In un racconto di Isaac Singer del 1904 ambientato in un villaggio rurale ebraico, Yentl è una giovane donna che, per fuggire alle aspettative dell’epoca, si finge uomo per accedere alla scuola ebraica e studiare il Talmud. “Storicamente, essere come un uomo è stato un prezzo che le donne hanno dovuto pagare per l’uguaglianza”, scrisse Bernardine Healy nell’editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine, nel 1991, in cui metteva in luce per la prima volta la differente gestione della patologia coronarica nei due generi, con un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici effettuati sulle donne rispetto agli uomini, a parità di condizioni e, dunque, un approccio clinico-terapeutico discriminatorio; le donne, inoltre, erano per nulla o poco rappresentate nelle sperimentazioni, a partire dai modelli animali. L’articolo, che descriveva la “sindrome di Yentl”, rappresentò un punto di partenza per dare forza alla medicina di genere.
Un crescente numero di evidenze scientifiche mostra che la presenza di importanti differenze tra uomini e donne può influire sullo stato di salute e di malattia di ciascun individuo. Lo studio dell’influenza di tali differenze, sia biologiche (definite dal sesso) che socio-economiche e culturali (definite dal genere), identificate nell’insorgenza, nella prognosi, nella risposta ai farmaci, negli effetti collaterali e nella sopravvivenza dei principali gruppi di patologie, rappresenta la definizione che l’Organizzazione mondiale della sanità ha associato alla medicina genere specifica. A distanza di molti anni dal famoso editoriale della cardiologa americana che evidenziava la diversa gestione della patologia coronarica nei due generi, le malattie cardiovascolari sono ancora considerate un problema maschile, mentre rappresentano la principale causa di morte delle donne, spiega Alessandra Carè, direttrice del Centro di riferimento per la medicina di genere, dell’Istituto superiore di sanità (Iss). “Al contrario, patologie considerate solo femminili colpiscono anche gli uomini con frequenza e sintomi diversi. Per questo motivo la medicina genere specifica vuole acquisire le informazioni necessarie, basate su indicatori sempre più appropriati, per fornire a ciascuno la cura più adatta. Non la medicina delle donne, come erroneamente alcuni credono, ma la medicina di tutti, dove le variabili sesso e genere sono aspetti indispensabili per andare verso una reale applicazione della cosiddetta medicina di precisione”.
Le specificità maschili e femminili vanno prese in considerazione in tutte le tappe necessarie, dagli studi sperimentali di laboratorio alla cura del paziente. – Alessandra Carè
“Parliamo di medicina genere specifica perché la medicina di genere non esiste. Se si continua a parlare di medicina di genere come una cosa a sé stante sembra che si stia parlando di una specialità della medicina. Noi dovremmo far capire alla comunità scientifica, ai pazienti, ai cittadini, che l’approccio di genere in medicina è trasversale e attraversa tutte le specialità” dice Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e già ordinaria della prima cattedra di medicina di genere in Italia. “Nel 2012 il direttore del mio dipartimento si appassionò della medicina di genere e decise di istituire una cattedra, che ho ricoperto per cinque anni. Eravamo agli albori, allora aveva senso, la medicina di genere doveva essere lanciata. Al giorno d’oggi sarebbe un errore istituire cattedre separate di medicina di genere e continuare a relegare la materia come se fosse una branca della medicina. La medicina genere specifica è una dimensione trasversale che deve essere declinata, insegnata e praticata in tutte le specialità della medicina”.
Non la medicina delle donne, come erroneamente alcuni credono, ma la medicina di tutti, per andare verso una reale applicazione della medicina di precisione. – Alessandra Carè
Passi in avanti
“L’attenzione al genere sta crescendo in tutto il mondo come dimostrato da una serie di nuove organizzazioni e dalla stesura di raccomandazioni proposte negli Stati Uniti e in Canada” prosegue Alessandra Carè. “Le possibili specificità maschili e femminili vanno prese in considerazione in tutte le tappe necessarie per andare dagli studi sperimentali di laboratorio alla cura del paziente. In particolare, per quanto riguarda gli studi preclinici, negli Stati Uniti la Food and drug administration e i National institutes of health da tempo hanno raccomandato una corretta pianificazione dei modelli animali, al momento strumenti indispensabili per lo studio dell’efficacia terapeutica. Tuttavia, per ragioni organizzative ed economiche, oggi la maggior parte degli studi include animali di un solo sesso”.
L’approccio di genere in medicina è trasversale e attraversa tutte le specialità. – Giovannella Baggio
In Italia, il passo fondamentale si è fatto con l’approvazione della legge 3/2018 che introduceva l’attenzione alle differenze di genere nelle pratiche sanitarie, nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, spiega Carè, i cui quattro obiettivi fondamentali sono: revisione dei percorsi clinici (quindi prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione), ricerca e innovazione, formazione (dei nuovi operatori sanitari e come aggiornamento professionale) e comunicazione. “Siamo all’inizio di una fase importante” aggiunge Baggio, “siamo l’unica nazione al mondo con una legge sulla medicina di genere. Siamo sotto gli occhi di tutti, direi che abbiamo una responsabilità nazionale e internazionale”.
In seguito all’approvazione della legge, il Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Iss e il Ministero della salute, in collaborazione con un tavolo di referenti regionali, e con il contributo dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, l’Agenzia italiana del farmaco e degli Irccs, hanno redatto il Piano attuativo che indica le azioni principali da realizzare per garantire l’avvio di programmi di diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale, precisa la direttrice del Centro. Inoltre, nel settembre dello scorso anno, è stato istituito presso l’Iss l’Osservatorio nazionale per la medicina di genere, con la funzione di monitorare le azioni di promozione, applicazione e sostegno alla medicina di genere previste nel Piano. Va infine sottolineato, aggiunge Carè, che già da tempo esiste, e sta man mano crescendo, una rete italiana che collabora nell’ambito della medicina di genere, della quale fanno parte, oltre al Centro di riferimento dell’Iss, il Gruppo italiano salute e genere, il Centro studi nazionale su salute e medicina di genere, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri e molte società scientifiche.
Di cosa parliamo quando parliamo di differenze?
Fra tutti gli esempi che possiamo portare, quello più noto riguarda l’infarto del miocardio, prima causa di morte nella donna, spiega Giovannella Baggio. “L’infarto del miocardio nella donna è diagnosticato in ritardo perché i sintomi sono diversi da quelli presentati dall’uomo. Come in tutte le malattie uomini e donne hanno sintomi, lesioni, fabbisogno farmacologico (e di prevenzione) differenti. La donna, durante l’infarto del miocardio ha pochi sintomi, può non provare dolore, può avvertire un po’ di mal di pancia, sentirsi stanca, avere un po’ di dispnea. Quindi cerca aiuto tardi, perché non immagina che quelli possano essere sintomi legati al cuore. Inoltre, ancora più grave, arrivata in pronto soccorso non viene indirizzata in area rossa. È accaduto che alcune donne siano state ricoverate in gastroenterologia e, come primo esame, abbiano fatto una gastroscopia perché avevano dolore all’alto stomaco. Questo evidente ritardo nella diagnosi deve essere corretto, è necessario quindi riscrivere i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per molte patologie.
Altri esempi clamorosi si trovano nel campo oncologico, un esempio è il cancro del colon. La donna ha prevalentemente un cancro del colon ascendente, l’uomo ha prevalentemente un cancro del colon discendente. L’esame del sangue occulto nelle feci, nel caso del cancro del colon ascendente, si positivizza molto tardi e quindi la mortalità nella donna è superiore perché la diagnosi è fatta in ritardo”.
Medicina genere specifica vuol dire dare anche attenzione all’uomo per quelle patologie che nell’uomo vengono completamente trascurate, come l’osteoporosi e la depressione, perché storicamente associate alla donna, spiega Baggio. “La prima, per esempio, si presenta nell’uomo con un ritardo di circa dieci anni rispetto alla donna e nelle situazioni più gravi, dopo una frattura, il tasso di mortalità è molto superiore. La depressione è indubbiamente più frequente nella donna, ma nell’uomo non abbiamo gli strumenti per diagnosticarla e sappiamo che il suicidio è dalle cinque alle sette volte superiore nell’uomo rispetto alla donna. A qualcuno di questi uomini era mai stata fatta una diagnosi di depressione? La medicina genere specifica riequilibra la conoscenza dei sintomi differenti nei due generi, apre un discorso di equilibri, di correttezza, un discorso scientifico di grande portata, che permette di comprendere meglio la fisiopatologia di determinate malattie e di trovare più facilmente una farmacologia studiata in base alla differenza di genere”.
Stratificazione di genere
Uomini e donne non si ammalano nello stesso modo, incidenza e prevalenza delle patologie sono diverse nei due sessi e, di conseguenza, anche il loro impatto, in termini di utilizzo di risorse sanitarie, è differente, afferma Eliana Ferroni, dirigente medico in igiene, epidemiologia e sanità pubblica presso il Servizio epidemiologico regionale del Veneto. “Da una analisi stratificata della popolazione con malattie croniche, condotta in Veneto, è emerso che le donne hanno un impatto maggiore, in termini di complessità assistenziale, e quindi di consumo di risorse sanitarie, nello scompenso cardiaco e nella demenza, mentre nel diabete e nella broncopneumopatia cronica ostruttiva sono più gli uomini ad assorbire le risorse sanitarie. La fascia di popolazione più anziana in Italia è in prevalenza di sesso femminile: le donne vivono più a lungo degli uomini – dai dati Istat nel 2019 la speranza di vita delle donne era di 85,3 anni versus 81 anni per gli uomini – tuttavia, questi 4 anni di vita “guadagnati” spesso sono anni vissuti con disabilità. Un recente studio, pubblicato su The Lancet Healthy Longevity e basato sui dati dei paesi Ocse, conferma come le donne, sebbene più longeve rispetto agli uomini, siano esposte a un maggior rischio di sviluppare malattie croniche, che incidono in maniera drammatica sulla salute e sulla qualità della vita. Le donne, inoltre, passano più anni in solitudine e con redditi più bassi”. Sebbene sussistano queste importanti differenze tra i due sessi, prosegue Ferroni, il genere come variabile non viene sempre considerato in modo appropriato negli studi epidemiologici, le analisi vengono spesso presentate riportando un dato complessivo, che comprende sia gli uomini che le donne, non dando la possibilità a eventuali differenze di poter emergere. “Il genere andrebbe tenuto in considerazione non solo nella presentazione delle analisi, ma anche in fase di progettazione dello studio. Questo aspetto è molto importante specie quando si tratta di studi di farmacoepidemiologia, che vanno, quindi, a misurare efficacia e sicurezza di un trattamento farmacologico. Le donne, tuttavia, sono sottorappresentate nei trial clinici randomizzati: la percentuale di donne arruolate supera difficilmente il 20 per cento negli studi clinici di fase 3; ne risulta, quindi, che in alcuni casi l’approvazione dei farmaci si basa su risultati ottenuti su una popolazione prevalentemente di sesso maschile.
La stratificazione per genere è importante, inoltre, per una attenta lettura dello stato di salute della popolazione. – Eliana Ferroni
Anche l’esperienza della ricerca in ambito covid-19 conferma questo dato. Una recente pubblicazione su Nature Communications ha analizzato gli studi clinici su covid-19 registrati sul database americano ClinicalTrials.gov sotto il profilo delle differenze di genere: il 66,7 per cento non fa menzione delle variabili di sesso e genere, esse vengono incluse soltanto nel 4 per cento degli studi. L’assenza di un dato stratificato per genere emerge anche nelle pubblicazioni di studi randomizzati e controllati su efficacia e sicurezza di farmaci per covid-19: solo il 17,8 per cento riporta risultati disaggregati per sesso o analisi per sottogruppi. Appare necessario, quindi, investire più risorse per la promozione di una cultura più attenta alla dimensione femminile nell’ambito della sperimentazione farmacologica, anche a fronte delle recenti acquisizioni nell’ambito della farmacogenomica e delle terapie personalizzate.
Il genere andrebbe tenuto in considerazione non solo nella presentazione delle analisi, ma anche in fase di progettazione dello studio. – Eliana Ferroni
La stratificazione per genere è importante, inoltre, per una attenta lettura dello stato di salute della popolazione. Se una patologia colpisce maggiormente un sesso rispetto a un altro, potrebbe essere appropriato utilizzare strumenti diversi per contrastarne l’incidenza. Sono numerosi, infatti, gli esempi di interventi di prevenzione differenziati in base al genere che si sono dimostrati molto efficaci, come per esempio quelli legati all’adozione di uno stile di vita sano; per questo motivo è auspicabile un’attenzione maggiore al genere nei prossimi Piani regionali di prevenzione associati al Piano nazionale prevenzione 2020-2025, anche attraverso lo sviluppo di indicatori stratificati per la valutazione degli interventi. Sarebbe importante, infine, implementare l’approccio di genere nella stratificazione dei dati anche nell’ambito dei programmi di valutazione degli esiti – come il Programma nazionale esiti e il progetto Bersaglio.
Con l’obiettivo di diffondere l’importanza delle differenze di genere in ambito epidemiologico, è nato recentemente il gruppo di lavoro sulla salute e medicina di genere dell’Associazione italiana di epidemiologia, di cui sono referente insieme a Cristina Mangia, che ha in programma l’attivazione di diverse linee di ricerca, in particolare nell’ambito della prevenzione, dell’epidemiologia ambientale, delle disuguaglianze di salute e delle vaccinazioni”.
Noi siamo di fronte a un passo etico della medicina, se non lo facciamo vuol dire che non facciamo una medicina basata sulla scienza. – Giovannella Baggio
Prospettive
Il ministro Speranza ha sottolineato – in occasione della conferenza stampa “Idee in pratica: per una sanità attenta alle differenze di sesso e genere” organizzata dalla senatrice Paola Boldrini – quanto “sia importante indossare le lenti delle medicina di genere per ridelineare il Servizio sanitario nazionale nel suo complesso”. Questa prospettiva “responsabilizza tutti noi che ci stiamo impegnando in quest’ambito” commenta Alessandra Carè, che aggiunge “il ministro ha compreso e fatto sua la rilevanza di una politica di genere e, in varie occasioni, ha messo in evidenza come l’inclusione delle variabili di sesso e genere rappresenti una base indispensabile per fare dei passi avanti verso una vera medicina di precisione”. Questo approccio – aggiunge Baggio – non ha il potere di rendere la politica sanitaria più equa, ha il dovere di farlo. “La medicina genere specifica non è un’invenzione o una nuova scoperta, la medicina genere specifica assume una potenza scientifica e quindi etica. Noi siamo di fronte a un passo etico della medicina, se non lo facciamo vuol dire che non facciamo una medicina basata sulla scienza.
Le università giocano un ruolo cruciale nella formazione degli studenti, ma anche gli ordini dei medici e le società scientifiche devono attivarsi – sono loro a scrivere nuove linee guida. Ancora, le industrie farmaceutiche non possono più stare ferme davanti a linee guida scritte troppo tempo fa, le agenzie regolatorie non possono più accettare risultati che provengono da protocolli con una percentuale di donne coinvolte che va dallo 0 al 20 per cento. I corsi di formazione sulle differenze di genere sono frequentati soprattutto da dottoresse e questo non ha senso. Questa è una rivoluzione a tutto campo, che coinvolge tutto il Servizio sanitario nazionale, le università, gli ordini dei medici, le società scientifiche, le agenzie regolatorie, gli istituti di ricovero, le industrie farmaceutiche. È una rivoluzione assoluta, tanti attori devono prendere in mano la situazione”.
A cura di Giada Savini
Salute e medicina di genere
Quali prospettive nei Piani regionali di prevenzione?
La prevenzione costituisce, insieme a ricerca, diagnosi e cura, uno dei principali ambiti di azione nei quali, secondo il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, è necessario declinare gli interventi sanitari, adottando un approccio di genere. Analogamente, il Piano nazionale della prevenzione (Pnp) 2020-2025 richiama la necessità di declinare gli interventi di promozione della salute e prevenzione, ponendo attenzione agli aspetti di genere. Il Pnp è un documento di programmazione sanitaria unico nel suo genere: indica la strategia e i macro-obiettivi di salute prioritari, che sono poi declinati a livello regionale con i Piani regionali di prevenzione (Prp). Il Pnp e i Prp svolgono quindi “un ruolo di governance e orientamento, favorendo il collegamento e l’integrazione tra le azioni previste da leggi, regolamenti, piani di settore”. Il Pnp 2020-2025 presenta, inoltre, due importanti elementi di novità:
- da un lato l’investimento sulla messa a sistema in tutte le Regioni di linee di azione (programmi “predefiniti”, vincolanti per tutte le Regioni) basate su evidenze di efficacia, buone pratiche consolidate e documentate, strategie raccomandate, nazionali e internazionali;
- dall’altro il richiamo a un approccio più incisivo per il contrasto delle disuguaglianze di salute, incluse le disuguaglianze legate al genere, con l’invito ad “avvalersi dei dati scientifici, dei metodi e degli strumenti disponibili e validati, per garantire l’equità nell’azione”.
Inoltre, il Pnp 2020-2025, in continuità con il passato, delinea un sistema di azioni di promozione della salute e di prevenzione, che accompagnano il cittadino in tutte le fasi della vita con interventi orientati al “ciclo di vita” e quindi tarati sulle specifiche esigenze della persona in base all’età. A tal proposito, anche le differenze di genere possono svilupparsi e cambiare nel tempo, poiché sono legate all’età. I gruppi di popolazione più giovani presentano, inoltre, bisogni di salute specifici: le patologie croniche sono ancora poco frequenti, mentre sono evidenti fin dal concepimento le differenze tra individui, ma anche tra uomini e donne, nell’esposizione e vulnerabilità ai fattori di rischio collegati a malattie croniche prevenibili, come le malattie cardiovascolari e i tumori.
In sintesi, il Pnp 2020-2025 identifica l’approccio di genere come una componente strategica per la sanità pubblica, riconoscendo l’importanza delle differenze biologiche e socioculturali di genere, con la finalità di migliorare l’appropriatezza clinica degli interventi di prevenzione e promuovere eguaglianza ed equità nella salute. La vera sfida ora passa alle Regioni: entro il 31 agosto 2021, tutte le Regioni hanno definito i cosiddetti “Profili di salute ed equità regionali”, inclusivi degli aspetti di genere, elaborando i dati sullo stato di salute della popolazione regionale. Inoltre, le Regioni hanno delineato i Prp 2021-2025, indicando le azioni regionali tarate sugli specifici contesti, volte a raggiungere gli obiettivi strategici nazionali. A seguito della valutazione ex-ante da parte del Ministero della salute, le Regioni dovranno approvare, entro fine anno, i Prp 2021-2025, dando quindi traduzione operativa ai principi e alle indicazioni del Pnp.
Porre attenzione al genere in sanità pubblica diventa quindi una scelta strategica regionale che, in linea con quanto indicato dal Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, anche nel campo della prevenzione richiede:
- il monitoraggio e la valutazione degli interventi di prevenzione genere-specifici definiti nei Prp;
- la formazione verso tutti gli operatori sociosanitari coinvolti nei Prp sull’approccio di genere e sui meccanismi bio-psicosociali che sono alla base di differenze tra uomini e donne nell’esposizione e nella vulnerabilità ai fattori di rischio per le malattie, ma anche nei problemi di salute e nelle conseguenze sociali dell’esperienza di malattia;
- il confronto, anche a livello regionale, con gli ambiti di ricerca, studio e formazione universitaria affinché, anche nel campo della promozione della salute e prevenzione, vengano definiti piani di ricerca-azione genere-specifici;
- in generale, la maggiore attenzione da parte di responsabili regionali, operatori sanitari, ma anche dei cittadini sulla medicina di genere e sulle sue implicazioni a livello della salute.
Non da ultimo, è fondamentale che, a livello regionale, sia garantito il raccordo tra le attività legate all’implementazione regionale del Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere e le attività legate all’attuazione degli ormai prossimi Prp 2021-2025.
Lilia Biscaglia
Area promozione della salute e prevenzione Regione Lazio*
*Le opinioni espresse dall’autrice sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza.