Le decisioni che assumiamo vuoi nella pratica clinica, vuoi in politica sanitaria dovrebbero essere quanto più possibile basate su prove. Probabilmente non è superfluo ricordare che con questa parola intendiamo in primo luogo i risultati di studi che valutano l’efficacia e la sicurezza delle terapie, delle strategie diagnostiche, dei programmi di riabilitazione e di prevenzione messi in atto per promuovere e migliorare la salute del malato o, comunque, per alleviarne le sofferenze. Le prove sono dunque l’elemento cardine su cui dovrebbero basarsi le decisioni relative all’efficacia e la sicurezza, o, al contrario, all’inefficacia o al possibile danno degli interventi sanitari.
Qualsiasi studio deve esplicitamente darsi un obiettivo, direttamente collegato al quesito di ricerca e devono essere identificati gli esiti che ci si ripropone di misurare per valutare il raggiungimento o meno dell’obiettivo stesso. La definizione degli esiti è un aspetto fondamentale perché uno stesso esito può avere un valore diverso a seconda dei diversi soggetti interessati, medici, infermieri, farmacisti, decisori politici, pazienti e loro familiari e sarebbe opportuno tenere in considerazione i diversi punti di vista. Tuttavia, tra le non infrequenti asimmetrie che caratterizzano la sanità, anche quando si tratta di determinare gli esiti da misurare in uno studio, alcune voci sono più ascoltate di altre. La voce dei pazienti è certamente quella più trascurata. Eppure – fanno notare Porter, Larsson e Lee in un articolo uscito di recente sul New England Journal of Medicine – la determinazione del valore di un intervento sanitario non può prescindere dalla percezione del malato [1]. Da non molti anni è sollecitata una maggiore attenzione per i cosiddetti patient-reported outcome (PRO), una definizione-ombrello, come fa osservare il Patient-Reported Outcomes Methods Group della Cochrane: “L’espressione «esiti riferiti dal paziente» indirizza alla fonte della rilevazione piuttosto che al suo contenuto. Gli esiti riferiti dal paziente sono una terminologia utile per organizzare i numerosi concetti relativi all’ambito delle misure autoriferite, autoriportate, utilizzate nelle valutazioni dei trattamenti e nelle indagini sulla popolazione. […] La terminologia ‘esiti riferiti dal paziente’ permette innanzitutto di identificare che l’informazione raccolta proviene direttamente dal paziente” [2]. I PRO sembrano dunque identificare non tanto uno specifico strumento a supporto del miglioramento della ricerca sui servizi sanitari, ma un richiamo a metodologie strutturate e rigorose che permettano di chiedere in modo più sistematico e affidabile ai pazienti “come stanno”. In sintesi sono una valutazione del proprio stato di salute fatta dal paziente stesso che poco hanno a che fare rispetto alla scelta di misurare esiti che costituiscano un valore reale per la persona malata.
“Systematic outcomes measurements is the sine qua non of value improvement” [1] e se volessimo davvero rendere più spedita l’affermazione della value-based medicine dovremmo radicalmente migliorare il processo di determinazione degli esiti della ricerca clinica. Questo è l’obiettivo di chi sta lavorando alla standardizzazione di set di misure di esito (outcome) in rapporto alle diverse condizioni di malattia. Solo in questo modo potremmo arrivare ad una vera condivisione dei dati della ricerca e al loro confronto. È quanto viene sollecitato dagli autori della Perspective prima citata1, ma è anche l’oggetto del lavoro della collaborazione COMET, acronimo che sta per Core Outcome Measures in Effectiveness Trials’ Initiative [3]. È un progetto che ha l’obiettivo che tutti gli studi controllati randomizzati considerino i set di esiti essenziali scelti da panel rappresentativi dei vari soggetti interessati citati in precedenza. COMET è animata da persone provenienti da tutto il mondo e coinvolte a vario titolo in differenti aree relative all’assistenza sanitaria e sociale e si è sviluppato per due principali motivi:
- rendere disponibile una banca dati dove ricercatori, clinici e pazienti possano trovare i set di esiti essenziali già individuati o in fase di sviluppo;
- offrire materiali di supporto ai gruppi che lavorano per la definizione dei set di esiti essenziali.
Nelle revisioni sistematiche, ad esempio gli autori pre-definiscono gli esiti primari e secondari da prendere in considerazione per valutare l’efficacia e la sicurezza dell’intervento in studio e sintetizzano le prove disponibili presentando, se possibile, i risultati rispetto a questi esiti. Il fatto che questi esiti siano riportati o meno negli studi giudicati idonei all’inclusione nella revisione stessa, rappresenta quindi un punto essenziale del processo di valutazione di un intervento e sarebbe altamente auspicabile che gli esiti ritenuti di primaria importanza fossero considerati negli studi e che i risultati ad essi relativi fossero riportati in maniera omogenea. Se i risultati della ricerca devono influenzare la pratica clinica, gli esiti devono essere di valore per i pazienti, per i clinici, per le agenzie pubbliche o private che sostengono il costo dell’assistenza sanitaria e per le persone che, a livello di politica sanitaria, prendono le decisioni di carattere più generale.
Qualora gli esiti considerati nei singoli studi inclusi in una revisione sistematica non siano abbastanza simili tra loro diventa difficile, se non impossibile, confrontare e combinare insieme i risultati degli studi stessi. Per esempio: immaginiamo di voler sintetizzare i risultati di tanti studi diversi che hanno approfondito il problema dell’efficacia dei trattamenti per il mal di schiena. Alcuni studi possono aver considerato come esito “il numero di giorni di assenza di dolore”, mentre altri potrebbero aver valutato la maggiore o minore “gravità dei sintomi dolorosi”. Quando l’autore della revisione proverà a confrontare e a mettere insieme i risultati di questi studi, scoprirà che non è possibile farlo. La situazione in cui si trovano spesso gli autori di revisioni sistematiche è illustrata nella tabella sottostante che si riferisce ad una ipotetica revisione sul trattamento dell’emicrania. Si vede subito quali problemi incontreranno questi ipotetici autori se gli studi considerano esiti differenti. Questo è il motivo per cui spesso le revisioni sistematiche giungono alla conclusione che non vi è consistenza tra gli esiti considerati negli studi e che i ricercatori dovrebbero affrontare e risolvere questo problema nel momento in cui decidono di fare un nuovo studio. Se tutti gli studi relativi ad una particolare condizione clinica, utilizzassero gli stessi esiti per valutare l’efficacia o la sicurezza dell’intervento che stiamo studiando, i risultati sarebbero facilmente confrontabili e sintetizzabili in una revisione sistematica. Questo ridurrebbe lo spreco di risorse e consentirebbe di utilizzare al meglio tutta la ricerca disponibile.
L’insieme degli esiti principali che dovrebbero necessariamente essere considerati valutando gli interventi per una determinata condizione clinica viene definito “set di esiti essenziali” (core outcomes set).
Se tutti gli studi su una particolare malattia, come per esempio l’emicrania, misurassero e riportassero i risultati relativi a questo insieme di esiti essenziali, questo permetterebbe che:
- gli autori di revisioni sistematiche potrebbero confrontare i risultati di tutti gli studi disponibili, così da avere maggiore facilità nel comprendere quale potrebbe essere il miglior trattamento per quella patologia;
- evitare che alcuni studi scelgano di presentare i risultati solo per alcuni esiti e non per altri ugualmente rilevanti.
Decidere quali esiti debbano rappresentare gli esiti essenziali richiede una discussione ampia e condivisa. Come detto in precedenza, gli esiti essenziali devono essere rilevanti non solo per il personale sanitario ma anche per i pazienti e per chi si prende cura di loro. Purtroppo malati e familiari vengono raramente coinvolti in queste decisioni: una recente revisione sistematica sui set di esiti essenziali disponibili ha evidenziato che solo il 16% degli studi aveva coinvolto i pazienti nel disegnare lo studio stesso [4].
Una volta che si è raggiunto il consenso su un set di esiti essenziali relativi ad una determinata condizione clinica, la speranza è che i ricercatori li utilizzino in tutti gli studi relativi a quella particolare malattia, anche integrandone altri qualora lo ritengano necessario. Ad esempio nell’immaginaria revisione sull’emicrania, se ogni studio avesse considerato lo stesso set di esiti essenziali i risultati di quegli studi avrebbero potuto essere confrontati e combinati fra loro rispetto proprio a quegli esiti, fatto salvo che alcuni studi avrebbero potuto contribuire con informazioni su esiti aggiuntivi, come mostrato nella tabella. Alla lunga questo migliorerebbe la qualità dell’informazione sugli interventi sanitari e aiuterebbe a fare scelte migliori.
Se tutti gli esiti essenziali fossero sempre considerati negli studi, gli autori delle revisioni avrebbero accesso allo stesso set di dati per tutti gli studi e potrebbero confrontarne e sintetizzarne i risultati in maniera più completa, evitando il rischio di sprecare le risorse investite in parte dell’attività di ricerca. Inoltre, una più rigorosa determinazione degli esiti realmente rilevanti nelle diverse patologie renderebbe più difficile il ricorso a esiti di rilievo marginale o surrogati nella ricerca clinica [5], a esclusivo vantaggio dei malati.
Bibliografia
[1] Porter ME, Larsson S. Lee TH. Standardizing patient outcomes measurement. N Engl J Med 2016;347:6-8.
[2] Botturi D, Rodella S. Esiti riferiti dal paziente: cosa sono e come si misurano. Recenti Prog Med 2014; 105(6):233-42.
[3] comet-initiative.org
[4] Gargon E, et al. (2014) Choosing important health outcomes for comparative eff ectiveness research: a systematic review. PLoS ONE 9(6): e99111.
[5] Psaty BM, Weiss NS, Furberg CD, et al. Surrogate end points, health outcomes, and the drug approval process for the treatment of risk factors for cardiovascular disease. JAMA 1999;282:786-90.