Qual è il ruolo di Cittadinanzattiva come costruttrice di network nell’ambito della salute?
Da più di quarant’anni Cittadinanzattiva si batte per la partecipazione civica e per la tutela dei diritti nel nostro paese. Siamo sempre partiti dall’idea che i cittadini non contano solo per votare e che il buon governo richieda un coinvolgimento attivo di tutti i soggetti interessati. Rendere partecipi i cittadini significa anche ridurre quelle stesse asimmetrie informative che spesso non permettono una corretta utilizzazione del Servizio sanitario nazionale. Se da un lato Cittadinanzattiva si batte per tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione civica e, dall’altro ha sempre sostenuto l’empowerment: un cittadino più informato e consapevole dei propri diritti, e indirettamente dei propri doveri, favorisce un buon governo dei sistemi e un migliore processo decisionale nell’interesse della collettività. La finalità dell’empowerment è proprio quella di fare “rete”, cioè coinvolgere i cittadini e le associazioni di cittadini affinché vidimino scelte prese da terze persone ma che li riguardano in prima persona.
Cosa significa lavorare sull’empowerment?
Vuol dire coinvolgere i soggetti laddove l’apporto delle loro conoscenze e competenze dimostra di poter agevolare un miglior governo dei sistemi. Cittadinanzattiva lo fa in diversi modi, per esempio coinvolgendo nelle campagne per la salute dei cittadini diversi stakeholder dell’ambiente scientifico, del mondo delle istituzioni e quello delle imprese. Pensiamo che l’empowerment e l’engagement producano non solo effetti diretti sulle attività stesse di Cittadinanzattiva, quali le campagne, ma anche effetti indiretti creando una comunità di persone che condividono un percorso comune e che, nel momento in cui vengono coinvolte, hanno la capacità di maturare punti di vista comuni permettendo di gestire al meglio le complessità che si potrebbero presentare di volta in volta.
Creare una rete di soggetti diversi con una visione comune del futuro per tutelare il diritto alla salute.
Una delle difficoltà nel fare “squadra” è la gestione dei conflitti?
Nel nostro paese il conflitto spesso viene visto come qualcosa da cui scappare, quando invece una “sana” dose di conflitto è fisiologica ogni volta che interlocutori con punti di vista e storie molto distanti si confrontano. L’importante è riuscire a mettere a fuoco qual è l’interesse generale e far sì che sia esso a guidare le azioni partecipate. Tutte le campagne di Cittadinanzattiva sono condotte in modalità multistakeholder, anche quelle finalizzate a cambiare le norme come per esempio “Diffondi la salute”. Questa campagna propone di riformulare l’articolo 117 della Costituzione, nella parte relativa alle materie di legislazione concorrente, come segue “tutela della salute nel rispetto del diritto dell’individuo e in coerenza con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione”: mettere l’accento sull’individuo per restituire la centralità alla tutela del diritto alla salute ed evitare che eventuali inerzie istituzionali compromettano l’esercizio di tale diritto. In questa campagna sono coinvolte più di 600 organizzazioni, da quelle dei professionisti sanitari, tra cui la Fnomceo, a quelle di pazienti, perché se il diritto alla salute è un bene essenziale per tutti l’unica possibilità per tutelarlo è creare una rete di soggetti diversi che costruiscono una visione comune del futuro.
Qual è la difficoltà maggiore nel mettere insieme stakeholder diversi con esigenze e aspettative diverse?
Non è facile perché presuppone l’adozione di un approccio strategico e non tattico. Ma un approccio strategico rispetto a quello tattico è legato a risultati nel lungo periodo e come tale genera inevitabilmente delle conflittualità ogni volta che una parte di questi soggetti si aspetta di ricevere dei benefici nel breve periodo. Inoltre lavorare sulla contaminazione dei saperi e sulla condivisione degli obiettivi richiede il superamento del modello dell’autoreferenzialità. Il partenariato, cioè la costruzione di reti, può essere un valido antidoto all’autoreferenzialità che non riguarda solo gli “altri” ma anche lo stesso mondo civico e le organizzazioni di tutela. Il rischio dell’autoreferenzialità c’è sempre quando si è proiettati ai benefici nel breve periodo (approccio tattico) come potrebbero essere un titolo in più sul giornale o una maggiore risonanza sui social.
Come fare networking con gli stakeholder istituzionali?
Serve essere laici, valutare il merito delle cose e dare sempre il beneficio del dubbio ai nostri interlocutori. Serve adottare un approccio proattivo, ma anche forte nella dialettica del confronto per lasciare aperta la discussione sulla possibilità di condurre un percorso comune che abbia come orizzonte l’interesse generale. Purtroppo però in molti casi l’istituzione pubblica si dimostra impreparata al dialogo con i cittadini. La sua visione è spesso quella del risk manager, che trova nel cittadino attivo non un semplice interlocutore ma un elemento di difficoltà. Quando invece andrebbe visto come un’opportunità e un alleato nel perseguimento di un obiettivo comune. Ma il coinvolgimento dei cittadini risulta utile soltanto quando riconosce loro, insieme con le istituzioni, un ruolo e una competenza per il governo della sanità.