“Novilunio” è un’associazione senza scopo di lucro impegnata a promuovere la dignità, l’inclusione sociale e i diritti delle persone con demenza e delle loro famiglie. Secondo la nostra visione, chi riceve una diagnosi di demenza ha il diritto di essere informato sulla propria malattia e condurre una vita attiva, di qualità e senso, contando sul supporto di una comunità che include, sostiene e rende partecipi. Per questo motivo attiviamo gruppi di auto-mutuo aiuto, sensibilizziamo attraverso il blog sulla malattia e le opportunità nel territorio nazionale, coinvolgiamo persone con demenza e familiari in percorsi di empowerment. Altro obiettivo della nostra associazione è anche quello di favorire la progettazione e lo sviluppo di tecnologie digitali per il miglioramento della qualità della vita delle persone con demenza.
L’evoluzione dell’approccio novilunico alle tecnologie
Il nostro è un approccio alla tecnologia che da un lato presta particolare attenzione sull’unicità del singolo che riceve la diagnosi, nel suo contesto di vita e dall’altro integra sia gli strumenti che le aree di intervento del modello sociale a cui fa riferimento la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità.
Negli ultimi due anni abbiamo integrato nel nostro modello di intervento l’approccio partecipativo per la progettazione e realizzazione delle nuove tecnologie che verranno. Ci siamo evoluti in questa direzione perché il nostro sguardo di “esperti” dal punto di vista tecnico non può sostituire il punto di vista delle persone che devono utilizzare le soluzioni o risorse che stiamo proponendo. In altri termini, nessuno, a parte la stessa persona con demenza, può rispondere a queste domande con cognizione di causa:
- Di tutti i cambiamenti e disagi che stai vivendo a causa della demenza, qual è l’area che ti mette più in difficoltà? E qual è l’impatto nelle attività della tua vita quotidiana di questo determinato problema?
- Quali sono le strategie che usi di solito per affrontare queste difficoltà?
- Se pensi di aver bisogno di una mano per risolvere o compensare questo disagio, come vorresti essere aiutato?
Forse, per chi ci sta leggendo, queste potrebbero sembrare domande banali. Eppure queste domande sono tutto meno che scontate, soprattutto in un ambito controverso come quello delle demenze, in cui si dà per scontato che chi ha questa malattia non sia più in grado (o non abbia diritto!) di esprimere un parere o una preferenza rispetto a ciò che per lui o lei è importante per continuare a vivere una buona qualità della vita. Per alcuni addetti ai lavori potrebbero sembrare addirittura domande sovversive perché suggeriscono un cambio radicale di paradigma: invece di mettersi sulla cattedra, convinti di sapere già tutto e poter dare una risposta a tutto, a prescindere dalla persona o dal problema che si ha davanti, ci si mette seduti accanto a lei (o lui), con tutta la curiosità di cui si è capaci, e si discute non solo quali sono le aree della sua vita in cui vorrebbe avere un supporto (altro aspetto meno che scontato), ma le si chiede anche come desidera essere aiutata, in base alle specifiche risorse e capacità residue o di coping che riesce e vuole mettere in gioco.
L’evoluzione del progetto Remind: co-design e tecnologie
E’ proprio sulla base di queste premesse che dal 2017 abbiamo investito risorse ed energie per promuovere all’interno del progetto europeo Remind, l’approccio di co-design per la progettazione di nuove tecnologie e-health. Remind è un’iniziativa che coinvolge sedici partner da tutto il mondo operanti nell’ambito della ricerca, sviluppo, implementazione e commercializzazione di tecnologie assistive per chi convive con deficit di memoria. L’obiettivo del progetto è creare nuove opportunità di formazione e apprendimento per studenti dottorandi provenienti da tutta Europa, interessati a sviluppare soluzioni, sistemi e servizi a sostegno delle persone con demenza e delle loro famiglie.
Per la prima volta nella storia del progetto, gli studenti hanno potuto lavorare fianco a fianco con persone con demenza che li hanno aiutati a comprendere meglio come la loro malattia sia molto più complessa della versione riduttiva e bidimensionale coltivata dalla cultura attuale. (cfr. “The value of including people with dementia in the co-design of personalized ehealth technologies”, pubblicato sulla rivista scientifica Dementia and Geriatric Cognitive Disorders dove abbiamo spiegato più in dettaglio sia le premesse su cui poggia il nostro approccio al co-design che gli strumenti e metodi adottati)
Primo step di co-progettazione: workshop
Alla luce dei risultati incoraggianti raccolti nel 2018, per l’edizione che si è svolta nel 2019, dal 24 al 27 giugno, abbiamo fatto un ulteriore passo in termini di inclusione coinvolgendo i nostri esperti sul campo a partire dalla fase di identificazione degli ambiti di intervento su cui si è poi andati a lavorare durante la Remind summer school. A tal proposito abbiamo organizzato lo scorso aprile una giornata di workshop a Dublino in collaborazione con Alzheimer society of Ireland e l’Irish dementia working group.

Al workshop hanno partecipato insieme a noi anche alcuni partner del progetto Remind, tra cui tre professori dell’Università di Ulster, Chris Nugent, Direttore del Dipartimento del Computer Science Research Institute, Ian Cleland, esperto di Data Analytics, Paul Mccullagh esperto di etica, insieme alla professoressa Jane Walsh, Direttrice del m-Health Research Group presso il Dipartimento di Health Psychology dell’Università di Galway (Irlanda).
Durante l’incontro di Dublino sono stati selezionati quattro temi principali per l’edizione 2019:
- Vita indipendente: ovvero, come promuovere l’autonomia delle persone con demenza nelle loro attività quotidiane e nei loro ruoli fuori e dentro casa;
- Sicurezza: come trasformare la propria dimora in una casa che previene e protegge dai rischi associati al deterioramento cognitivo – ad es. cadute, incidenti domestici, rischio di perdere l’orientamento spazio-temporale, ecc.;
- Inclusione sociale: come aiutare chi ha una disabilità cognitiva a rimanere in contatto con i propri familiari e amici, con la propria comunità, e con chi si prende cura di loro;
- Vita attiva e tempo libero: come promuovere attività che abbiano un senso e un significato per la persona e che allo stesso tempo la aiutino a mantenere una vita sana, attiva e stimolante.
Nei quattro giorni di formazione, la faculty ha proposto un programma intensivo di workshop e seminari condotti da un gruppo di esperti provenienti da una dozzina di università, centri di ricerca e organizzazioni europee che hanno parlato di tecnologie intelligenti non solo dal punto di vista della progettazione, ma anche dal punto di vista di chi deve implementare e distribuire questo tipo di soluzioni all’interno di una comunità o di un sistema socio-sanitario locale o nazionale.
Secondo step: l’esperienza delle persone con demenza
Per preparare gli studenti al lavoro di co-design insieme alle persone con demenza e ai loro caregiver, sono stati organizzati alcuni momenti formativi che avevano l’obiettivo di aiutarli a superare eventuali preconcetti sulla demenza e avvicinarsi al mondo reale di chi si confronta con la malattia ogni giorno. Durante la prima sessione del programma, è stata invitata la Dott.ssa Helen Rochford Brennan, membro del gruppo di lavoro irlandese e attuale presidente del gruppo di lavoro delle persone con demenza di Alzheimer Europe (European Working Group of People with Dementia). Durante il suo intervento, dedicato alla tecnologia e ai diritti umani, Helen ha spiegato che per lei la tecnologia è soprattutto un mezzo efficace per stare in contatto con il mondo, per sapere cosa succede nella sua comunità, per leggere le notizie, ma soprattutto per coltivare relazioni con altre persone che convivono con una diagnosi di demenza o professionisti che si occupano in vari modi di deterioramento cognitivo: “È grazie all’uso dei social media che ho scoperto “la mia tribù”, ha commentato Helen con un sorriso. Grazie a tecnologie quotidiane come FaceTime, Helen può parlare ogni volta che lo desidera in videoconferenza con suo figlio che abita a Londra. “E’ proprio grazie a queste tecnologie che non sarò mai sola perché troverò sempre qualcuno connesso da qualche parte del mondo con cui parlare”. In tema di diritti umani, Helen ha raccomandato cautela sia nella progettazione che nell’adozione di tecnologie di monitoraggio perché, senza il consenso della persona con demenza, diventano mezzi alternativi di contenzione che infrangono la dignità, il diritto alla privacy e l’autodeterminazione delle persone che teniamo sotto osservazione. Da ultimo ha ricordato che, per quanto le tecnologie possano essere utili ed efficaci, è importante evitare che vengano sviluppate con l’obiettivo di sostituire le relazioni umane.
Dopo il discorso di Helen, si sono susseguite le presentazioni degli altri ospiti irlandesi i quali hanno descritto esperienze di malattia e caregiving molto diverse tra loro, non solo in termini di difficoltà ma anche in termini di contesti in cui tali criticità si manifestano e di strategie di coping che ognuno di loro mette in campo per affrontarle limitarne l’impatto.
Ad esempio, durante il suo intervento, Kathy Ryan ha elencato tutta una serie di fatiche quotidiane che la mettono particolarmente alla prova in questo periodo e per cui vorrebbe trovare una soluzione. Tra le criticità più pesanti ha descritto:
- la paura di cadere dalle scale di casa sua (vive da sola in una casa disposta su due piani) – paura che è diventata talmente grande da condizionare pesantemente le sue abitudini quotidiane.
- Negli ultimi tempi Kathy ha anche sviluppato una lieve disfagia che l’ha costretta a cambiare modo di preparare e consumare i suoi pasti.
- Anche l’incontinenza è diventata un problema perché costringe Kathy a fare i conti con una qualità della vita compromessa dalla continua preoccupazione di poter accedere facilmente a un bagno in caso di bisogno.
- Anche se continua a usare telefonino e computer, Kathy ha anche notato un rallentamento nelle sue capacità di scrivere messaggi ed e-mail e ha chiesto espressamente al gruppo di studenti e docenti di suggerirle tecnologie speech-to-text (ovvero di sintesi vocale) per ovviare a questo problema.
Nella parte finale del suo discorso, Kathy ha anche incoraggiato gli studenti a evitare di immaginarsi tecnologie complicate o sofisticate: “Concentratevi su soluzioni semplici che risolvono problemi davvero importanti per la persona che le deve usare. Ad esempio, tecnologie che mi aiutano a ricordare quando prendere i farmaci, caricare il telefono, chiamare persone o andare ad appuntamenti. Ma soprattutto, per una persona come me, che vive sola, è importante trovare modi per mettermi in sicurezza in caso di un incidente domestico… sarebbe bello se potessi affidarmi a una tecnologia facile da usare per chiamare qualcuno nel caso mi faccia male o cada dalle scale”.

Nel suo intervento, Kevin Quaid, 57enne e diagnosticato di demenza a corpi di Lewy, ha invece descritto quanto la sua vita sia difficile a causa degli incubi e delle allucinazioni causate dalla sua forma di demenza. Si tratta di disturbi che compromettono così tanto la qualità della sua vita che spesso Kevin ha pensieri suicidi perché non ce la fa più. Sono infatti già diversi anni che tiene duro e fa del suo meglio per superare questi continui momenti di crisi insieme a sua moglie Helena. Nella sua recente autobiografia “Lewy Body Dementia Survival and Me”, Kevin descrive i suoi sintomi allucinatori come veri e propri racconti dell’horror vissuti in diretta: “Sono esperienze che possono manifestarsi sia di giorno che di notte. Anche se ultimamente riesco a tenerle a bada grazie ai farmaci, a volte nemmeno la medicina è di aiuto e sono costretto a vivere nella paura: questa è per lui la sfida più grande che vivo ogni giorno”. Per Kevin, qualsiasi cosa può diventare una minaccia, tutto dipende dal suo stato mentale (un altro tratto comune della demenza a corpi di Lewy sono infatti le fluttuazioni frequenti sia in capacità che in energie per affrontare il qui e ora): “Anche se sono grande e grosso, in un attimo e per qualsiasi motivo, anche il più banale, posso sentirmi così piccolo e spaventato da trasformarmi in un bimbo di 3 anni. E’ tutto molto difficile da vivere giorno dopo giorno”.
Le difficoltà della malattia hanno un enorme impatto anche sulla qualità della vita di sua moglie Helena: “Ci sono dei giorni in cui Kevin soffre di incubi così feroci e distruttivi da farmi sentire impotente, senza speranze e incapace di affrontare una realtà così pesante. Questo è per lui, per noi, la nuova normalità. Per non farmi travolgere dalla negatività, devo ripetermi che non sono io la colpa di queste tremende esperienze, che non sono in grado di curare la malattia, né di controllare la situazione. Devo insomma concentrarmi sul fatto che tutto ciò che è in mio potere è fare del mio meglio per sostenere mio marito. Ci sono notti in cui Kevin non mi riconosce e vede invece un uomo o un intruso al mio posto – una persona che deve allontanare o da cui deve difendersi. Spesso ha incubi che mettono a rischio la vita di entrambi.”
Terzo step: il lavoro con gli studenti e i loro mentori
Prima di avviare i workshop, sono state date agli studenti alcune “istruzioni per l’uso” per orientarli al lavoro di gruppo, insieme agli esperti con demenza, ai loro caregiver e ai mentori a loro assegnati, affinché potessero immaginare soluzioni sostenibili da ogni punto di vista, basate su bisogni espressi, reali e coerenti con una delle quattro tematiche identificate. Tali istruzioni riassumevano alcuni aspetti fondamentali che spesso vengono sottovalutati o ignorati in fase di progettazione:
- Le persone con demenza e i loro coniugi-caregiver sono molto diversi tra loro, con priorità e bisogni contingenti a tutta una serie di fattori (personali, sociali, culturali, ecc.) che vanno molto al di là della malattia in sé e che determinano il successo o il fallimento della soluzione proposta per compensare un determinato deficit o disabilità.
- Ogni persona vive in contesti che determinano sia lo stile di vita che l’accesso a risorse dentro e fuori casa. Ad esempio: Kathy vive da sola e per molti versi avrebbe bisogno di un supporto molto più articolato rispetto a Ronan e Kevin che invece possono contare sull’assistenza continua delle loro mogli; Ronan vive in campagna e ama fare camminate e andare in bicicletta. Purtroppo entrambe queste attività lo espongono al rischio di perdersi in zone dove non c’è sempre il segnale gps.
- Le tecnologie proposte devono rispondere alle capacità tecnologiche (dette anche digital literacy) dei loro utenti. La complessità genera ostilità e aumenta significativamente il rischio di abbandono della tecnologia.
- I coniugi-caregiver hanno tanto bisogno di supporto quanto le persone con demenza. Ecco perché le tecnologie proposte devono essere progettate valorizzando la dignità e la qualità della vita di entrambi.
- Una volta identificata la possibile soluzione al problema, è importante chiedersi insieme ai diretti interessati (le persone con demenza e i loro caregiver) le seguenti domande: quali sono le possibili barriere che potrebbero impedire l’accesso o l’adozione di questa specifica soluzione? Quanto sono realistici e sostenibili i cambiamenti introdotti nello stile di vita o nel comportamento dalla soluzione proposta sia per la persona che per il suo caregiver e la sua famiglia? Cosa potrebbe andare storto se si adottasse questa soluzione?
Quarto step: le lezioni apprese e il progetto vincitore
Al termine dei quattro giorni di co-progettazione, i gruppi di lavoro hanno presentato cinque proposte di tecnologie intelligenti tagliate su misura sulle specifiche richieste fatte dagli esperti sul campo (Ronan, Kathy, Kevin, Miriam e Helena) che facevano parte del loro team. Rispetto all’edizione dell’anno precedente, durante la quale i nostri ospiti irlandesi hanno accompagnato a rotazione i lavori di tutti i gruppi per mantenere una certa neutralità sui singoli progetti, ognuno di loro è stato coinvolto in tutte le fasi di co-design di un solo progetto. In questo modo, nei singoli team si è creato livelli di comprensione dei bisogni e di collaborazione decisamente più elevati che hanno alimentato anche una sana – e divertente! – competitività tra gruppi, ospiti con e senza demenza, e docenti-mentori.
Di tutte le proposte che sono state presentate, quella che ha riscosso maggiore consenso è stata una tecnologia gps mirata a promuovere sia l’autonomia che l’inclusione sociale delle persone con demenza perché basata sul concetto di comunità che accoglie e sostiene chi ha difficoltà cognitive ed è a rischio di perdersi.
Stiamo ancora elaborando i dati per l’edizione 2020 della Remind summer school ma, da quanto abbiamo raccolto finora, siamo più motivati che mai a perfezionare il nostro approccio di co-design insieme ai gruppi di lavoro di persone con demenza internazionali. “Il niente su di noi, senza di noi” non può essere solo un bello slogan, ma deve diventare una buona pratica da applicare in ogni ambito di intervento in cui si progettano soluzioni per chi affronta le difficoltà di una demenza o di una qualsiasi altra disabilità o malattia. Non ha davvero senso realizzare tecnologie, servizi, prodotti senza coinvolgere i loro destinatari nel processo creativo di progettazione e sviluppo. Senza il loro input, si rischia di generare risposte inadeguate se non addirittura inopportune.
