La salute nella sua dimensione sociale è il luogo in cui si realizza costantemente l’equilibrio tra l’interesse degli individui e l’interesse della collettività o, per dirla in altri termini, tra il privato e il pubblico, tra il particolare della malattia e della cura e l’universale della tutela della comunità, la sua protezione dalle malattie e dal rischio di malattia. Poiché questo luogo è anche, e in modo crescente, uno spazio economico, gli interessi che lo abitano sono anche quelli degli operatori economici, individuali e collettivi, quelli la cui salute è una condizione per produrre altrove e quelli che direttamente producono beni e servizi sanitari.
Esistono molti casi nei quali pubblico e privato trovano un terreno comune di reciproco vantaggio, ma accade talvolta che gli interessi confliggano, che garantire l’individuo esponga la comunità a un rischio o addirittura che interventi intesi a proteggere interessi individuali si traducano in un danno per quegli stessi individui, dallo screening per il tumore della prostata che aumenta il numero di interventi inutili e potenzialmente lesivi, all’uso degli antibiotici per le malattie respiratorie delle prime vie aeree che non cura la malattia ma facilita la selezione di germi resistenti, all’uso indiscriminato della densitometria ossea che trasforma spesso in malattia processi fisiologici di invecchiamento.
In ogni momento, nel complesso sviluppo dei sistemi sanitari, l’equilibrio prevalente verrà considerato dagli osservatori più o meno apprezzabile a seconda degli indicatori scelti per misurarlo e delle preferenze ideali con la quale questi indicatori vengono letti. Questo equilibrio non è spontaneo ed è invece il risultato delle scelte, della capacità di persuasione e del potere di quegli interessi che inevitabilmente e legittimamente concorrono a determinarlo.
Il peso delle parole
Sarebbe un errore considerare questa dialettica tra la dimensione pubblica e quella privata della salute come un dualismo “proprietario”: da un lato la sanità direttamente gestita da soggetti istituzionali, alfieri dell’interesse generale, dall’altra quella gestita da soggetti imprenditoriali in difesa dell’individuo in tutte le sue varianti. Non è così semplice sia perché la cosiddetta gestione pubblica utilizza molto ampiamente soggetti privati e la sanità privata è inestricabilmente intrecciata e integrata con quella pubblica da cui largamente dipende, sia perché le tensioni tra dimensione individuale e dimensione collettiva della salute sono diffuse in modo trasversale e indipendente dalla natura giuridica dei soggetti erogatori.
Sarebbe un errore considerare questa dialettica tra la dimensione pubblica e quella privata della salute come un dualismo “proprietario”.
L’equilibrio al quale si faceva riferimento riguarda il sistema nel suo complesso, le sue logiche e le sue priorità, il suo modo di intendere il proprio ruolo e i propri rapporti con i cittadini. Nel valutarlo e nell’esprimere sulle condizioni attuali di quell’equilibrio un giudizio di valore è difficile assumere un atteggiamento neutrale, lo stesso uso appena fatto del termine cittadino, nella sua apparente imparzialità, rivela una scelta ideale: la preferenza per una logica di mercato della salute come bene acquistabile suggerirebbe infatti il termine “cliente”, mentre quella per un approccio dirigista e paternalistico favorirebbe la passività del termine “utente”. Il cittadino è al contrario un titolare attivo di diritti, sia a livello individuale che collettivo, e la eventuale contraddizione tra questi due tipologie di diritto è una contraddizione intrinseca alla cittadinanza.
La lettura dei numeri
Se si prova a stimare come si collochi negli anni più recenti l’equilibrio tra pubblico e privato e si utilizza come criterio il riparto della spesa sanitaria è difficile sfuggire alla sensazione che l’asse si sia decisamente spostato a favore del privato. Il successo del privato riguarda sia la destinazione della spesa effettuata dal Servizio sanitario nazionale sia l’autonoma capacità dei produttori di assicurarsi quote aggiuntive della spesa direttamente effettuata dai cittadini. Per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, in presenza di una catastrofica riduzione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (figura 1), alcune componenti della spesa, non solo non si sono contratte, ma hanno al contrario registrato aumenti costanti anche dopo il 2008 (figura 2).
Due soli aggregati di spesa pubblica continuano a crescere anche dopo il 2008 e sono quello dei “consumi intermedi” e quello delle “altre prestazioni sociali in natura da privato”, proprio gli aggregati di spesa che comprendono la gran parte dei pagamenti ai fornitori esterni di servizi e agli erogatori di prestazioni.
Mentre gli stipendi scendono in termini assoluti da 38 a 35 miliardi di euro, i consumi intermedi salgono da 25 a 34 miliardi e le altre prestazioni da 22 a 25 miliardi. Il sistema sanitario pubblico sceglie apparentemente la strada della esternalizzazione alla ricerca di una maggiore efficienza operativa.
Anche la spesa privata dei cittadini, diretta e intermediata, continua però a crescere, sia in termini assoluti da 34 a 46 miliardi di euro sia a prezzi costanti dal 2008 (di circa il 20 per cento).

Figura 1. Spesa sanitaria pubblica in rapporto al pil dal 2000. Nel primo decennio la spesa è cresciuta arrivando nel 2010 a 113,1 miliardi di euro, con un incremento rispetto al 2000 del 66 per cento. Il rapporto fra spesa e pil è salito dal 5,5 al 6,6 per cento nel 2006 e al 7,1 per cento nel 2009, per poi decrescere con le manovre di contenimento della spesa sanitaria varate fra il 2011 ed il 2013. Fonte: Osservatorio sui conti pubblici italiani, Ministero dell’economia e delle finanze.
Dai bisogni di salute alle scelte
La spesa si sposta dunque verso i privati, ma cosa succede alla salute? Siamo di fronte a un altro successo? Come lo possiamo misurare?
La situazione per quanto riguarda la salute appare assai più variegata. Sarebbe forse interessante considerare in questa analisi gli effetti del sars-cov-2, ma sarebbe certamente ingeneroso e d’altra parte i dati ancora parziali di una epidemia del tutto nuova e in continua evoluzione non si prestano agevolmente ad un tentativo coerente di interpretazione. È forse più utile prendere in esame condizioni patologiche consolidate nella descrizione e nelle conoscenze come l’infarto e le malattie psichiatriche che si possano considerare epitomi di due situazioni per certi versi opposte di patologia, da un lato una condizione acuta che richiede abilità accanto alle competenze professionali, che prevede un grande impegno tecnologico, una adeguata organizzazione dell’emergenza, un luogo specifico e specificamente attrezzato di trattamento, dall’altro un insieme di disturbi cronici che pervadono la vita quotidiana delle persone che ne sono affette, nelle quali gli eventi acuti sono complicanze e nelle quali il paziente ha bisogno di attenzione, di accudimento e di presa in carico ancora prima delle tecnologie, spesso minime, farmaci nella gran parte dei casi, che concorrono a garantire il livello di salute possibile.
In che modo l’equilibrio tra gli interessi, nel modo in cui concretamente si realizza in questa fase di funzionamento del sistema sanitario, assicura la salute delle persone, difende la comunità, diventa protezione collettiva di un diritto?
Se si utilizzano i dati sulla salute nel Lazio elaborati dal Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale è possibile avviare una prima riflessione su questi temi e formulare alcune ipotesi certo parziali e provvisorie ma forse in grado di suscitare una discussione più approfondita.
Quando consideriamo i dati di mortalità per infarto e malattie psichiatriche nel Lazio e confrontiamo il quinquennio che precede la fase di riduzione del finanziamento e di crescente ricorso alla esternalizzazione e alla privatizzazione (2008-2012) con il quinquennio successivo (2013-2017) ci troviamo di fronte a due situazioni radicalmente diverse. Nel caso dell’infarto miocardico si assiste infatti, in tutte le aziende sanitarie della regione, a una sensibile riduzione della mortalità; nel caso delle malattie psichiatriche, ma questo capita anche per altre malattie croniche come il diabete, si osserva invece un diffuso aumento della mortalità.
Nel primo caso la composizione virtuosa degli interessi, pubblici e privati, si è realizzata nonostante la riduzione delle risorse disponibili; nel secondo questo non è avvenuto, il peggioramento dei destini individuali è diventato un problema di sanità pubblica.
Come si è determinato questo esito?
Certo nel caso dell’infarto si è determinato, almeno in parte, per la disponibilità di tecnologie nuove ed efficaci, ma in parte anche perché il fronte degli interessi scientifici, economici e professionali si è trovato virtuosamente allineato e gli interessi individuali dei pazienti si sono rilevati abbastanza autorevoli e vocali da essere ascoltati, da contribuire ad orientare verso soluzioni efficaci e in molti casi anche costo/efficaci le scelte di allocazione delle risorse. Il soggetto pubblico, il titolare della funzione di agenzia per conto della comunità che dovrebbe rappresentare ha avuto il compito, agevole, di assecondare un consenso già esistente e quello, meno agevole di contenere la spesa nei limiti delle risorse disponibili. Nel caso della malattia mentale il fronte era molto diverso, le voci professionali e gli interessi economici più deboli, i pazienti muti quando non silenziati e i loro interessi marginali.
In questo diverso contesto la debolezza della funzione pubblica di agenzia è emersa con grande chiarezza, si è evidenziata in particolare la carenza di un’autonoma capacità di analisi dei bisogni che fosse in grado di pesare sulle scelte, l’equilibrio si è purtroppo realizzato in un peggioramento delle condizioni di salute di una componente fragile della popolazione e il riferimento alla covid-19 è in questo caso davvero casuale.
Gli interessi individuali e le dimensioni private dei sistemi sanitari rappresentano una parte fondativa e non rinunciabile del problema di come garantire la salute delle persone e delle comunità.
Gli interessi individuali e le dimensioni private dei sistemi sanitari, in tutte le loro connotazioni, rappresentano una parte fondativa e non rinunciabile del problema di come garantire la salute delle persone e delle comunità, se facciano parte di una storia di successo o di un fallimento dipende dalla capacità di analisi, di valutazione e di governo di un’istanza che, a prescindere dal suo nome, riesca a trovare un equilibrio virtuoso tra queste sollecitazioni e la difesa di un interesse collettivo di salute pubblica.

Figura 2. Trend aggregati della spesa sanitaria pubblica (in euro). I differenti effetti del processo di contenimento della spesa sanitaria pubblica rispetto alle singole componenti che la costituiscono. Fonte: Ministero dell’economia e delle finanze.