La negoziazione centralizzata di alcuni farmaci per l’emergenza covid-19 e dei vaccini per tutti i Paesi dell’Unione europea ha riacceso la discussione sull’opportunità o meno che ogni Stato membro continui a fare per sé. Soprattutto, ha messo in mostra quali sono i fattori che hanno fino ad oggi limitato questo possibile ‒ e non più teorico ‒ cambiamento. Ogni Paese ha procedure diverse e molto ben definite per valutare il valore delle nuove opzioni terapeutiche, e ogni nuova iniziativa che le metta a fattor comune non può prescindere eventualmente dalla ridiscussione sul piano politico di una nuova governance della salute di tutti i cittadini europei. Tuttavia, vale la pena cercare di capire con chi le studia da tempo, se e in che modo le iniziative fino ad oggi fatte possano favorire in qualche modo tale cambiamento.
Con la pandemia covid-19 abbiamo assistito a una centralizzazione nell’acquisizione di nuove terapie (vedi vaccini e remdesivir) che per la prima volta vengono acquistate e distribuite dall’Unione europea. Potrebbe essere l’inizio di cambiamento radicale nelle modalità di negoziazione del prezzo dei farmaci?
Il pricing, acquisto e distribuzione centralizzati a livello dell’Unione europea, al di là delle problematiche che ha comportato, non credo sia un’opzione praticabile nel breve-medio periodo, per almeno due motivi. Il primo è di natura istituzionale: il trattato di Roma, su cui poggia l’Unione europea, prevede che le competenze in materia di welfare siano dei singoli Stati membri. Il secondo è più sostanziale: considerata la diversa disponibilità economica dei singoli paesi, difficilmente i prezzi effettivi si allineeranno, a meno di non pensare ad un pricing teorico a livello europeo che rappresenti il prezzo massimo rispetto al quale i singoli Stati membri negozieranno poi il prezzo domestico. Questa seconda soluzione andrebbe in linea con la tendenza in atto di richieste di prezzo relativamente allineate a livello europeo da parte delle imprese, per evitare un cross reference pricing negli Stati membri, vale a dire la fissazione dei prezzi domestici sulla base dei prezzi negoziati al ribasso in altri Paesi perché caratterizzati da minori disponibilità economiche. La “centralizzazione” approvata dalla Commissione europea (Eu Regulation on hta amending directive 2011/24/EU), e in attesa di approvazione del Parlamento europeo, riguarda piuttosto la valutazione comparativa sotto il profilo clinico (joint clinical assessment) dei farmaci ai fini della successiva negoziazione del prezzo e del rimborso.
In cosa consisterebbe questa proposta di valutazione congiunta?
Nell’implementazione di una valutazione delle evidenze cliniche condotta a livello europeo vincolante (superata una fase transitoria) per i singoli Stati membri ed effettuata nella prospettiva dei pagatori (valutazione comparativa rispetto alle alternative esistenti) e non regolatoria in senso stretto (gestita dall’European medicines agency), che considera il rapporto assoluto beneficio/rischio dei nuovi farmaci. Tale valutazione centralizzata non riguarderà altri domini dell’health technology assessment (come i patient reported outcome and experience e la valutazione di impatto organizzativo), su cui è lasciata agli Stati membri la possibilità di cooperare volontariamente per un maggiore omogeneità nelle valutazioni, e non prenderà in considerazione l’impatto economico. Potrebbero esserci in futuro altre situazioni di emergenza tali da richiedere un intervento diretto sul pricing da parte dell’Unione europea, peraltro in applicazione del joint procurement agreement for medical countermeasures, ma non credo che il joint clinical assessment sia l’anticamera di una valutazione congiunta su tutti i domini di “valore” di un farmaco e di un intervento diretto su rimborso e prezzo.
Non credo che il joint clinical assessment sia l’anticamera di una valutazione congiunta su tutti i domini di “valore” di un farmaco e di un intervento diretto su rimborso e prezzo.
Quale potrebbe essere il modello di riferimento tra quelli sperimentati in Europa per l’acquisto dei farmaci?
Le principali recenti iniziative di collaborazione tra Paesi europei sono la Baltic procurement initiative, attivata nel 2012 e focalizzato sull’acquisto dei vaccini; la BeNeLuxA initiative, attivata nel 2015, con un focus su farmaci orfani, e con la successiva adesione anche di Austria e Irlanda; il Nordic pharmaceutical forum, lanciato nel 2018; il Visegrad – Fair & Affordable Pricing, attivato nel 2018; il gruppo associato alla Valletta declaration, firmata nel 2017, e rappresentato dai Paesi mediterranei con l’adesione di Croazia, Irlanda, Romania e Slovenia e, in qualità di osservatore, della Francia. Le due iniziative che sul tema del pricing e del procurement hanno ottenuto i maggiori risultati sono la BeNeLuxA initiative, con due programmi di acquisto congiunto (l’associazione lumacaftor/ivacaftor e nusinersen), e il Nordic pharmaceutical forum, con una cooperazione informale tra i paesi membri (e capofila la Danimarca) di acquisto di alcune molecole a basso costo, finalizzata non solo (e non tanto) ad abbassare i prezzi ma ad assicurare la fornitura. Si tratta comunque di iniziative molto limitate e che richiedono il mutuo vantaggio per pagatori e imprese e una visione comune rispetto alla coerenza tra valore e costo dei farmaci tra Paesi aderenti.
Le metodologie sviluppate durante il progetto EUnetHTA di cooperazione non potrebbero portare ad una maggiore collaborazione anche sul pricing dei farmaci e dei dispositivi medici a livello europeo?
EUnetHTA ha una lunga storia: nato come progetto europeo nel 2006 si è poi trasformato in una collaborazione per poi diventare una joint action in tre fasi, di cui l’ultima dal 2016 al 2020 (e proroga nel 2021). EUnetHTA ha prodotto documenti metodologici e format di valutazione importanti quali il core model per l’health technology assessment e le raccomandazioni per la valutazione comparativa rapida dei farmaci. Inoltre, ha implementato diverse attività, tra cui iniziative di early dialogue e di collaborative e joint assessment. A luglio 2020 è stato pubblicato l’ultimo rapporto sull’uso effettivo nei Paesi membri degli assessment EUnetHTA, rapporto che evidenzia di fatto un impatto piuttosto limitato. È dai limiti di un approccio collaborativo che nasce proprio la volontà di andare verso uno vincolante, con riferimento nello specifico alla valutazione comparativa clinica. Non mi è noto se e come EUnetHtA procederà in futuro. Se il Parlamento europeo approverà la proposta di regolamento, la valutazione comparativa clinica dovrebbe diventare vincolante (con una fase transitoria) ed EUnetHTA potrebbe mantenere un ruolo residuale complementare di network collaborativo su altri fronti.
Il problema dello scarso riutilizzo delle valutazioni collaborative di EUnetHTA verrà quindi risolto con l’obbligatorietà?
In parte sì, data la natura vincolante. Mi aspetto che la valutazione europea fornisca un chiaro indirizzo sulla lettura dei risultati clinici, la validità degli endpoint, la durata dello studio, la legittimità dei confronti indiretti, ecc. Gli Stati membri manterranno però la piena autonomia su come utilizzare tali evidenze nella negoziazione di prezzo e rimborso (per esempio se definire un ranking per il valore terapeutico aggiunto che istruisca l’applicazione di un premium price o incorporare il beneficio clinico nel rapporto incrementale di costo-efficacia per valutare la coerenza tra prezzo e tale rapporto). Ma almeno non dovrebbe esserci una duplicazione delle valutazioni critiche degli studi clinici nei Paesi membri (a livello sia nazionale sia regionale o locale).
La trasparenza (e riproducibilità delle decisioni) andrebbe soprattutto applicata al processo di valutazione e decisione di rimborso e prezzo.
Una trasformazione verso un mercato libero unico centralizzato garantirebbe una negoziazione del prezzo più equa e trasparente?
Come dicevo all’inizio non credo che arriveremo a una centralizzazione della negoziazione di prezzi e rimborso dei farmaci e delle altre tecnologie sanitarie. Nel 2019 il Ministero della salute, guidato da Giulia Grillo, aveva promosso presso l’Organizzazione mondiale della sanità una risoluzione per la trasparenza sul mercato di farmaci, vaccini e altre tecnologie sanitarie, ovvero dei prezzi effettivamente pagati. Il rischio è che la trasparenza piena dei prezzi effettivi costituisca un ostacolo al lancio e all’accesso di nuovi farmaci nei Paesi con minore disponibilità a pagare. E non è del tutto iniquo che ci siano Paesi che, a fronte di risorse simili, siano anche disposti a pagare prezzi più elevati, purché questo non si traduca nello scaricare totalmente l’onere di finanziamento di farmaci a valore aggiunto solo sui paesi a prezzo più elevato. Ciò che è importante è che, a partire da una visione comune delle evidenze, il processo negoziale di prezzo e rimborso sia trasparente. La trasparenza e, soprattutto, la percezione di equità nell’applicazione di criteri e processi negoziali sono molto importanti, soprattutto laddove l’esito di una decisione ha effetti sulla salute dei pazienti. In questo senso la trasparenza (e riproducibilità delle decisioni) evocata sul tema dei prezzi andrebbe soprattutto applicata al processo di valutazione e decisione di rimborso e prezzo.

Lo schema descrive il sistema di accesso dei farmaci al mercato dell’Unione europea (Ue) secondo la procedura centralizzata coordinata dall’Ema. Il Comitato scientifico per i medicinali per uso umano valuta il dossier presentato dall’azienda del farmaco, e trasmette il proprio parere alla Commissione europea che emana una decisione definitiva, con carattere vincolante, sull’autorizzazione all’immissione in commercio. Prezzo e rimborsabilità vengono definiti con modalità diverse all’interno dei singoli Stati membri. Per esempio, in Svezia e in Italia la valutazione parte da un prezzo predeterminato dall’azienda, mentre in Francia, Germania e Spagna il prezzo non è predeterminato ma viene prima valutato sulla base del valore terapeutico aggiunto e poi negoziato.

La negoziazione di prezzo e rimborso (e di altre condizioni di accesso) dei farmaci autorizzati è gestita da Aifa, con il supporto di due commissioni tecnico-consultive. A seguito dell’approvazione all’immissione in commercio del farmaco (in prevalenza centralizzata, dall’Ema), le imprese sottomettono all’Aifa, per la negoziazione, un dossier strutturato sulla base di quanto specificato dalla delibera Cipe 3/2001.