Fine anni Novanta. Ad Atlanta, la Coca-Cola company paga una multa di 192,5 milioni di dollari per aver praticato politiche aziendali discriminatorie nei confronti di dipendenti afroamericani negando promozioni e aumenti salariali. Un flop per un’azienda molto attenta a una gestione manageriale inclusiva del capitale umano che ne mina anche la reputazione agli occhi di consumatrici e consumatori. Nel 2002 la compagnia adotta un piano di azione strategico per valorizzare la diversity & inclusion a diversi livelli, dentro e fuori l’azienda. “Better together” è lo slogan: “Diversità e inclusione fanno da sempre parte del nostro dna. Ogni giorno scegliamo di promuovere questi valori perché siano leva di cambiamenti positivi e nuove opportunità”.
Il diversity & inclusion management è diventato un imperativo per le imprese chiamate a confrontarsi con una società sempre più diversificata e sempre più attenta e sensibile ai diritti e alle pari opportunità. Le diversità possono riguardare l’identità di genere e l’orientamento sessuale, l’etnia, lo status economico-sociale, le affiliazioni religiose e culturali e, non da ultima, l’età. Nata negli anni Ottanta, negli Stati Uniti, questa gestione delle risorse umane non si riconduce solo all’adozione di un approccio politically correct e rispettoso delle diversità. La sfida per le aziende è duplice. Primo, capire come le differenze possono influenzare la capacità delle persone e migliorare l’organizzazione in un’ottica di efficienza. Secondo, creare un luogo di lavoro libero da discriminazioni e pregiudizi, che sia realmente inclusivo e senza barriere, e basato sui valori delle persone che vi fanno parte.
Coltivare la qualità dei dipendenti
“In Kyowa Kirin crediamo nel valore delle persone. Sosteniamo e riconosciamo il valore di ognuno, perché tutti si sentano apprezzati per il lavoro che svolgono, a tutti i livelli dell’organizzazione, nel rispetto di pari dignità e trattamento sul lavoro. Tutte le politiche aziendali sono orientate al superamento delle disuguaglianze nel lavoro e nella retribuzione e a promuovere la diversità”, racconta Norberto Villarrasa Justicia, direttore generale di Spagna, Italia e Portogallo per Kyowa Kirin che nel luglio 2020 si è dotata di un team per la promozione della diversità all’interno del dipartimento delle risorse umane. Il team si compone di sette gruppi di lavoro costituiti da dipendenti che promuovono iniziative su temi di particolare interesse, favorendo un confronto continuo tra le persone che ne fanno parte. “Con l’obiettivo di creare un ambiente fondato su integrazione e inclusione, abbiamo attivato concrete politiche aziendali di diversity management. Per farlo, coltiviamo le qualità dei nostri dipendenti offrendo prospettive di carriera”.
Tutte le politiche aziendali sono orientate al superamento delle disuguaglianze nel lavoro e nella retribuzione e a promuovere la diversità. — Norberto Villarrasa Justicia
L’idea è quella di liberare il potenziale della diversità promuovendo una cultura dove l’inclusione è concepita non come un’iniziativa isolata ma come parte integrante dei valori dell’azienda, aggiunge Claudia Russo Caia, patient, value and access director di Takeda Italia ed executive sponsor per le attività di DE&I in Italia. “Takeda conta ormai 240 anni di storia e ha un proprio codice di valori consolidato. Il valore del rispetto è interno alla cultura aziendale. Quest’anno a livello internazionale è stata dedicata una settimana al tema “diversity, equity and inclusion” per dare nuova linfa all’impegno di creare un ambiente di lavoro aperto e paritario. A livello europeo è stato creato un De&i council per coordinare e stabilire delle priorità di intervento nel breve e nel medio termine, e a livello di Paese sono stati creati dei gruppi di lavoro formati da persone diverse per genere, seniority, livello aziendale e background, proprio al fine di portare e valutare insieme le iniziative più disparate”.
Takeda conta ormai 240 anni di storia e ha un proprio codice di valori consolidato. Il valore del rispetto è interno alla cultura aziendale. — Claudia Russo Caia
L’inclusione a partire dalle donne
A fare da capofila delle iniquità è sicuramente la discriminazione di genere tra donna e uomo. La buona notizia è che l’Italia è passata dal 76esimo al 63esimo posto nell’ultima classifica mondiale del gender gap del World economic forum. Più donne quindi nei posti di lavoro, soprattutto nel settore della politica. Le imprese del farmaco rappresentano un settore virtuoso: i dati di Farmindustria mostrano infatti che le donne sono in media il 43 centro del totale degli addetti e il 42 per cento tra i quadri e i dirigenti.
“Takeda si contraddistingue positivamente rispetto alle pari opportunità e alla diversità di genere” spiega Russo Caia. “Dal 2013 abbiamo avuto tre general manager, tutte e tre donne. L’attuale board dei direttori che guida l’azienda è composto da cinque donne e sette uomini. In generale possiamo vantare un perfetto equilibrio di genere nella totalità della popolazione aziendale in Takeda Italia con un 47 per cento di donne tra leader e manager. Un particolare che ci piace sottolineare è la focalizzazione sullo sviluppo dei talenti e delle promozioni interne che, nello scorso anno, è stato rappresentato per il 65 per cento dalla popolazione femminile. Sono dati importanti di cui siamo orgogliosi”.
Ma le pari opportunità non si misurano solo in termini di rappresentanza numerica delle donne in azienda. Nella classifica del World economic forum l’Italia è scesa al 114esimo posto sul fronte della partecipazione economiche. Secondo le stime di Eurostat, il gender pay gap può arrivare al 12,2 per cento in meno sulla busta paga delle donne italiane rispetto ai colleghi uomini, a parità di mansione, e toccare addirittura il 30,6 per cento negli impieghi che richiedono una laurea. A contribuire in parte a questo gap è il maggior numero di contratti part time che spesso sono il solo escamotage per riuscire a conciliare il lavoro con la cura domestica che spetta per la gran parte alle donne. Qualcosa si sta smuovendo a livello legislativo. A giugno è stata approvata la proposta di legge sulla parità salariale fra uomo e donna che vuole istituire un meccanismo di trasparenza e una certificazione della parità di genere per premiare le aziende virtuose.
Anche le politiche aziendali orientate al genere possono fare la loro parte. Villarrasa Justicia riporta che il Gruppo Kyowa Kirin sta promuovendo percorsi di formazione per una effettiva tutela delle pari opportunità. “Dal 2016, abbiamo offerto programmi di formazione per supportare le dipendenti nello sviluppo della loro carriera. Nel 2013 la percentuale di donne manager in Kyowa Kirin era pari al 3,7 per cento. Una percentuale che oggi si attesta al 10 per cento circa e che puntiamo ad aumentare nel breve periodo”.
Politiche del lavoro e politiche aziendali indirizzate a una maggiore inclusione delle donne nel mercato occupazionale hanno anche un risvolto economico: è stato stimato che in Europa le perdite di pil pro capite attribuibili ai divari di genere nel mercato del lavoro rappresentano fino al 10 per cento.
Dalle quote rose alle pari opportunità
Dei progressi sono stati ottenuti nei settori che hanno dei vincoli dettati dalla legge Golfo-Mosca del 2011 sulle cosiddette “quote rosa”. Tra il 2010 e il 2018 l’Italia ha guadagnato più di dieci punti percentuali nell’indice europeo dell’uguaglianza di genere Eige, passando da un 53,3 a un 63,5. Questo avanzamento però è imputabile per la gran parte all’aumento delle donne nei luoghi decisionali, dalle assemblee regionali ai consigli di amministrazione delle grandi imprese.
“Quando abbiamo incluso tra i nostri obiettivi un capitolo specifico su diversità, equità e inclusione abbiamo discusso a lungo sui vantaggi delle quote rosa”, racconta Russo Caia. “A mio avviso dovremmo partire sempre dal contesto e da un’analisi delle capacità evitando generalizzazioni. Le quote rose sono nate all’interno degli organi politici istituzionali elettivi e dei consigli di amministrazione delle società quotate dove, in assenza di norme specifiche sulla parità di genere, la presenza femminile era significativamente inferiore a quella maschile. Ma nel settore farmaceutico la situazione è completamente diversa e la storia di Takeda ne è la dimostrazione; e anche in questo momento storico, in cui la pandemia sta avendo un impatto negativo sull’occupazione femminile, questo settore si distingue per una rappresentanza di donne elevata. Sono dell’avviso che le politiche aziendali non debbano creare delle barriere ma piuttosto una competizione alla pari garantendo alle dipendenti un percorso formativo e professionale tale che un domani renda le persone perfettamente eleggibili a un incarico. Questo significa proteggere la maternità o altre fasi della vita in cui c’è ‘altro’ a cui doversi dedicare al di fuori del lavoro”.
Tra l’altro anche in una mera ottica di profitto sarebbe controproducente per un’impresa selezionare le persone e mantenerle in aziende sulla base del genere e non delle competenze. Tuttavia, se la partita si gioca davvero sulle competenze, serve creare le condizioni del lavoro per mettere colleghe e colleghi nella condizione di competere ad “armi pari”.
Lavoro di cura e genitorialità paritari
L’inclusività oggi chiama in causa diversi fattori: la tipologia di contratti, la pari opportunità di retribuzione, la progressione di carriera, la qualità dell’ambiente di lavoro e, aspetto basilare, la conciliazione del lavoro con la vita personale. “In Takeda ‒ continua la patient, value and access director ‒ stiamo ragionando su come rendere più inclusivo e paritario il luogo di lavoro attraverso politiche per la genitorialità e interventi finalizzati ad aiutare i dipendenti ‒ di ogni genere ‒ nella loro vita al di fuori dell’azienda. Inoltre nel nostro futuro modello di lavoro post pandemia, sarà riconosciuta la massima flessibilità possibile in termini di luogo e tempo di lavoro e tra interazioni in presenza e virtuali che saranno lasciati alla discrezionalità delle persone in base agli obiettivi da raggiungere e alle esigenze personali. I principi flessibilità e responsabilizzazione valorizzeranno al massimo l’esperienza di lavoro”.
I principi flessibilità e responsabilizzazione valorizzeranno al massimo l’esperienza di lavoro. — Claudia Russo Caia
Infatti, uno degli ostacoli alla parità di genere sul posto di lavoro è il lavoro di cura non retribuito che storicamente ricade per la maggior parte sulle spalle delle donne. A questo si aggiunge la maternità. Anche se la normativa proibisce il licenziamento per ragioni legate alla maternità e prevede il diritto al congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale “al fine di poter conciliare vita familiare e professionale”, la nascita di un figlio o l’adozione di un figlio penalizza più la carriera della madre che del padre. Le politiche aziendali possono favorire la parità dei ruoli genitoriali e bilanciare la parità di genere a casa e sul posto di lavoro. “Consapevole delle difficoltà e delle sfide che le donne devono costantemente affrontare per quanto riguarda la parità di retribuzione, i ruoli genitoriali e non solo, Kyowa Kirin promuove la parità di genere sul posto di lavoro e la parità dei ruoli parentali, senza discriminazioni. E lo fa attuando politiche volte a conciliare vita lavoro”, commenta Villarrasa Justicia. “Oltre al congedo annuale retribuito, i dipendenti hanno diritto a dieci giorni di congedo retribuito auto-diretto in prossimità del parto del coniuge o quando si accudisce un bambino malato, e fino a due anni di congedo per accompagnare un coniuge che si trasferisce. A partire da ottobre, inoltre, implementeremo in Italia il lavoro ibrido, progettato per offrire la flessibilità del lavoro da remoto pur mantenendo i vantaggi associati al lavoro in loco”.
Kyowa Kirin promuove la parità di genere sul posto di lavoro e la parità dei ruoli parentali, senza discriminazioni. E lo fa attuando politiche volte a conciliare vita-lavoro. — Norberto Villarrasa Justicia
L’inclusività e rispetto fuori dai binari
Negli ultimi decenni sono stati fatti passi avanti nello sviluppo e nell’adozione di politiche del personale e codici di condotta che tengano conto di tutti i generi, binari e non binari. Questo in particolare negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito. Anche in Italia sta crescendo l’attenzione. Al questionario “Lgbt diversity index” del 2018 sei datori di lavoro italiani su dieci hanno dichiarato di avere una politica aziendale di non discriminazione formalizzata, che comprende sia l’orientamento sessuale sia l’identità di genere.
Per ragioni sia etiche sia di crescita aziendale, Takeda e Kyowa Kirin come diverse altre aziende si stanno già muovendo in questa direzione con un proprio piano strategico per promuovere un processo di assunzione equo, senza discriminazioni in base a sesso, nazionalità, disabilità o altre caratteristiche, e per far funzionare al meglio squadre di lavoro eterogenee. I vantaggi si misurano in termini di redditività e di reputazione. Nel 2017, la Coca-Cola ha lanciato in Brasile un’edizione limitata di lattine di Coca-Cola che però contenevano Fanta… Sulla lattina c’era scritto “Questa Coca-Cola è Fanta. E allora?”. Un’operazione di marketing ben pianificata e ben riuscita che ha rafforzato l’immagine della Coca-Cola quale brand inclusivo e ha sensibilizzato all’uso di un linguaggio rispettoso. “Essa Coca é Fanta” è un modo di dire denigratorio brasiliano per definire la comunità Lgbt+ che nasconde messaggi omofobi da non sottostimare.
L’articolo raccoglie parte delle interviste a Claudia Russo Caia e Norberto Villarrasa Justicia.