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Distanza Articoli

Le verità plurali della ricerca onesta

Le evidenze messe alla prova in giro per questo delizioso mondo

Luca De Fiore

Il Pensiero Scientifico Editore

By Giugno 2020Aprile 26th, 2022Nessun commento
Fotografia di Lorenzo De Simone

Le bravedonne

6:30 della mattina, provincia sud di Roma. Entro in un bar semivuoto e mi sono dimenticata la mascherina. Arrivo sulla soglia della porta e mi costituisco: “Ho dimenticato la mascherina” dico, senza avvicinarmi “che mi potrebbe fare un caffellatte lo stesso?”.

La signora al bancone, con la mascherina appesa all’orecchio mentre fa i cappuccini per tutti, scuote la testa in segno di grande disappunto. La cliente di fronte a lei, con la mascherina sotto il mento, le dà manforte ed entrambe scuotono la testa in segno di disprezzo e schifo per la mia dimenticanza antisociale praticamente insopportabile.

“Vabbè, che devo fa’? Me ne vado?” domando, tanto per sapere se devo morire di fame subito oppure se potrò fare colazione per la graziadiddio ancora un’ultima volta.

Il club delle perfette indossatrici di mascherine decide di farmi la grazia e di lasciarmi acquistare la mia colazione, che mangio fuori, perché si sa, l’aria fresca fa bene.

Così, una volta fuori, posso ricapitolare nella mia mente tutte le migliori scene che mi è capitato di vedere negli ultimi tempi in giro per questo delizioso mondo. Il mio premio mentale lo assegno a un signore che l’altro giorno sale in tram cercando di non toccare niente e cade rovinosamente a terra alla prima frenata perché appunto non si stava reggendo.

Non c’era nessun motivo valido per aiutarlo a rialzarsi.

E buongiornissimo a tutti.

Il caffellatte faceva cacare e il cornetto era ancora peggio.

Martina Lavagnini

 

 

L’anno che stiamo attraversando obbliga a riflettere sul significato di alternative solo apparentemente radicali: distanza e prossimità, claustrofobia e claustrofilia, restrizione e libertà. Avvicinandosi l’uscita dalla situazione di emergenza, la sensazione è di trovarci in una rotatoria dalla quale partono molte strade diverse: le alternative non sono binarie perché – come spiega Martina Lavagnini nel suo racconto lampo su mascherine e cappuccino – la pandemia ha prodotto una serie di “posture mentali” – come le definisce Pier Aldo Rovatti [1] – diverse come può esserlo il risultato della riflessione personale sulle molte verità incontrate in questi mesi.

L’etica pubblica non è delegabile ai governanti; inoltre, l’essere “pubblica” dell’etica non è una proprietà che viene prima delle pratiche civili dei singoli soggetti e le subordina. Pier Aldo Rovatti

Il confronto sull’opportunità di indossare una mascherina per proteggerci dal contagio spiega in modo esemplare la pluralità di punti di vista che si sono manifestati in questi mesi. “L’evidenza e l’accettabilità dei diversi tipi di maschera facciale nel prevenire le infezioni respiratorie durante le epidemie è modesta e contestata” dice Trisha Greenhalgh, medico e ricercatrice del Nuffield department of primary care health sciences dell’università di Oxford. “Ma covid-19 è una malattia grave per la quale attualmente non esiste alcun trattamento o vaccino: le morti sono in forte aumento e i sistemi sanitari sono sotto pressione. Di fronte a una situazione del genere, la ricerca delle ‘prove perfette’ deve lasciare spazio al principio di precauzione. Le maschere sono semplici, economiche e potenzialmente efficaci. Indossate sia in casa (in particolare da chi mostra sintomi) sia all’aperto, in situazioni in cui è probabile l’incontro con altri, possono avere un impatto sostanziale sulla trasmissione con piccole conseguenze sulla vita sociale ed economica”.

È stata pubblicata da poco sul Lancet un’importante e accurata revisione delle prove disponibili nella letteratura scientifica, tra cui 172 studi osservazionali, che esaminano come il distanziamento fisico, le maschere per il viso e i dispositivi per la protezione degli occhi influenzano la diffusione di covid-19, sars e mers nella comunità (quindi in spazi sociali aperti e chiusi) e in contesti assistenziali sanitari in 16 paesi [2]. Una distanza fisica di almeno un metro riduce il rischio di trasmissione covid-19, ma tenersi a una distanza da altre persone di almeno due metri potrebbe essere ancora più utile ai fini della prevenzione. Ad ogni metro di distanza in più il rischio si dimezza. Le protezioni per il viso e le maschere N95 sono essenziali per gli operatori sanitari garantendo una tutela superiore rispetto alle mascherine chirurgiche. Queste potrebbero proteggere i cittadini dal contagio della covid-19. Anche la protezione degli occhi è importante e può fornire ulteriori benefici, perché il rischio di contagio passa dal 16 per cento al 6 per cento indossando degli occhiali o uno schermo.

“Occorre sottolineare che la certezza delle prove è bassa per entrambe le forme di protezione” spiega Holger Schünemann, del Department of health research methods, evidence and impact della McMaster university e tra gli autori della revisione. “Questo vuol dire che la realtà potrebbe essere sostanzialmente diversa dall’effetto stimato in questo studio di sintesi. Ciò dipende dalla qualità metodologica degli studi che sono all’origine della revisione sistematica. È importante sottolineare che, anche se queste misure sono osservate correttamente, nessuno di questi interventi offre una protezione completa e altre misure di protezione di base – penso per esempio all’igiene delle mani – sono essenziali per ridurre la trasmissione”.

Ma, nonostante la qualità delle evidenze sia modesta, i risultati dovrebbero suggerire dei cambiamenti nelle linee guida? “Per gli operatori sanitari dei reparti covid-19, un respiratore dovrebbe essere lo standard minimo di protezione” ha commentato Raina MacIntyre– del Kirby institute dell’università del Nuovo Galles del Sud, in Australia. “Questo studio dovrebbe rendere necessaria una revisione di tutte le linee guida che raccomandano una maschera chirurgica per gli operatori sanitari che si prendono cura dei pazienti covid-19. Sebbene anche le mascherine chirurgiche proteggano, la salute e la sicurezza sul lavoro degli operatori sanitari dovrebbero avere la massima priorità e applicare il principio di precauzione. I respiratori e le maschere multistrato sono più protettivi delle maschere a strato singolo. Questo dato è fondamentale per dare informazioni corrette anche in merito al diffondersi di modelli di maschere di stoffa fatte in casa, molte delle quali sono a strato singolo. Una maschera di stoffa ben progettata dovrebbe avere un tessuto resistente all’acqua, strati multipli e una buona vestibilità del viso. L’uso universale della mascherina potrebbe consentire un allentamento delle restrizioni nelle comunità favorendo la ripresa delle normali attività e proteggendo le persone in ambienti pubblici affollati e all’interno delle famiglie”.

Dunque: evidenze deboli che, però, dovrebbero motivare a cambiare le linee guida per la prevenzione del contagio dei cittadini. Cosa che – almeno in certa misura – è successa, perché l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha in parte modificato le proprie raccomandazioni.

Dovremmo indossare maschere durante la pandemia covid-19? “È una questione molto, molto controversa” risponde Paul Glasziou, direttore dell’Institute for evidence-based healthcare della Bond university in Australia. “Prima di tutto, diciamo che ormai è ragionevolmente chiaro che le maschere facciali non forniscono molta protezione. È probabile che dipenda da molte cose, ma una questione decisiva è che il virus può entrare attraverso gli occhi, il naso o la bocca e la maggior parte delle maschere non garantisce alcuna protezione per gli occhi e fornisce solo una parziale protezione del naso e della bocca. Però, se tutti indossassimo delle maschere in determinati luoghi, proteggeremmo le altre persone se noi siamo ammalati. Quindi, la risposta è ‘probabilmente sì’. È necessario indossare maschere solo in circostanze molto limitate: quindi, direi che non è utile farlo all’aperto se la ventilazione è buona, ma può esserlo negli spazi affollati”.

All’inizio delle epidemie, l’Oms in realtà scoraggiava l’uso delle maschere da parte della popolazione generale ma oggi sembra aver cambiato idea. “Per l’Oms è stata una decisione molto complicata” prosegue Glasziou, “che ha dovuto prendere per garantire la priorità alla fornitura di maschere di buona qualità agli operatori sanitari e alle altre persone che avevano bisogno di quel tipo di protezione. È molto meno chiaro se una maschera fatta in casa fornisca sufficiente protezione. Le revisioni sistematiche lasciano davvero perplessi. Quindi, penso che l’Oms si sia trovata in una posizione difficile. L’evidenza di qualsiasi effetto, in particolare per le maschere di stoffa, era debole e se i cittadini le avessero usate correttamente non ci sarebbero state abbastanza maschere di qualità per tutti, perché devono essere usate in un’ottica usa-e-getta. La posizione dell’Oms è stata pragmatica”.

Se è prudente ricorrere al parere dell’esperto, è rischioso lasciargli l’ultima parola. Donatella Di Cesare

Perché le conclusioni della revisione sistematica di Glasziou [3] sembrano essere diverse da quelle del lavoro della McMaster? “Bene, guardiamo a quello che è comune”, risponde lo stesso Glasziou. “La conclusione di Holger è che le prove sono di bassa qualità, in particolare quando si valutano gli studi osservazionali che sono stati condotti. Questi sono proprio quegli studi che hanno suggerito benefici mentre le sperimentazioni randomizzate suggeriscono che qualsiasi beneficio sia minimo. Questo ci lascia in un dilemma e il problema è quindi cosa fare in presenza di evidenze deboli. Penso sia necessario trovare un punto di equilibrio: dobbiamo pensare agli svantaggi di indossare maschere, alla loro cattiva aderenza al viso, alla difficoltà di indossarle a lungo, al continuo toccarsi il volto da parte di chi le indossa, finendo poi con l’infettarsi con le mani toccandosi gli occhi. Quindi, nel bilanciare bassa qualità delle prove e aspetti negativi intrinseci delle maschere, vanno considerate quali possano essere le circostanze in cui raccomandarle. Per esempio, in situazioni affollate in luoghi chiusi o sui mezzi pubblici. Ma se esci in un parco a fare un picnic con i tuoi amici non c’è motivo di indossare una maschera. Abbiamo bisogno urgente di ricerche: per esempio sugli schermi facciali di plastica trasparente che hanno il vantaggio di essere riutilizzabili e potrebbero essere resi disponibili al pubblico molto più facilmente rispetto alle maschere chirurgiche”.

Riflettere su un tema come questo porta a ragionare su una evidenza sulla quale abbiamo inciampato casualmente in questi mesi: lo sguardo differente di esperti e ricercatori. I primi, sotto la pressione dell’opinione pubblica, ansiosa non solo di sapere ma anche di avere risposte certe, mostrano quasi invariabilmente sicurezze. I secondi sanno che “il risultato della propria ricerca è sempre parziale e provvisorio” [4]. La dialettica tra queste posizioni – sempre che siano basate su prove e interpretate con onestà e correttezza – potrebbe essere considerata un’opportunità, un valore aggiunto del sapere.

 

Bibliografia
[1] Rovatti PA. In virus veritas. Milano: Il Saggiatore, 2020.
[2] Chu DK, Akl EA, Duda S, et al. Physical distancing, face masks, and eye protection to prevent person-to-person transmission of sars-cov-2 and covid-19: a systematic review and meta-analysis. Lancet 2020;S0140-6736(20)31142-9.
[3] Jefferson T, Jones M, Al Ansari LA, et al. Physical interventions to interrupt or reduce the spread of respiratory viruses. Part 1-Face masks, eye protection and person distancing: systematic review and meta-analysis. MedRxiv 2020.03.30.20047217.
[4] Di Cesare D. Virus sovrano. L’asfissia capitalista. Torino: Bollati Boringhieri, 2020.