La vulnerabilità è una dimensione complessa che si sviluppa in un territorio di confine tra l’esperienza fisica ed emotiva, l’aspetto culturale e interculturale, il contesto socioeconomico e le caratteristiche personali. Anche il genere rientra a pieno titolo in questo territorio, perché spesso è proprio da lì che passano identità, interazioni e stereotipi.
“C’è una grande differenza fra maschi e femmine nel rappresentare il dolore o le difficoltà. Molto semplicemente ci sono delle caratteristiche che sono legate alla cosiddetta desiderabilità sociale, cioè che cosa ci si aspetta da un uomo e cosa ci si aspetta da una donna”, spiega Mirella Ruggeri, professoressa ordinaria di psichiatria dell’Università di Verona e presidente dell’International federation of psychiatric epidemiology. Per esempio, una delle prime cose che emerge è che le donne sembrano soffrire di depressione il doppio degli uomini, così come i maschi di abuso di sostanze. Ma forse non è proprio così. Sembrerebbe piuttosto che la discriminazione di genere percepita sia un fattore importante nella salute mentale: gli uomini potrebbero non ritenere lecito dichiarare la loro debolezza o il loro fallimento e a pesare potrebbero esserci le aspettative da parte della società su come i ragazzi e gli uomini dovrebbero pensare, sentire e agire. Diverso è lo scenario legato al consumo di alcol dove i maschi sono più propensi a cercare aiuto, perché lo stigma associato al consumo di alcol e sostanze è minore per gli uomini che per le donne.
“Nella valutazione dei comportamenti di uomini e donne con una malattia, noi medici dovremmo stare attenti a non cadere negli stereotipi delle dicotomie: alcuni studi hanno evidenziato che gli operatori sanitari tendono ad attribuire più frequentemente alle donne una diagnosi di depressione. Ma là dove questa attribuzione venga corretta per diversi fattori confondenti, emerge che la prevalenza di questa diagnosi non differisce nei due sessi [1]. Sembra, quindi, che gli aspetti che incidono nella differente manifestazione della vulnerabilità siano talvolta da riferirsi anche a differenze di contesto socioeconomico e culturale oltre che di genere”, afferma Camilla Alderighi, medico internista di Firenze. La distribuzione dei disturbi mentali, dunque, oltre a poter essere associata al diverso modo di raccontare questa vulnerabilità o di ricercare aiuto da parte di uomini e donne, va letta alla luce di una diversa esposizione ai rischi biologici e psicosociali. Le pressioni create dai loro molteplici ruoli, la discriminazione di genere e i fattori associati quali povertà, malnutrizione, maggiore carico di lavoro, violenza domestica e abusi sessuali si combinano a spiegare la scarsa salute mentale delle donne [2]. “Per noi è indispensabile conoscere il background delle persone, che siano maschi o femmine. I fattori che poi noi conosciamo essere i fattori psicosociali sono modulatori del diverso grado di gravità oppure delle possibilità di guarigione per tutti i disturbi psichici”, conferma Ruggeri.
Sembrerebbe che la discriminazione di genere percepita sia un fattore importante nella salute mentale.
“Nella mia esperienza non ho evidenziato differenze nel vissuto di uomini o donne e nella richiesta d’aiuto e credo che dove vengono evidenziate siano legate più alla modalità dell’offerta e alla facilità o meno di accedere ai servizi che al reale desiderio di essere aiutati”, ci dice Gabriella De Benedetta, psiconcologa dell’Istituto nazionale tumori di Napoli G. Pascale. Allo stesso tempo, però, sottolinea Alderighi, non può essere dimenticato il contesto: “Nella mia esperienza i sentimenti di vulnerabilità delle persone di fronte alla malattia sono tanto maggiori quanto più travagliata è la loro storia personale, indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne; ma anche quanto più importante è il loro ruolo di supporto (di cura più spesso che economico) verso i figli o verso altri familiari, ruolo che in molti casi è ancora di pertinenza prevalentemente femminile. Lo stesso vale per gli uomini, qualora si trovino in una situazione analoga. In definitiva, riguardo al comportamento di uomini e donne di fronte alla malattia, non ho riscontrato finora una diversità sistematica e importante correlata soltanto al sesso o al genere. Probabilmente, nella ricerca che include il genere, dovremmo inserire questa variabile apparentemente dicotomica in un contesto più complesso, soprattutto là dove gli esiti da valutare non siano completamente oggettivi, perché altrimenti rischieremmo di produrre risultati che, lungi dall’abbattere i vecchi stereotipi, potrebbero consolidarne di nuovi, anche grazie all’involucro di una presunta dignità scientifica”.
In quest’ottica, continua Alderighi, un medico dovrebbe tener conto del genere quando parla con i propri pazienti della malattia. “Dalla ricerca medica sappiamo che sia la modalità di presentazione clinica di molte malattie sia l’efficacia di molte terapie possono differire tra uomo e donna, probabilmente per una combinazione ancora non chiara di fattori, anche ma non solo biologici e ormonali [3]. Tuttavia, la maggioranza degli studi che informa le decisioni sui trattamenti per la salute si basa su popolazioni a prevalenza maschile. Noi medici dovremmo quindi essere consapevoli della variabile genere nella valutazione di un paziente, sia in relazione alle diverse possibili modalità di presentazione cliniche che alle diverse reazioni alle terapie. Questo è anche un richiamo all’umiltà di non dare per scontati e per certi gli effetti degli interventi terapeutici. Infatti, non solo ogni persona reagisce in modo diverso rispetto ad un’altra a uno stesso trattamento, ma molte delle evidenze su cui basiamo le nostre decisioni e su cui le linee guida basano le loro raccomandazioni derivano da popolazioni selezionate, prevalentemente uomini bianchi, di media età e senza significative comorbilità, ovvero, purtroppo, un insieme di caratteristiche che non definiremmo preponderanti nella pratica quotidiana”.
Bibliografia
[1] Mumang AA, Syamsuddin S, Maria IL, Yusuf I. Gender differences in depression in the general population of Indonesia: confounding effect. Depress Res Treat 2021:3162445.
[2] World health organization. Gender and women’s mental health | www.who.int/teams/mental-health-and-substance-use/gender-and-women-s-mental-health
[3] Keogh E. The gender context of pain. Health Psychol Rev 2020;8:1-28.