può anche avere un basso livello di alfabetizzazione digitale, ma attraverso il numero unico e le unità mobili può vedere soddisfatto il suo fabbisogno e il suo desiderio di presa in carico. Per cui dobbiamo avere un ampio ventaglio, e su questo la pandemia ci sta dando un grande insegnamento, soprattutto nell’integrazione della multidisciplinarità e del fattore tempo. Noi dobbiamo mettere a terra velocemente queste innovazioni, che sono fondamentali.
A cura di Rebecca De Fiore