“Ogni fallimento è un passo verso il successo. Ogni scoperta di ciò che è falso ci indirizza verso ciò che è vero: ogni prova ci mostra qualche allettante forma di errore. Non solo, quasi nessun tentativo può considerarsi del tutto un fallimento, quasi nessuna teoria, quasi nessun risultato di un pensiero analitico, è del tutto falsa; nessuna forma allettante di errore è priva di un certo fascino latente che nasce dalla Verità”.
— W. Whewell [1]
La società contemporanea ama il successo. Il successo definisce la persona, l’organizzazione, la cultura. È un obiettivo chiaro per ogni iniziativa che presuppone un risultato. È un indicatore con il quale misurare l’impatto, l’influenza e le conseguenze. Il successo si manifesta tanto con il raggiungimento tangibile di un obiettivo predefinito quanto con il suo esatto opposto, il fallimento. L’opinione comune è che il fallimento si debba evitare perché si deve raggiungere il successo ed entrambi non possono coesistere. In questo editoriale, mi soffermerò sul fallimento e affermerò che il fallimento ha un ruolo almeno altrettanto importante nella nostra esperienza, nell’istruzione e nello sviluppo professionale del successo, se solo sapessimo trarre, da questo, degli insegnamenti.
Veniamo esposti al concetto di fallimento a partire dalla scuola elementare, e presto ci rendiamo conto di come questo concetto possa influenzare il nostro progresso educativo. La mia generazione di studenti viveva nella paura di fallire i test, le interrogazioni e, in ultima analisi, nei voti, per il timore di rimanere indietro e dover ripetere l’anno scolastico. Questa nostra prima esperienza con il concetto di fallimento ovviamente fa sì che questo si permei di grande negatività. Definito in questo modo, il fallimento è semplicemente l’opposto del successo, una nozione che pone le basi per il ruolo del fallimento e la sua interpretazione per tutta la vita. Ciò è particolarmente vero per i medici e gli scienziati che, in quanto abituati ad avere successo, ce la mettono tutta per ottenerlo e implicitamente per evitare il fallimento in ogni sfida che affrontano. Solo la perfezione sarà sufficiente, perché il fallimento rende imperfetti i nostri sforzi professionali, la visione della realizzazione e il senso di noi stessi.
All’inizio del diciannovesimo secolo, il termine fallimento era comunemente usato per descrivere un “problema negli affari”, un fallimento aziendale o una bancarotta [2]. Nel corso del tempo, questa definizione puramente commerciale si è evoluta fino a riferirsi a mancanze personali, ai risultati raggiunti o a comportamenti morali. Come è avvenuto questo cambiamento? In che modo la nostra inadeguatezza finanziaria si è trasformata in inadeguatezza personale? Scott Sandage, nel suo libro “Born losers: a history of failure in America”, sostiene che, in parte, questa evoluzione riflette l’interpretazione del sogno americano dell’America del ventunesimo secolo.
Abbiamo bisogno del fallimento, “della parola e della persona […] per capire le nostre sconfitte e i nostri sogni”.
Sottolinea che i fallimenti “incarnano la paura americana che le nostre più care speranze e i nostri peggiori incubi possano essere la stessa cosa. Il sogno [americano] che equipara la libertà al successo […] non potrebbe né esistere né durare senza il fallimento”. Abbiamo bisogno del fallimento, “della parola e della persona […] per capire le nostre sconfitte e i nostri sogni” [3]. Spiegandolo con un paradosso darwiniano: “Non è sufficiente avere successo, per avere successo altri devono fallire” [4].
L’educazione americana contemporanea ha portato questa interpretazione all’estremo, facendo il possibile per eliminare il fallimento. Spinto dall’idea che le critiche scoraggianti (nel migliore dei casi) e il fallimento oggettivo (nel peggiore dei casi) comprometteranno un apprendimento efficace, l’istituto scolastico si è evoluto per ridurre al minimo la probabilità che gli studenti possano fallire un corso, una prova o un programma. Il fallimento, in questo ideale educativo, è considerato un riflesso dell’inadeguatezza istituzionale piuttosto che un vero limite di apprendimento dell’individuo. Mantenere l’autostima dello studente a tutti i costi è ormai da tempo il mantra dell’istruzione pubblica americana, e sebbene abbia avuto i suoi vantaggi, soprattutto per gli studenti che sarebbero stati gravemente danneggiati da un fallimento anche modesto, ha avuto anche degli svantaggi, creando una cultura di autoaffermazione del narcisismo tra molti studenti.
Negli ultimi dieci anni, questo cambiamento nella filosofia educativa si è spostato dalla scuola elementare alla scuola professionale e all’istruzione medica post-laurea. Piuttosto che assumere la vecchia filosofia “o nuoti o affondi” delle generazioni passate, noi come educatori medici dobbiamo ora essere maggiormente sensibili ai bisogni degli studenti, fornendo i nostri feedback critici nel modo giusto e al momento giusto. La sensibilità alle esigenze dei tirocinanti ha anche influenzato il processo di identificazione dei candidati per l’ammissione universitaria e le assegnazioni di borse di studio, anche presso le istituzioni più d’élite: gli studenti residenti e i borsisti vengono adesso reclutati, invece che essere selezionati come in passato. In questo modo, addolciamo la sfumatura del rifiuto, considerandolo come un fallimento del programma nel reclutare il candidato, piuttosto che come un fallimento del candidato nell’essere scelto dal programma.
Il fallimento è fondamentale per sviluppare la tenacia e l’autocontrollo necessari per interagire efficacemente con il nostro ambiente complesso e, come tale, è il vero “segreto del successo”.
Sebbene l’incoraggiamento sia, ovviamente, importante nella prima educazione e la critica costruttiva e positiva sia essenziale per ottimizzare l’esperienza di apprendimento, arriva un momento nello sviluppo di ogni persona in cui è necessario trasmettere critiche chiare e mettere lo studente di fronte al rischio di un vero fallimento. La complessità della vita, dal punto di vista biologico ed esperienziale, ci fa capire che questa è piena di incertezze e, durante il suo corso, ricca di possibilità di fallimento: fallimento nel soddisfare un’aspirazione o nel raggiungere un obiettivo. Come genitori, educatori e modelli professionali, non rispettiamo i nostri obblighi nei confronti dei tirocinanti a meno che non li istruiamo sull’importanza del fallimento, su come reagire e, soprattutto, su come trarne degli insegnamenti. Il fallimento è fondamentale per sviluppare la tenacia e l’autocontrollo necessari per interagire efficacemente con il nostro ambiente complesso e, come tale, è il vero “segreto del successo”, come ha sottolineato Paul Tough nel suo articolo sul New York Times del 2011 [5].
Un momento di riflessione porterà ad apprezzare quanto sia importante e pervasivo il fallimento nel normale corso della propria vita personale e professionale. In effetti, tra alcune professioni altamente specializzate orientate agli obiettivi, il fallimento è un risultato dominante e atteso. Nell’industria farmaceutica, il tasso di fallimento clinico per i farmaci che entrano nei test di fase 2 è stato segnalato essere dell’81 per cento per i 50 composti illustrativi che sono entrati nei test clinici tra il 1993 e il 2004 [6]. I battitori della Major League non riescono a colpire la palla il 75 per cento delle volte (la media di battuta nel baseball della Major League nel 2013 è stata di 0,253) [7]. I meteorologi hanno un tasso di errore complessivo riguardo la previsione delle precipitazioni del 15 per cento su 3 giorni, con precipitazioni previste ma non osservate il 43 per cento delle volte e precipitazioni osservate ma non previste il 10 per cento delle volte (considerando San Francisco, California, negli ultimi 3 mesi del 2011) [8]. Gli algoritmi di previsione degli economisti sanitari sono notoriamente impegnativi, con errori di previsione assoluti delle medie effettive che vanno dal 98 per cento [9] al 79 per cento [10].
La ricerca e l’innovazione nella scienza richiedono il fallimento, che deve essere insegnato, alimentato, compreso e integrato nel proprio paradigma scientifico.
Il fallimento, ovviamente, fa parte del metodo scientifico. Tutti gli esperimenti ben progettati sono inquadrati in termini di ipotesi nulla, che più spesso risulta essere vera. Esplorare le basi dei fenomeni biologici o delle malattie richiede lo stesso approccio e ha lo stesso basso rendimento dei risultati positivi. Ogni esperimento fallito cambia la prospettiva del ricercatore, aiuta a riformulare il disegno sperimentale e porta a un approccio sempre più raffinato al problema, restringendo iterativamente nel tempo le possibilità di uno studio fruttuoso. Le discipline ingegneristiche hanno portato questo processo all’estremo, avendo sviluppato il campo dell’analisi dei guasti utilizzando approcci di ingegneria forense [11]. Non importa quanto si creda che un investigatore sia stato perspicace, l’approccio scientifico è basato su processi informati ed errori, nel migliore dei casi, e quindi è invariabilmente soggetto al gioco del caso. Data l’importanza del fallimento nella ricerca scientifica e nella risoluzione dei problemi, non dovrebbe sorprendere che l’attuale strategia educativa di conservazione dell’ego, limitando il lavoro impegnativo dei corsi per ridurre al minimo i danni all’autostima, sia in contrasto con un’istruzione scientifica ottimale. La ricerca e l’innovazione nella scienza richiedono il fallimento, che deve essere insegnato [12], alimentato, compreso e integrato nel proprio paradigma scientifico. La comunità scientifica può raggiungere questo livello di comprensione solo se è consapevole sia dei risultati positivi (cioè quelli in cui l’ipotesi nulla è rifiutata) che dei risultati negativi (cioè quelli in cui l’ipotesi nulla non è rifiutata). Pertanto, la pubblicazione dei risultati negativi degli studi è essenziale per l’impresa scientifica, cosa non molto ben vista dalle principali riviste fino a tempi relativamente recenti.
I pregiudizi e i preconcetti guidati dal desiderio di ottenere un risultato ipotetico possono portare a significativi errori di tipo 1, che possono fuorviare la sperimentazione futura nella comunità scientifica. Considerando il fatto che uno scienziato è sempre più alla ricerca di un successo per un esperimento e sempre meno attrezzato per gestire un risultato negativo (che equivale a un esperimento fallito), c’è da meravigliarsi se i risultati sperimentali pubblicati siano sempre più spesso riconosciuti come errati o falsi? [13] Aggiungendo a ciò la grande importanza attribuita alla pubblicazione di articoli su riviste di maggiore impatto, che invariabilmente richiedono di dimostrare un’ipotesi in più sistemi utilizzando una varietà di metodologie internamente coerenti, qualsiasi sperimentatore ragionevole può facilmente capire come si sia verificato questo aumento di falsi risultati. Come può attestare chiunque abbia eseguito esperimenti scientifici su sistemi diversi (cellulare, animale o umano), una coerenza completa è straordinariamente rara a causa dell’imprecisione sperimentale, della variabilità biologica e del gioco del caso. Quindi, dalla lettura di questi eleganti studi in cui tutto funziona, si può concludere che alcuni dati devono essere sopravvalutati (o peggio, manipolati) o che i risultati più incoerenti dell’esperimento sono stati esclusi dallo studio pubblicato. Questo punto illustra ancora una volta come la paura del fallimento in un panorama scientifico sempre competitivo, con risorse sempre più limitate, possa fuorviare l’impresa scientifica.
L’assunzione di rischi e l’innovazione dipendono in modo particolare dal fallimento, ma in un ambiente fiscalmente conservativo come quello attuale, la vera innovazione è raramente ricompensata.
Il fallimento scientifico ha una dimensione più impegnativa che riguarda tutti noi, compresi gli investigatori più esperti. L’assunzione di rischi e l’innovazione dipendono in modo particolare dal fallimento, ma in un ambiente fiscalmente conservativo come quello attualmente esistente nell’economia statunitense, la vera innovazione è raramente ricompensata. Le proposte di sovvenzioni dei National Institutes of Health hanno maggiori probabilità di essere finanziate se si ritiene che la ricerca proposta soddisfi gli obiettivi specifici, rispetto a quelle proposte che affrontano ipotesi ad alto rischio con dati di supporto limitati. Anche nell’industria dove, si può sostenere, la ricerca ad alto rischio può essere eseguita più prontamente che in ambiti accademici, l’ambiente fiscale ha avuto un peso e le unità di ricerca e innovazione di molte importanti aziende farmaceutiche sono state ridimensionate o eliminate.
Gli investigatori biomedici, anche quelli di maggior successo accademico, sono dolorosamente consapevoli anche di fallimenti comuni di altro tipo. Il rifiuto di manoscritti per la pubblicazione, promozioni non accordate o ritardate e l’insuccesso da parte dei tirocinanti nell’assicurarsi posizioni desiderabili, sono tutti parte integrante della nostra vita accademica. Idealmente, ciascuno di questi fallimenti ci spinge a migliorare, fungendo da barometro con cui confrontare i progressi attraverso la professione.
Cerchiamo continuamente di chiudere il cerchio piuttosto che concentrarci sulle caratteristiche di un caso clinico che non si adattano al modello.
Il fallimento nella medicina clinica è particolarmente fastidioso sia per i tirocinanti che per i professionisti affermati. Come gli studenti di medicina, gli studenti residenti e i borsisti, continuiamo a mirare alla perfezione nella nostra esperienza educativa, considerando il fallimento come una carenza personale. Il pregiudizio entra nella nostra mentalità scientifica anche in questo campo, inquadrando clinicamente un caso nel contesto di diagnosi con cui abbiamo familiarità. Cerchiamo continuamente di chiudere il cerchio piuttosto che concentrarci sulle caratteristiche di un caso clinico che non si adattano al modello. Lo facciamo per ottenere conforto in un panorama clinico incerto, evitando il fallimento e la percepita inadeguatezza durante tutto il processo. Tuttavia, come medici, ci preoccupiamo di non aver preso la decisione migliore per i nostri pazienti, siamo preoccupati di aver sbagliato una diagnosi, aver letto male un risultato di laboratorio o scelto una strategia terapeutica non ottimale o, peggio, non corretta. Nessuno di noi desidera essere considerato un medico che ha deluso il proprio paziente.
Il fallimento è, tuttavia, un grande insegnante, soprattutto in medicina clinica. Ricordo chiaramente molti degli errori clinici che ho fatto, e quanto ho imparato da ciascuno di essi; i successi clinici sono molto meno memorabili e molto meno istruttivi. William Osler, in “A Way of Life”, ha scritto di tenere un diario dei propri errori, affermando che si dovrebbe “iniziare presto a dividerli in tre categorie: casi chiari, casi dubbi, errori […] [poiché] è solo raggruppando i propri casi in questo modo che si possono compiere progressi reali […] Solo in questo modo si può acquisire saggezza con l’esperienza” [14].
Da una prospettiva ancora più ampia e filosofica, il fallimento ha una grande importanza per una serie di ragioni. Costica Bradatan ne evidenzia alcune con acuta intuizione [15]. Il fallimento ci dà l’opportunità di vedere da vicino la nostra esistenza. È una lente attraverso la quale iniziamo a vedere i difetti del nostro essere altrimenti perfetto e perfettamente prevedibile. Quando il fallimento ci dà questa intuizione, mette in evidenza la minaccia esistenziale che insegue costantemente le nostre vite, offrendoci una pausa per considerare quanto sia straordinaria la vita. Per questo il fallimento può essere terapeutico, costringendoci a renderci conto che il mondo non gira intorno a noi, e ad allontanarci dall’arroganza sfrenata sostituendola con il conforto dell’umiltà.
“L’unico vero errore” che dobbiamo evitare “è quello dal quale non si impara nulla”.
Credo che dovremmo celebrare il fallimento. In effetti, dovremmo esortare i nostri studenti, tirocinanti e figli a concentrarsi sul fallimento e sul suo potenziale come esperienza di apprendimento, piuttosto che evitarlo a tutti i costi. Non possiamo evitare il fallimento e, se lo guardiamo attraverso la lente costruttiva dell’auto-miglioramento, non abbiamo bisogno di attutire il suo colpo sull’autostima. “L’unico vero errore” che dobbiamo evitare “è quello dal quale non si impara nulla” [16].
L’editoriale di Joseph Loscalzo “A celebration of failure” è stato pubblicato sulla rivista Circulation dell’American heart association, e tradotto per Forward su gentile concessione dell’editore.
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Bibliografia
[1] Whewell W. Lectures on the history of moral philosophy in England, Lecture 7. London, UK: JW Parker & Son, 1852.
[2] Alexander C. The Columbian Dictionary of the English language. Boston, MA: Thomas & Andrews, 1800.
[3] Sandage SA. Born losers: A history of failure in America. Cambridge, MA: Harvard University Press;2005:2.
[4] Murdoch I. The black prince. New York, NY: Penguin Books, 1973.
[5] Tough P. What if the secret to success is failure? New York Times, 14 settembre 2011.
[6] DiMasi JA, Feldman L, Seckler A, Wilson A. Trends in risks associated with new drug development: success rates for investigational drugs. Clin Pharmacol Ther 2010;87:272-7.
[7] Major League Baseball batting encyclopedia. Baseall-Reference.com
[8] Forecast accuracy for December 2011 for San Francisco, California, Usa. WeatherSpark Web site.
[9] Powers CA, Cleves MA, Helm M, et al. Prospective validation of eight different adherence measures for use with administrative claims data among patients with schizophreniavhe. Med Care 2005;43:1065-72.
[10] Bertsimas D, Bjarnadottir MV, Kane MA, et al. Algorithmic prediction of health-care costs. Operations Res 2008;56:1382-92.
[11] Otegui JL. Failure analysis: fundamentals and applications in mechanical components. Heidelberg, Germany: Springer, 2014.
[12] Gerber E. STEM students must be taught to fail. US News & World Report, 23 novembre 2011.
[13] Ioannidis JP. Why most published research findings are false. PLoS Med 2005;2:e124.
[14] Osler W. A way of life. Durham, NC: Duke University Press, 2001:320-321
[15] Bradatan C. In praise of failure. New York Times, 15 dicembre 2013.
[16] Powell J. The secret of staying in love. Allen, TX: Thomas More Press, 1990.