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Regole Interviste

Il gioco delle regole del calcio

Dal ruolo della figura arbitrale alla nascita ed evoluzione delle regole nel mondo del calcio

Intervista a

Paolo Casarin

Ex arbitro

A cura di

Pierpaolo Casarin

Filosofo, Università di Milano

By Dicembre 2021Febbraio 13th, 2023Nessun commento
Fotografia di Lorenzo De Simone

Difficile parlare di calcio senza parlare di regole. Un fenomeno in movimento che suscita discussioni e polemiche quasi capace di creare un altro gioco ancora. Quasi un gioco sul gioco. Prima di iniziare a parlare di regole del calcio verrebbe da chiederti che cosa pensi sia una regola?

Paolo Casarin
Nato a Mestre nel maggio del 1940, affascinato dal mondo del calcio ha iniziato presto l’esperienza arbitrale. Una lunga avventura durata oltre trenta campionati, dalle sfide tra le squadre delle isole della laguna veneta ai Mondiali del 1982 e agli Europei del 1988. In seguito esperienze internazionali nelle commissioni Uefa e Fifa. Negli ultimi anni opinionista in diverse trasmissioni televisive e collaboratore del Corriere della Sera.

Solitamente la parola “regola” suscita reazioni contrastanti. C’è chi le teme e le vive come una limitazione di sé, un impedimento all’espressione, alla buona riuscita di un’azione e c’è chi, al contrario, le vede come delle necessarie garanzie per permettere ad ognuno di avere spazi certi di manovra. Faccio parte di questa seconda schiera. Inoltre la regola non è qualcosa di fisso, di immutabile, ma cambia con il variare delle circostanze. In particolare nel gioco del calcio sembra essere un fenomeno in evoluzione, in una condizione di permanente trasformazione. Va detto che non tutte le regole sembrano all’altezza della loro potenzialità e della loro funzione in particolare quelle che complicano in luogo di semplificare. C’è poi la questione di chi le crea, le determina o le propone che non sembra essere un particolare irrilevante, e forse, per essere ancor più chiari, la questione relativa alle modalità del loro apparire. Si tratta di capire se sorgano per soddisfare una necessità o se nascano per determinare nuove necessità. C’è differenza, la stessa che esiste fra bisogni reali e bisogni indotti. In questo caso mi sentirei di avallare la prima delle due possibilità. Rimane aperta la questione dell’essere della regola, della sua essenza. Direi che una regola è un tentativo umano condiviso di gettare una luce, di offrire garanzie di praticabilità intorno a un complesso sistema di relazioni finalizzato a garantire nel migliore modo possibile lo sviluppo di tale intreccio relazionale. Se le regole si riferiscono a un gioco, o al gioco del calcio in particolare, ho la sensazione che le dinamiche non siano di minor serietà e intensità di quelle che si verificano in altri ambiti della vita.

 

La regola non è qualcosa di fisso, di immutabile, ma cambia con il variare delle circostanze. In particolare nel gioco del calcio sembra essere un fenomeno in evoluzione, in una condizione di permanente trasformazione.

Hai già iniziato ad alludere alle regole del gioco del calcio. Quando nascono e per quali motivi? Sarebbe interessante sapere anche la figura dell’arbitro come si rapporta al nascere e al trasformarsi delle regole.

 

Pierpaolo Casarin
Nato a Milano nel 1967, professore a contratto presso il Dipartimento di filolosofia dell’Università degli studi di Milano, si dedica allo studio e alla realizzazione di progetti di philosophy for children-community e di pratica filosofica in svariati contesti. Appassionato di calcio, cerca fra i rimbalzi del pallone possibilità di pensiero.

Il gioco del calcio, pensato e realizzato per la prima volta da un gruppo di studenti di un college inglese intorno al 1850, non è da intendersi soltanto come una sfida tra due squadre di giocatori impegnati a conquistare il pallone per poi spedirlo nella porta avversaria. C’è altro in gioco. Si tratta soprattutto di un’esperienza umana e sportiva straordinaria in grado di coinvolgere profondamente persone di ogni livello culturale e ceto. Il gioco del calcio è divenuto ben presto un fatto sociale rilevante e coinvolgente, è sufficiente osservare le fotografie della partecipazione intensa e gioiosa del pubblico alle prime partite di calcio per capire l’atmosfera dei soggetti convolti. Un coinvolgimento che prescindeva persino dalla consapevolezza delle regole in gioco. Infatti quasi nessuno, agli inizi, le conosceva bene. All’inizio furono stabilite le misure del terreno di gioco, delle porte e la dimensione del pallone di cuoio. Punti fissi e immutabili anche oggi. Naturalmente il numero dei calciatori fu presto deciso come anche l’equipaggiamento che tendeva a proteggere piedi e gambe spesso obiettivi di colpi violenti non sempre del tutto involontari. Le scarpe apparivano pesanti e quindi capaci di proteggere, ma anche di offendere. Così si spiega la nascita, nel 1874, di una sorta di parastinchi che doveva limitare i danni alle gambe. Lo spirito dei giovani calciatori inglesi apparve, sul campo, subito leale, coraggioso, ma anche deciso. Nelle prime partite gli arbitri erano due e si occupavano prevalentemente di verificare l’uscita o meno del pallone dal terreno di gioco. L’individuazione dei falli spettava ai capitani aiutati dal fair play molto diffuso e reciproco. La gestione arbitrale del gioco e dei falli da parte dei calciatori finì presto: le partite divennero sempre più importanti e più marcata la rivalità tra le squadre. L’arbitro “conquistò” la gestione della sfida per valutare meglio i falli, mentre ai bordi del terreno si sistemarono i guardalinee per vigilare l’uscita del pallone dal campo e valutare il fuorigioco.

Le partite divennero sempre più importanti e più marcata la rivalità tra le squadre. L’arbitro “conquistò” la gestione della sfida per valutare meglio i falli.

 Il fatto che tu dica che l’arbitro “conquistò” la gestione della sfida sembra indicare che si tratti di una figura anch’essa in divenire almeno quanto le regole. Sarebbe interessante sentire il tuo pensiero in merito al ruolo della figura arbitrale spesso oscillante fra autoritarismo e autorevolezza.

Prima di parlare della controversa figura arbitrale – figura che mi appartiene fin dall’adolescenza – ricordo molto bene le prime gare arbitrate nel Veneto degli anni Cinquanta fra nebbie, campi dispersi nella campagna del polesine o in qualche insediamento agguerrito di pescatori lagunari – alcune premesse. All’inizio del Novecento il calcio si era sviluppato oltre i confini inglesi. La Francia contribuì a proporre incontri internazionali. Si pensò, in quel tempo, di arricchire i contenuti del gioco, avendo giudicato scontato il fair play tra quella generazione di calciatori, lanciando una specie di carta costituzionale che proclamava “lo spirito del gioco”. Un messaggio di accoglienza per tutti, senza limiti. Tre erano i punti qualificanti: pari opportunità di espressione delle qualità tecniche a prescindere dalla fisicità dei giocatori; garanzia della sicurezza fisica dei giocatori; sviluppo e potenziamento del rispetto reciproco. Oggi si direbbe che la Fifa, nata in quei tempi, fece una accurata operazione di mercato. Aprì le porte di ogni campo adatto a ospitare una partita, organizzò le squadre e le competizioni e, parallelamente, facilitò la definizione di una figura arbitrale attingendo tra coloro che si sentivano attratti dal nuovo gioco, il più delle volte, senza averlo praticato. Ecco che entriamo nel merito della figura arbitrale: uomini attratti dal potere e da una posizione di comando sul tappetto verde, più figure notarili che atleti. L’attrazione per il potere da parte dell’arbitro è purtroppo un fenomeno quasi mai del tutto estinto. Ricordo che quando arbitravo cercavo il dialogo con i calciatori e spesso accettavo il tono confidenziale e il tu dagli atleti; molti colleghi arbitri non apprezzavano questo stile prediligendo approcci marziali e stili marcatamente autoritari. Fortunatamente questa inclinazione sembra mutata nel corso degli ultimi vent’anni, ma forse più per motivi di opportunità d’immagine che per profonde rivisitazioni del proprio ruolo. Un eccesso di autoritarismo probabilmente non risulterebbe troppo televisivo e pertanto meglio lasciar perdere antichi vizi. In ogni caso a desiderare il dialogo non ero l’unico sia in ambito nazionale sia in quello internazionale.

 

Eravamo arrivati a descrivere l’aumento dell’intensità agonistica nel calcio dei primi decenni dello scorso secolo. Sapresti indicare alcuni momenti in cui il variare delle regole ha determinato il cambiare del gioco o forse (e qui si tratterebbe di discutere questo aspetto di quale sia la causa e quale l’effetto) il cambiare del gioco ha reso necessarie nuove regole?

L’attrazione per il potere da parte dell’arbitro è purtroppo un fenomeno quasi mai del tutto estinto.

Con lo sviluppo dell’interesse intorno alle partite di calcio anche l’importanza dell’arbitro crebbe rapidamente: le partite avevano bisogno di regolarità tecnica e di gol per incrementare spettacolo e credibilità del movimento. I falli dei difensori nei pressi delle porte limitavano di fatto la realizzazione dei gol, tenuto anche conto dall’“assembramento” dei giocatori attivi davanti al portiere. Si pensò allora ad un’area semicircolare con una tracciatura a 11 metri dal centro della porta. La squadra che aveva subito un fallo all’interno di quello spazio beneficiava di un calcio di rigore battuto dal bordo dell’area. Un risarcimento adeguato a causa di un gol impedito dal gioco scorretto dell’avversario. Una decisione fondamentale per il gioco assieme al “dosaggio” del fuorigioco che appariva fin dall’inizio un sistema tecnico di riequilibrio tra capacità difensiva e d’attacco. Un attaccante poteva segnare se in grado di superare prima tre difensori (in seguito due), portiere compreso, altrimenti veniva giudicato fuori dal gioco. In Inghilterra alcuni allenatori capaci di leggere l’efficacia delle variazioni delle regole seppero schierare le loro squadre in modo nuovo sul campo, ottenendo successi imprevisti e sorprendenti. Pertanto anche l’allenatore diventò elemento decisivo per ottenere risultati positivi. Il gioco con questa flessibilità tattica, nella piena osservanza delle regole, dilagò in Inghilterra e nel mondo. Il 1925 rimase una data fondamentale per la crescita e lo sviluppo del calcio.

Con lo sviluppo dell’interesse intorno alle partite di calcio anche l’importanza dell’arbitro crebbe rapidamente: le partite avevano bisogno di regolarità tecnica e di gol per incrementare spettacolo e credibilità del movimento.

Dopo questi inizi il calcio vide la nascita delle grandi competizioni internazionali che segnarono ulteriori passi avanti del fenomeno calcistico. In particolare dopo la seconda guerra mondiale il calcio vide un ulteriore aumento della sua popolarità. Nel 1966 l’Inghilterra vinse un mondiale con un gol fantasma, nel 1986 il più grande giocatore di calcio mai esistito, Diego Armando Maradona, fece un gol all’Inghilterra con la mano. Due episodi che oggi non potrebbero verificarsi a causa di evidenti ulteriori trasformazioni in ambito regolamentare. Cosa ne pensi in proposito? E soprattutto pensi che, grazie alla tecnologia, si riesca a raggiungere un livello di chiarezza assoluta al servizio dell’arbitro?  

Sì, la vittoria dell’Inghilterra in finale contro la Germania nel 1966 con il gol concesso ma non valido, rappresentò un momento storico importante. Si iniziò lentamente ma inesorabilmente a cercare ulteriori elementi per vedere di più e verificare sino in fondo. L’occhio televisivo iniziò a diventare sempre più insistente e la presunta indiscutibilità arbitrale nel tempo andò in frantumi. La rete di Diego con la mano non fece che accelerare ulteriormente il processo. In questi ultimi trent’anni, si è consumata, all’interno del mondo del calcio professionistico, la più vasta e profonda rivoluzione. Termine appropriato perché ogni settore ha subito un cambiamento significativo deciso dalla Fifa allo scopo di promuovere uno spettacolo televisivo privo di errori arbitrali clamorosi. La squadra arbitrale è stata ringiovanita e preparata fisicamente e, di fatto, posta a disposizione totale dell’organizzazione. Di conseguenza professionisti a tutti gli effetti; l’arbitro dilettante, quindi, solo un ricordo romantico. Contemporaneamente sono stati formati i guardalinee per affrontare meglio le difficoltà del fuorigioco un tempo, senza televisione, accettate anche con qualche imprecisione e ora valutate in centimetri. Sul piano delle regole è stata penalizzata la difesa per favorire l’aumento dei gol e portarli ad almeno tre gol per partita, e cioè il 50 per cento in più di quanto visto ai mondiali di Italia ’90. Ne hanno fatto le spese i portieri a cui sono stati impediti, pena l’espulsione, gli interventi fallosi sull’attaccante lanciato verso la porta con chiara occasione per segnare. Stessa sorte anche agli altri difensori. Ai portieri è stato inoltre impedito, da allora, di raccogliere il pallone con le mani su retropassaggio di un compagno. Quest’ultimo caso per recuperare qualche minuto di tempo di gioco perso dal portiere che poteva trattenere a lungo il pallone tra le mani.

Un bel giorno si parlò di tecnologia, dopo il 2000, e da allora il calcio cominciò a diventare un’altra cosa. L’arbitro capì che l’epoca dell’arbitro padrone assoluto del campo e della applicazione delle regole stava per finire.

Negli anni Novanta anche il tempo di gioco effettivo è stato valutato con attenzione visto che si superavano di poco i 50 minuti. Un incremento del gioco effettivo non arrivò con l’adozione del tempo effettivo cronometrato (due tempi da 30 minuti per esempio) che la Fifa non prese mai in considerazione, ma con la segnalazione, alla fine di ogni tempo, del recupero per le sostituzioni e per le cure mediche sul campo. In questo modo pubblico, giocatori e allenatori poterono conoscere quanto rimaneva da giocare. Il recupero medio è stato di 5-6 minuti per gara che permetteva di incrementare del 10 per cento circa il tempo effettivo di ogni gara. Fu adottato dapprima in Italia e poi approvato dalla Fifa. Per stimolare le squadre a incrementare lo spettacolo di quello che da gioco sembrava passato a prodotto, la Fifa decise di premiare la vittoria con tre punti invece che con i canonici due. Pur preparati professionalmente gli arbitri non riuscirono a eliminare certi errori. Ci furono tanti tentativi: la partita con due arbitri, uno per ogni metà campo, l’aggiunta di due assistenti di fondo campo per controllare meglio il gol e i falli in area di rigore. La televisione riusciva sempre a mostrare errori arbitrali, fuorigioco compreso.

Il calcio ha compiuto 170 anni di vita felice; facciamo giocare tutti bambini del mondo con un pallone, le regole necessarie sono già nel loro dna.

Un bel giorno si parlò di tecnologia, dopo il 2000, e da allora il calcio cominciò a diventare un’altra cosa. L’arbitro capì che l’epoca dell’arbitro padrone assoluto del campo e della applicazione delle regole stava per finire. Dopo il 2010, si pensò di affiancare all’arbitro sul campo un altro arbitro con il monitor a disposizione. Un arbitro di sostegno, un secondo arbitro cioè, un guardalinee per valutare il fuorigioco, dei tecnici per poter rivedere le fasi incerte. Tante persone. In silenzio l’arbitro ha accettato: il var (video assistant referee, ndr) fu adottato ai Mondiale 2018. Si cerca ancora oggi la perfezione: ma in due tanti errori sono stati corretti. Nel 2019 gli ultimi interventi profondi sulle regole. In area di rigore, terreno fertile di tanti gol, i contatti di mano involontari dei difensori possono essere puniti con il rigore. Il profilo fisico del giocatore non deve ampliarsi, anche nei casi in cui la dinamica del gioco lo determina naturalmente. Nascono i giocatori pinguini, con entrambe le braccia forzatamente dietro la schiena, e i rigori crescono fino al 50 per cento rispetto al passato. Dal rigore “massima punizione” si passa ai “rigorini”. Molte volte regali per gli attaccanti. Iniziativa ingiusta e immotivata che, con il tempo, forse si cancellerà. Altrimenti si potrebbe pensare che la continua modifica delle regole sia diventata un gioco all’interno del gioco. Un divertimento anche senza pallone. Il calcio ha compiuto 170 anni di vita felice; facciamo giocare tutti bambini del mondo con un pallone, le regole necessarie sono già nel loro dna.