Difficile non accorgersene subito, la nostra vita quotidiana è già cambiata nel profondo. Meno tempo a disposizione per sé, più impegni professionali e domestici a casa, dunque minori possibilità di scelta. Covid-19 ha sparigliato le carte del nostro presente e del nostro futuro – individuale e collettivo – e ora le donne rischiano di dover affrontare uno scenario che le penalizzerà ulteriormente, facendole tornare indietro. Un rischio dunque da scongiurare subito, riflettendo insieme sulle possibili contromisure necessarie a far fronte all’impatto di questa emergenza. Perché è innegabile che il gap di genere, perpetuato dal persistere in Italia di alcuni specifici fattori culturali e sociali, assumerà d’ora in poi vecchie e nuove forme, rafforzandosi. Qualche dato.
Il fattore lavoro/economia
Come risulta dalla recente indagine dell’Istituto Toniolo (“Donne in prima linea”), in Italia il tasso di occupazione femminile (49,5 per cento) è già il più basso d’Europa, nonostante le donne siano in media più istruite degli uomini (sono il 60 per cento dei laureati). La ricerca sottolinea però che le donne lavorano in maggioranza nei settori meno retribuiti. In altre parole non necessariamente poco qualificati, ma di certo poco remunerativi (pensiamo per esempio alle numerose insegnanti). Oppure in settori oggi a maggior rischio chiusura, licenziamento, precarietà o temporanea inoccupazione per il rischio contagio (pensiamo solo al settore dei servizi, turismo, lavori di cura alla persona o domestici, quali le donne colf e badanti). Ma anche in settori oggi fondamentali come in sanità, quali medici e infermiere, con il pesante carico di lavoro e rischio che ora ciò comporta.
Il gap di genere, perpetuato dal persistere in Italia di alcuni specifici fattori culturali e sociali, assumerà d’ora in poi vecchie e nuove forme, rafforzandosi.
I fattori tempo e cultura: ovvero donne che lavorano troppo
Purtroppo ai nuovi disagi connessi all’emergenza sanitaria comuni a tutti si sommano oggi per la popolazione femminile i problemi connessi ai vecchi modelli familiari: le lavoratrici continuano a farsi carico in famiglia della maggior parte del lavoro domestico o di cura. Si calcola che tre donne su quattro non vengono aiutate da marito o partner. Ed ecco che lavoro dentro o fuori casa, il surplus di lavoro domestico, l’accudimento dei figli o anche solo l’abitudine molto italiana di ritenersi comunque la responsabile dell’organizzazione familiare e dell’eventuale divisione dei compiti trasformano la vita quotidiana di molte donne in una corsa ostacoli e un insostenibile susseguirsi di doveri. Come lavoratrice, genitore, caregiver ecc. Unica figura di riferimento, una sorta di manager a tutto campo che, a casa o da remoto, gestisce comunque l’universo familiare. Del resto un’altra indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, diffusa lo scorso 10 maggio, ha indicato che proprio perché nel periodo di quarantena le donne hanno lavorato ben più degli uomini (schiacciate fra gestione dei figli a casa, lavoro domestico e al contempo quello professionale a distanza) potrebbero essere presto indotte a rinunciare ad avere una occupazione.
Caregiver per necessità
Vi è poi il grande e irrisolto capitolo dell’assistenza a genitori anziani, spesso non autosufficienti o a familiari con disabilità (minori o adulti). Qui le abituali carenze dell’assistenza domiciliare si sono presto trasformate in voragini difficili da colmare. Una famiglia italiana su quattro nei giorni dell’emergenza ha dovuto rinunciare alla badante. Il rapporto di lavoro è stato interrotto nel 27 per cento dei casi o ridotto (dati dell’indagine “Caregiver e Covid”). Con l’annunciata riapertura graduale dei centri diurni per bambini disabili in molti casi la situazione potrà migliorare, ma resta comunque aperto il problema enorme della sicurezza e della salute degli assistenti familiari che riprenderanno servizio presso le famiglie. In caso di licenziamento, per motivi di sicurezza o economici, molte badanti donne perderanno purtroppo il lavoro. Ma molte donne diverranno per necessità caregiver a tempo pieno di familiari con disabilità più o meno gravi, perdendo l’autonomia economica e l’opportunità di un sostegno indispensabile per poter condurre anche una vita lavorativa e relazionale.
Risultato di tutti questi fattori? Sappiamo già che nelle prime settimane di riapertura statisticamente sono stati anzitutto gli uomini a poter tornare al lavoro e l’indagine indica perciò anche il pericolo della “discriminazione statistica”: cioè in questa situazione così sfavorevole per le donne molte imprese sono ovviamente indotte a preferire l’assunzione e promozione dei colleghi uomini per evitare maggiori probabilità di problemi o assenze. Vi stupite?
Dal distanziamento fisico può derivare un maggior distanziamento sociale (e isolamento) delle donne.
Se il budget familiare si restringe?
Ma l’effetto peggiore potrà certamente derivare dalla crisi economica e occupazionale attesa nei prossimi mesi, conseguente all’emergenza sanitaria. Finora si è ristretto anzitutto il tempo delle donne, ma per molte potrebbe presto restringersi la possibilità stessa di riacquistare tempo per sé, acquistando cioè il lavoro domestico e di cura femminile “sostitutivo”, grazie all’utilizzo di colf, baby sitter, badanti. Perché diciamoci la verità: nel modello attuale di gestione familiare nella maggior parte dei casi nulla è davvero cambiato. Finora abbiamo solo delegato ad altre donne (italiane o straniere ma con minori possibilità economiche) il lavoro tradizionalmente assegnatoci. Molte donne hanno fatto a meno dell’aiuto esterno durante il lockdown per timore del contagio. Ma ora, con il ritorno al lavoro in una situazione di “diversa normalità”, in molte famiglie che rischiano concretamente la disoccupazione o la chiusura di attività aumenteranno le donne che dovranno rinunciare a usufruire di un aiuto domestico. Dal distanziamento fisico per combattere il nuovo coronavirus può derivare così un maggior distanziamento sociale (e isolamento) delle donne.