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Spazi della cura ArticoliL'ultima parola

La città, il territorio e gli ospedali

Le relazioni tra i loro spazi e gli avvenimenti passati e futuri. Le città invisibili di Italo Calvino

By Maggio 2020Luglio 24th, 2020Nessun commento
Fotografia di Lorenzo De Simone

“… arriva ‘na signora vecchissima, c’avrà tipo ottantacinquanni, che se porta appresso un pischellone de 200 chili che me sa che nun ce sta tantissimo co’ la capoccia e fa tipo “Non so a chi lasciarlo, non vengono ‘sti giorni gli assistenti sociali, quindi…”. “Signo’, le dimo noi, la famo passa’, tranquilla, la famo passa’ senza problemi”. Invece uno dietro di me borbotta: “Secondo me s’affittano, io ‘sto pischellone già l’ho visto con n’artra, s’affittano pe zompa’ la fila te dico…”.

Insomma, una delle rivoluzioni ai tempi del coronavirus è che anche i parcheggi di fronte ai supermercati possono diventare luoghi di cura. Se i servizi sociali latitano, come dice Zerocalcare, i pischelloni saltano la fila insieme agli anziani che accompagnano. Meglio ancora se le strade mezze vuote sono percorse da quelli che portano la spesa a casa a chi è bene che non esca. I parcheggi accolgono anche prefabbricati per costruire reparti Covid-19 o percorsi per il triage. Reparti di chirurgia o pediatria si trasformano per l’emergenza. Il sistema sanitario scopre di essere flessibile. Ma un altro cambiamento ancora più radicale dovrà prevedere autobus numerosi e frequenti, treni per i pendolari non affollati, scuole con sapone, carta igienica e banchi più distanziati, medicina generale non più mortificata. Il territorio e la città come presidi della cura, fatti di relazioni tra i loro spazi e gli avvenimenti del passato e del futuro. D’ora in poi, le nostre case, le vie, i parchi che ci sono stati vietati avranno qualcosa in più da dirci: gli spigoli dei muri, i tavoli da pranzo diventati scrivanie continueranno a raccontarci di mesi che non avremmo voluto attraversare ma che avranno senso se a qualcosa serviranno.

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesano il percorso del corteo nuziale della regina; l’altezza di quella ringhiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba; l’inclinazione d’una grondaia e l’incedervi d’un gatto che si infila nella stessa finestra; la linea di tiro della nave cannoniera apparsa all’improvviso dietro il capo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia della cannoniera dell’usurpatore, che si dice fosse un figlio adulterino della regina, abbandonato in fasce lí sul molo. Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.

Italo Calvino Le città invisibili Milano: Mondadori, 1996