La pandemia è un’emergenza sanitaria mondiale che richiede una serie di misure restrittive e regole per contenere la diffusione del virus. Ma come prendere decisioni in una situazione di incertezza? Come conciliare le decisioni politiche con le evidenze scientifiche? Come comunicarle ai cittadini? Ne abbiamo parlato con Giacomo Galletti, ricercatore esperto in scienze comportamentali presso l’Agenzia regionale di sanità Toscana, e Enrico Girardi, direttore scientifico dell’Istituto nazionale malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”.
Durante la pandemia di covid-19 ci si è trovati in una condizione di incertezza legata al fatto che le evidenze disponibili erano e sono ancora oggi limitate. Una revisione sistematica pubblicata nei giorni scorsi sul British Medical Journal [1] ha confermato la scarsità di prove robuste sugli interventi di sanità pubblica per contrastare la pandemia. In questo scenario cosa si deve tenere in considerazione al momento di prendere decisioni e definire delle regole?
Enrico Girardi. Allo scoppio dell’emergenza la prima operazione che si è dovuta fare è stata capire in che misura quanto era noto, quanto era stato programmato pensando al controllo di eventi pandemici fosse applicabile a questa pandemia. Devo dire che una parte degli interventi si è rivelata efficace: pensiamo all’uso delle mascherine o al distanziamento fisico. In quel momento l’urgenza di prendere decisioni non poteva attendere una verifica formale del fatto che queste misure fossero efficaci, quindi si è dovuti procedere partendo dalla migliore evidenza del momento.
Giacomo Galletti. Di questa revisione sistematica mi ha colpito il fatto che i ricercatori abbiano esaminato una lista iniziale di 36.729 studi e ne abbiano esclusi 36.079 perché “irrilevanti”! Insomma, alla fine del processo di selezione gli autori si concentrano su 72 studi, metà dei quali valuta misure singole di contrasto alla covid-19, e l’altra metà prende in esame pacchetti di interventi. Da scienziato comportamentale sono stato subito attratto dall’ultima colonna dei tabelloni che sintetizzano le caratteristiche degli studi esaminati, quella dove c’è scritto “risk of bias”. Quanti sono alla fine gli studi valutati a rischio di bias basso? Cinque! Quindi da circa 37.000 studi sull’efficacia degli interventi possiamo riferirci con una certa fiducia sulla “robustezza” dei risultati solo a cinque di essi. Il fatto è che, malgrado l’ampia mole dei lavori di ricerca, l’applicazione di rigidi criteri che possano assicurare la robustezza del metodo scientifico evidenzia la complessità di questa operazione, spesso lunga e laboriosa, soprattutto quando ci si muove in un contesto complesso e incerto come quello di un’emergenza pandemica dove la tempestività della condivisione degli esiti di un’indagine è fondamentale.
Che cosa tenere quindi presente al momento di definire le regole? Gli autori dell’articolo auspicano sforzi da parte della sanità pubblica nel progettare interventi dopo aver considerato sia gli aspetti specifici della salute della comunità sia le esigenze socioculturali delle popolazioni di riferimento. Sono necessarie ricerche più approfondite e strutturate per comprendere meglio l’efficacia delle misure adottate nel fronteggiare la covid-19, in particolar modo in relazione alla vaccinazione. Personalmente però partirei dall’assunto che i problemi sono di complessità enorme, e il denominatore comune di ogni singolo aspetto della pandemia è l’incertezza. Ecco, la consapevolezza dell’incertezza può essere un buon punto di partenza nell’aiutarci a contestualizzare le decisioni della politica nella definizione delle regole. D’altro canto, sempre partendo dalla consapevolezza dell’incertezza gli stessi scienziati si potrebbero interrogare più a fondo su come adottare e proporre metodi partecipati in grado di generare conoscenza utile, seppur con i propri limiti, a coloro che comunque le decisioni le devono prendere per forza di cose.
Secondo lei un maggiore investimento nella ricerca, che porterebbe ad avere evidenze migliori, incoraggerebbe un processo decisionale più informato?
Giacomo Galletti. Se riteniamo che il metodo scientifico abbia oggi ancora un valore, non abbiamo alternative. Ci servono evidenze di ogni tipo: epidemiologico, economico, sociale, ma soprattutto evidenze sperimentali. Riguardo all’investimento, pensiamo a quanto Galileo Galilei abbia investito in termini di tempo e risorse sulla costruzione del telescopio, senza il quale non avrebbe avuto modo di confermare le proprie ipotesi scientifiche. Non possiamo comprendere la complessità dell’universo se non ci siamo dotati delle lenti adatte per scrutarlo a fondo. Ma le lenti bisogna pur costruirle, e ci vogliono tempo, risorse e multidisciplinarietà.
Enrico Girardi. Sul produrre evidenze ci sono diversi problemi non riconducibili all’aspetto dei finanziamenti. Intanto c’è un problema teorico di come si fa ricerca negli interventi di popolazione di sanità pubblica, in particolare nel corso di eventi epidemici. Negli ultimi vent’anni la ricerca metodologica si è molto affinata sulla valutazione di interventi terapeutici, sia nella produzione primaria di evidenze sia nelle analisi secondaria delle evidenze prodotte, ma non possiamo dire la stessa cosa per gli interventi di sanità pubblica. Ci sono molti ambiti di intervento in cui la realizzazione di studi controllati è molto difficile o per la natura stessa degli interventi o per la rapidità con cui sono necessarie queste valutazioni. Quindi un primo ambito da sviluppare è quello di come produrre e valutare le evidenze in questi contesti; un secondo ambito è quello di massimizzare la possibilità di mettere insieme evidenze prodotte in diversi contesti geografici e per questo servirebbe una maggior pianificazione condivisa delle attività di ricerca. Ovviamente questo significa investire, ma dobbiamo farlo soprattutto in “tempi di pace” perché la struttura di valutazione e di produzione delle evidenze dovrebbe essere organizzata e definita al di fuori dei momenti emergenziali. Andrebbe anche sottolineato che nella valutazione degli interventi di sanità pubblica il contesto è un elemento rilevante, ancor più che negli interventi terapeutici e diagnostici. L’idea che le stesse misure si possano applicare senza adattamenti in contesti che da un punto di vista sociale, culturale e politico sono molto diversi è problematica.
L’impatto economico e sociale e l’accettabilità sono dei criteri fondamentali per stabilire le regole. – Enrico Girardi
Quali fattori entrano in gioco, oltre alle migliori evidenze disponibili, nella definizione delle regole?
Enrico Girardi. In un caso come questo entrano in gioco una serie di fattori di applicabilità pratica di alcuni interventi. Noi possiamo considerare alcuni interventi efficaci perché hanno una potenzialità di ridurre l’incidenza o la gravità di malattia, ma gli interventi di questo genere non possiamo considerarli astrattamente. L’impatto economico e sociale e l’accettabilità sono dei criteri fondamentali per stabilire le regole. Quindi non si può delegare la decisione finale al tecnico di sanità pubblica o all’epidemiologo, perché la valutazione è un processo complesso che non può non vedere la partecipazione di tutti i portatori di interesse, ovvero delle comunità nelle diverse componenti.
Giacomo Galletti. Mi piacerebbe citare un aneddoto, dato che gli esperti di comunicazione dicono che funziona… Nella primavera del 2005 il compianto scrittore americano David Foster Wallace tiene un discorso al Kenyon college, in Ohio. Il discorso inizia con la storiella di due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro in un laghetto e si trovano a incrociare un pesce più anziano; questo fa loro un cenno di saluto e poi dice: “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci rispondono al saluto e continuano a nuotare in direzione opposta. Dopo un po’ uno dei due si gira verso l’altro, lo guarda con l’aria smarrita e gli chiede: “Scusa, ma cosa diavolo è l’acqua?”. Ecco: cos’è l’acqua? Qual è il contesto in cui definire le regole? Da scienziato comportamentale, la mia risposta è parziale, ma ovvia: i comportamenti.
Quando nel 2019 abbiamo iniziato all’Agenzia regionale di sanità della Toscana a organizzare annualmente il Nudge Day, ovvero le giornate sulle scienze comportamentali, abbiamo adottato questo motto: “Non c’è progresso senza miglioramento, non c’è miglioramento senza cambiamento, non c’è cambiamento senza l’adozione di nuovi comportamenti…”. Il punto è un po’ questo: le regole sono efficaci nella misura in cui riescono ad allineare i comportamenti degli individui a quelli socialmente desiderati. Eppure non basta imporre sanzioni o proporre incentivi. Due esperte di scienze comportamentali che lavorano in importanti istituzioni europee, Chiara Varazzani dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e Marianna Baggio del Joint research center della Commissione europea, hanno sottolineato come un approccio orientato a comprendere quali siano gli elementi che condizionano l’adozione o meno di certi comportamenti è fondamentale per comprendere come proporre una politica istituzionale. Dunque, è vero che i fattori che entrano in gioco sono molteplici, ma alla fine il cambiamento si realizza attraverso i (nuovi) comportamenti. E, per completare il motto citato, non c’è l’adozione di nuovi comportamenti se non si mettono le persone nella condizione di farlo nel modo più agevole possibile.
Sulla base delle stesse evidenze sono stati definiti regolamenti diversi da un Paese all’altro e anche all’interno dello stesso Paese. Come conciliare quanto viene indicato dalle evidenze e dall’epidemiologia – anche sulla base delle conoscenze acquisite nelle passate epidemie – con le esigenze sociali, economiche e politiche del Paese e con le aspettative dei cittadini?
Giacomo Galletti. Roberta Villa, che voi di Forward conoscete bene, ha scritto recentemente che “confrontare le situazioni epidemiologiche tra diversi Paesi per trarne conclusioni su cosa funziona e cosa no, sull’approccio migliore da seguire copiando gli altri, è un approccio che inevitabilmente porterà fuori strada”. Io non so davvero come possa avvenire questa conciliazione. Il mio demone economista – che di tanto in tanto si risveglia quando si tratta di semplificare all’osso problemi complessissimi – si rivolgerebbe subito ai concetti utopistici dell’economia classica, e mi sussurrerebbe nell’orecchio che se in un mercato tutti gli agenti avessero libero e uguale accesso all’informazione e allo scambio, questo alla fine si regolerebbe da sé determinando quantità e prezzi.
Riportando il concetto dall’utopia alla contingenza, direi che una delle possibili chiavi per facilitare una progressiva conciliazione di regole e azioni sarebbe un’informazione e una comunicazione di qualità, diffusa e tempestiva sulle evidenze, tali da orientare tanto le decisioni politiche quanto le aspettative e le sensibilità dei cittadini. Al contrario, ho l’impressione che la conciliazione tra Paesi, ma anche a livello locale, si realizzi a valle di singole iniziative “sperimentali”: si guarda come va la vaccinazione in Israele e poi si valuta se allinearsi o meno; si vede come funziona il green pass in Italia e nel caso altrove viene adottato. Il problema è che durante un’emergenza i costi pandemici del non-fare sono rilevanti.
Enrico Girardi. Conciliarli è un atto politico. Nel senso che nella sua accezione migliore la politica è proprio prendere decisioni tenendo in considerazione tutti questi aspetti. Ciò in parte dà conto del perché i diversi Paesi hanno fatto scelte più o meno aperturiste sulla base di un’idea di come la società avrebbe risposto. Senza il coinvolgimento della comunità l’applicazione pratica di qualsiasi intervento di sanità pubblica sarebbe deficitaria, quindi non ci si può legare a modelli teorici astratti ma bisogna capire come applicarli a partire dalle conoscenze che si hanno.
Le regole sono efficaci nella misura in cui riescono ad allineare i comportamenti degli individui a quelli socialmente desiderati. – Giacomo Galletti
Come trovare un equilibrio tra decisioni politiche e decisioni basate sulle evidenze nel definire delle regole efficaci per contrastare la pandemia?
Enrico Girardi. Le decisioni politiche dovrebbero essere basate sulle evidenze, ma non sono un’applicazione meccanica di quanto prodotto dalla ricerca. Provo a spiegarmi meglio: noi tecnici possiamo fornire dei modelli che spieghino gli scenari possibili che si determinerebbero a partire dai singoli interventi. Questi modelli, però, non ci dicono cosa dobbiamo fare ma danno una serie di possibilità. Poi la scelta di quale sia il punto di equilibrio da perseguire è una scelta della società e della politica.
Credo, però, che un errore fatto dalla politica sia stato presentare alcune scelte come certe e inevitabili, mentre nel comunicare con la società bisogna pensare di parlare con persone in grado di capire, comunicando le incertezze e le possibili alternative legittimate da basi scientifiche. Qualcuno ha parlato di “dittatura dei tecnici”, ma non ci dovrebbe essere e non c’è. I tecnici devono fornire le basi per prendere le migliori decisioni sulle regole da applicare.
Giacomo Galletti. “Ho visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione”, e gruppi di professionisti multidisciplinari – con epidemiologi, statistici, economisti, scienziati, politici, esperti di comunicazione pubblica e scientifica, decisori politici – ragionare in modo processuale su come adottare politiche e regole efficaci per il contrasto alla pandemia partendo dall’analiso dei comportamenti, condividendo tecniche che ne favorissero l’adozione, definendo di conseguenza le regole e i criteri per comunicarle. Poi ho anche “visto i raggi B balenare nel buio, vicino alle porte di Tannhäuser”… Scherzi a parte, la questione è complicata. Costruire una task force e farla funzionare non è per niente una cosa semplice.
Però secondo me questo è un ragionamento che va affrontato, soprattutto quando si inizia a parlare di sindemia piuttosto che di pandemia, e a capire che le decisioni prese in un contesto hanno effetti più o meno diretti su tanti altri. E poi: come valutare gli effetti? Immaginiamo che possa esistere una relazione statisticamente significativa tra decimali di pil e ricoveri in terapia intensiva per covid-19 e che si stiano prendendo decisioni in merito alle caratteristiche di un nuovo lockdown: si capisce l’entità del problema? Si capisce il peso, ma anche il limite, del ragionamento sulle singole evidenze? E il peso, ma anche il limite, delle decisioni politiche basate sulle pressioni sociali e le aspettative dei cittadini? Partendo dal presupposto che il ruolo degli scienziati, e degli esperti in generale, dovrebbe essere quello di fornire le evidenze e quello dei politici di prendere le decisioni, meglio se “evidence based”, capire attraverso quali strumenti favorire la relazione tra i due contesti non è per niente facile. Però una cosa mi sento di affermarla: in prospettiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per cui stanno tornando le cabine di regia, sarebbe interessare capire nel dettaglio cosa ha funzionato e cosa no nelle task force sulla covid-19, quale peso abbiano avuto i determinanti politici e quelli clinico epidemiologici nelle discussioni sulla proposta di regole, e, ultima ma non ultima, l’efficacia stessa delle regole prodotte in questi contesti. Poi si potrà parlare di equilibrio.
Una delle possibili chiavi per facilitare una progressiva conciliazione di regole e azioni è fare un’informazione di qualità. – Giacomo Galletti
Introdurre nuove misure più o meno restrittive è una scelta che andrebbe presa preventivamente quando la curva epidemica non è già in salita, eppure si aspetta quando la curva sta già salendo. In ritardo per scienziati ed epidemiologi, ma non per decisori e politici che devono fare i conti anche con altre priorità. Qual è la tempistica migliore per definire delle regole e come trovare il giusto compromesso?
Giacomo Galletti. Penso che siano le persone con forti competenze statistiche ed epidemiologiche che possono aiutarci a rispondere, ragionando con gli esperti degli altri settori. Perché, per tornare alla sindemia e alla complessità, le tempistiche di un intervento in un contesto specifico necessariamente hanno effetti su altri contesti, e prima di prendere una decisione bisogna essere consapevoli del tracciato del domino. La tempistica più adatta andrebbe quindi concordata all’interno del solito gruppo multidisciplinare di cui si parlava precedentemente, condivisa con il decisore politico.
Enrico Girardi. Non esiste una tempistica migliore, esistono tempistiche possibili ognuna con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Non vedo una contraddizione tra scienziati e politici, ognuno fa il suo mestiere. Immaginiamo la chiusura delle scuole: in un periodo è stata fatta e poteva anche essere giustificata dalla situazione epidemiologica, ma ha effetti collaterali enormi ed è giusto prenderli in considerazione in relazione all’evolversi della situazione epidemiologica.
Senza il coinvolgimento della comunità l’applicazione pratica di qualsiasi intervento di sanità pubblica sarebbe deficitaria. – Enrico Girardi
Come comunicare correttamente ai cittadini le regole, definite in condizioni di emergenza, perché vengano accettate e applicate per il bene individuale e della collettività?
Enrico Girardi. Quando è possibile, la società va coinvolta già in una fase precedente, già nella formulazione delle regole. Un altro aspetto da tenere in considerazione è la trasparenza delle decisioni: è opportuno spiegare come e su che base alcune raccomandazioni sono formulate. Poi, ci vuole l’onestà nel dichiarare il grado di solidità scientifica delle regole, la società deve sapere che alcune di queste sono basate su conoscenze in continua evoluzione. Quindi, per concludere, trasparenza, onestà e coinvolgimento sono i fattori principali per comunicare in modo efficace le regole e favorire il fatto che vengano seguite.
Giacomo Galletti. Una cosa che noto è come la comunicazione faccia riferimento al concetto di rischio in modo tendenzialmente astratto. Il rischio, operativamente, si analizza in termini di probabilità dell’evento ed entità del danno, ma questi due concetti mi sembra che emergano poco. Comunicare la necessità di imporre una regola per contrastare un rischio specifico potrebbe essere più efficace specificando, a parità di danno, la probabilità attuale che questo si verifichi e quale sarebbe una volta che si segue la regola. E per contro, in caso di “danni collaterali”, l’entità di questi e la relativa probabilità. Gli esperti e le esperte di comunicazione mi diranno “guarda che a livello di comunicazione questa cosa della comparazione di rischi di cose diverse non serve a molto”, ma penso comunque che questo atteggiamento nel lungo periodo possa avere qualche effetto benefico nell’educare a ragionare su come valutare i rischi.
Per quanto riguarda la comunicazione, mi limito a dire che un messaggio che a me piacerebbe sentire sarebbe: “Car* concittadin*, qui è un casino! Stiamo cercando di farci un’idea di come uscire da questo incubo e – sulla base di quello che è risultato evidente fino ad oggi – questa iniziativa ha una buona probabilità di arginare i problemi ed evitare danni maggiori. È vero che ci sono delle controindicazioni, ma risultano assolutamente poco probabili e comunque ci faremo molta attenzione. Capisco che per molti di noi la pillola da ingoiare sia un po’ amara ma, se ci teniamo a proteggere la salute di tutti noi, ora come ora è la pillola più efficace”. Funzionerebbe? Non ne ho alcuna evidenza, ma credo sia tendenzialmente utile imparare bene a comunicare l’incertezza e il rischio! Torniamo ad auspicare una comunicazione attenta, originata da una discussione razionale e liberale, che abbia come presupposto tanto l’evidenza quanto la non-evidenza, che abbia fatto tesoro dell’ascolto, e che punti a dare valore alla costruzione di una relazione di fiducia tra chi osserva, chi decide, e chi è chiamato ad adeguare i propri comportamenti. E speriamo che funzioni…
[1] Talic S, Shah S, Wild H, et al. Effectiveness of public health measures in reducing the incidence of covid-19, sars-cov-2 transmission, and covid-19 mortality: systematic review and meta-analysis. BMJ 2021;375:e068302.