L’attenzione non va posta solo sullo strumento ma ancora di più sul dato e sul modo con cui questo viene utilizzato.
L’ultima parola chiave dell’anno nasce sulla spinta di un editoriale del Lancet che presentava la sua ultima iniziativa editoriale totalmente dedicata alla digital health. Secondo molti la quarta rivoluzione industriale – strettamente legata alla crescita esponenziale della tecnologia digitale – avrà un’immancabile ricaduta sulla qualità della vita e dei modi di cura. Se tutto ciò è vero, la crescente capacità di immagazzinare dati, la velocità nella loro elaborazione complessa, unita all’uso di strumentazioni sempre più mobili e personalizzabili, dovrebbe decisamente ridefinire i processi di diagnosi e cura fino ad oggi operati.
Come al solito però al progetto Forward piace approfondire tutti gli elementi in gioco e senza pregiudizi, non accontentarsi dei semplici “effetti speciali”. In effetti, il rischio è quello di subire anche in questo caso un’innovazione in modo passivo e non arrivare preparati, non sapendo cogliere i reali benefici per la cura e l’assistenza.
Nonostante le promesse per la salute prospettate dalla digitalizzazione in sanità, gli sviluppi oggi disponibili hanno spesso trascurato la necessità di lavorare a un quadro regolatorio ed etico che garantisca l’uso appropriato di queste nuove tecnologie. In questo caso, rispetto al passato, l’attenzione non va posta solo sullo strumento ma ancora di più sul dato e sul modo con cui questo viene utilizzato.
In ultimo, sarebbe veramente strano che la paura di essere interpretati come un ostacolo all’innovazione limitasse la nostra capacità critica verso questi strumenti e prescindesse dall’esigenza di sperimentare per verificare nel tempo la reale efficacia e sicurezza dei nuovi approcci.