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Network/Reti Articoli

Network medicine: una metafora che abbatte le barriere fra le discipline

Una nuova consapevolezza nello studio delle malattie, le quali diventano sistemi complessi di relazioni in evoluzione dinamica.

Sebastiano Filetti, Lorenzo Farina

Sapienza università di Roma

By Ottobre 2019Settembre 30th, 2020Nessun commento

Per rendere l’idea del cambiamento moderno del paradigma scientifico dominante in medicina potremmo senz’altro affermare – con linguaggio giuridico – che siamo in presenza di “indizi gravi e convergenti provenienti da fonti diverse e attendibili”. Se, infatti, in modo molto semplicistico affermiamo che la malattia risulta essere la conseguenza diretta di interazione tra gene e ambiente, in realtà nella pratica medica quotidiana siamo sempre più spesso di fronte a quadri patologici complessi, che riflettono le alterazioni degli equilibri nelle relazioni tra le varie componenti cellulari (a loro volta influenzate dai geni e dalle loro relazioni). E qui la parola chiave è relazioni.

Nuove espressioni della malattia
Questa nuova consapevolezza ci spinge infatti a guardare le malattie non più concentrandosi su una singola mutazione genica che produce effetti a cascata in una serie lineare di eventi ma, al contrario, sulle varie funzionalità cellulari e sulle interazioni tra le componenti responsabili di queste funzionalità. In altre parole, è soltanto osservando le alterazioni nelle relazioni complesse fra gli attori molecolari che possiamo pensare di trattare le malattie per ciò che esse sono: sistemi complessi di relazioni in evoluzione dinamica. D’altronde, siamo ormai tutti consapevoli che anche in altri sistemi complessi, come per esempio l’economia mondiale, i grandi cambiamenti non sono mai l’effetto di una singola causa ma di una molteplicità di cause che producono effetti importanti sulle relazioni globali fra le varie componenti della società e a livelli diversi, dal singolo agente economico, agli organi di governo transnazionali. Questa nuova consapevolezza nello studio delle malattie, in netta opposizione alla classica visione “riduzionista”, è propria della network medicine.

La relazione ritorna a prendere il suo posto al centro del palcoscenico della scienza.

Nata nei laboratori della Harvard medical school di Boston negli Stati Uniti, la network medicine consente di esplorare sistematicamente la complessità a livello cellulare e molecolare e di studiare le relazioni tra fenotipi patologici apparentemente diversi. Uno dei punti di forza di questa giovane disciplina è la rappresentazione di conoscenze eterogenee sotto forma di relazioni in una forma grafica molto semplice ma allo stesso tempo potente e suggestiva (la rete o network). Come si vede quindi, la nozione di relazione è al centro di questo nuovo ed entusiasmante programma di ricerca, come lo chiamerebbe il filosofo della scienza Imre Lakatos. E ancora: “poiché la maggior parte delle componenti cellulari sono connesse le une alle altre attraverso intricate relazioni a livello regolatorio, metabolico e proteina-proteina, l’analisi delle reti è destinata a giocare un ruolo chiave a livello cellulare” scriveva Albert-László Barabási in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2007 [1]. Proprio dalla comprensione dei limiti dell’approccio riduzionistico (del quale tuttavia nessuno vuole negare il ruolo chiave nel progresso della biologia e della medicina moderna), come ha sottolineato più volte Joseph Loscalzo, un altro grande pioniere della network medicine, nasce la necessità di integrazione tra la scienza delle reti e la medicina.

Dai ponti di Euler alla medicina
Ma che cos’è la “scienza delle reti”, alla base della network medicine? L’idea di fondo non è nuova e viene fatta usualmente risalire alle idee del fisico svizzero Leonhard Euler che nel 1736 pose un problema (i sette ponti di Königsberg) la cui soluzione portò proprio al concetto di rete (o grafo). In altre parole Euler inventò uno strumento matematico appositamente per risolvere il suo dilemma personale, proprio come Newton inventò le equazioni differenziali per risolvere il problema del moto dei pianeti. La scienza delle reti, a partire dagli anni 90, ha fatto in pochissimi anni passi da gigante, basandosi certamente sul lavoro di tanti scienziati del passato, motivata però dalla presenza di quella che oggi consideriamo la rete per eccellenza: internet. I ponti che collegavano i quartieri di Königsberg erano oggetti molto reali mentre i link che oggi collegano le pagine web sono oggetti evanescenti ed incorporei ed è quindi evidente che l’interesse maggiore si sia concentrato sul chi è collegato e non sul come. La relazione insomma, ritorna a prendere il suo posto al centro del palcoscenico della scienza. La grande intuizione della network medicine è quindi quella di aver saputo vedere la presenza di reti anche nelle relazioni fra le componenti cellulari e molecolari di un organismo, utilizzando quindi il concetto di rete come “metafora cognitivo-computazionale”: rappresentando i dati genetici, metabolici, proteomici, ecc. di ogni singolo paziente come una rete; è infatti possibile utilizzare tutta una serie di formidabili algoritmi in grado di fornire risposte, in tempi brevissimi e su immense quantità di informazioni, alle pressanti domande dei medici su prevenzione, prognosi, farmaci e terapie per molte malattie complesse, come il cancro o il diabete.

La sfida è quella di colmare lo spazio sempre più ampio fra il linguaggio medico/biologico e quello matematico/computazionale.

Prospettive e sfide per il futuro
Naturalmente gli ostacoli lungo la strada della network medicine sono moltissimi, trattandosi di una disciplina che possiamo considerare nella sua fase iniziale. L’ostacolo principale è rappresentato dalla difficoltà di comunicazione tra formazione medica/biologica e formazione matematica/computazionale; questa barriera rende difficile la formazione di gruppi realmente multidisciplinari, o meglio cross-disciplinari. La grande sfida, non solo nel mondo accedemico, è quella di creare sinergie tali da costruire gruppi, anche piccoli ma molto integrati, che possano trasformare idee biomediche in analisi computazionali e viceversa. La network medicine, con il suo carattere propriamente metaforico, si presta perfettamente a questo scopo e nei prossimi anni si assisterà alla formazione di professionalità distinte ma integrate capaci di dialogare nel nuovo linguaggio della relazione e dei flussi informativi fra componenti cellulari e molecolari a più livelli. L’Italia è in una posizione di avanguardia in questo settore, e in particolare la Sapienza università di Roma, che ha recentemente costituito un protocollo di intesa con l’Univeristà di Harvard e ha ospitato lo scorso anno la prima conferenza internazionale sulla network medicine e che, fra l’altro, ha portato alla costituzione di un centro interdipartimentale sulla medicina innovativa (Sapienza information-based technology innovation center for health, Stitch – web.uniroma1.it/stitch/) e ad un “network medicine consortium” internazionale di cui Sapienza è parte attiva e propositiva.

In conclusione, la contaminazione tra scienza delle reti e medicina ha portato alla definizione di nuove teorie e nuovi algoritmi, aprendo nuovi scenari nella comprensione di alcuni dei problemi che oggi siamo chiamati ad affrontare, come per esempio lo sviluppo delle resistenze alle terapie target da parte delle cellule tumorali. Questo nuovo approccio all’analisi e integrazione razionale dei dati molecolari e clinici si presenta quindi con tutte le carte in regola per operare una vera e propria “trasformazione della medicina”.

[1] Barabási A-L. Network medicine – From obesity to the “Diseasome”. N Eng J Med 2007;357:404-7.

Una rete alimentare parziale, nell’Atlantico del nord, che mostra quanto siano intricati i rapporti di predazione tra specie differenti. Le foche sono predatrici, oltre che del merluzzo, di circa 150 specie e molte di queste lo sono dei merluzzi. Quindi, ridurre drasticamente la popolazione di foche per aumentare quella di merluzzi non ha fatto altro che moltiplicare la pressione di altri predatori sulla specie che si voleva difendere.

Leggere un nuovo carattere: le reti

 

Che cos’hanno in comune i merluzzi dell’Atlantico e i social network? Quanto sono amiche due persone? Come si diffonde un virus? La risposta a tutte queste domande è in quattro lettere: rete. Le reti sono presenti nella sfera privata di ognuno di noi e a livello globale. Lo sostiene anche il fisico italiano Guido Caldarelli, dell’IMT di Lucca, uno dei massimi esperti di teoria delle reti complesse a livello internazionale. “Quando aggiorniamo i nostri profili social – dice Caldarelli –, chiediamo un prestito in banca o trasferiamo denaro, quando prendiamo i mezzi pubblici, consapevolmente o non, stiamo costruendo e usando le reti”. Su scala mondiale esse determinano la diffusione di una pandemia, attraverso gli aeroporti per esempio, o di un virus informatico. Sistemi che in apparenza non hanno nulla in comune, internet e le reti metaboliche, hanno sorprendentemente caratteristiche simili ma nascoste. Condividono la stessa architettura nelle interazioni. Questo “scheletro” specifica in un sistema quali parti interagiscono tra loro tramite la rappresentazione di reti complesse: come si possono controllare, studiare e capire?

Prendiamo in esempio il caso più celebre di overfishing, registratosi in Canada, che fece crollare il pescato di merluzzo della zona. Questo ebbe gravi ripercussioni sul resto dell’economia di settore, migliaia di persone persero il lavoro e l’ecosistema cambiò drasticamente. La prima soluzione, in apparenza più razionale, fu dare la caccia alle foche pensando che le due specie fossero collegate in modo diretto. Anni dopo, un gruppo di ecologisti dimostrò l’esatto contrario, attraverso la mappatura dei rapporti di predazione nell’Atlantico. Come spiega Caldarelli “gli ecosistemi sono reti complesse formate da specie diverse, è quindi fondamentale tenere in considerazione questa struttura se vogliamo comprenderli e gestirli”. È necessario osservare le interazioni tra gli elementi che compongono il sistema: singole entità che interagiscono tra di loro e con l’ambiente circostante possono dare luogo a comportamenti macroscopici (emergenti).

Le reti, permettendo di visualizzare le interazioni, sono la chiave per comprendere molti di questi fenomeni. Ponendo l’attenzione sulla struttura globale delle interazioni e trascurando i dettagli di ciascun elemento, si può utilizzare uno strumento unico (grafo) all’interno del quale vengono descritti i diversi sistemi – tramite nodi e archi. Rappresentare un sistema con un grafo ci permette di riconoscere macrostrutture che uniscono elementi in apparenza non correlati: nel 2013, un incidente nella rete elettrica svizzera causò un black-out che arrivò fino in Sicilia. Mettere il focus sulla struttura della rete permette di capire che elementi lontani sono in realtà vicinissimi (collegati da “sei gradi di separazione”), questo può essere dimostrato grazie alla rete delle relazioni sociali. “La scienza delle reti permette di studiare in modo quantitativo concetti che conoscevamo solo qualitativamente. Quanto siamo amici? Non si può rendere scientifico ciò che nasce emotivo, ma si può misurare quante email vengono inviate, quanti like o retweet vengono scambiati. Magari non si riesce a descrivere l’amicizia, ma si riesce a dare una misura, perfino a descrivere delle comunità che la pensano in modo simile”, conclude Caldarelli. Questo metodo si applica a moltissime discipline molto distanti fra loro: si possono osservare malattie diverse, si può misurare la sofferenza di un istituto bancario in crisi, si possono paragonare due nazioni in base ai prodotti che esportano, e molto altro ancora.

Le reti rappresentano quindi un nuovo strumento matematico universale in grado di analizzare e unire discipline diverse tra loro.

Le parole di Guido Caldarelli sono tratte dalle sue TEDxTalks tenutesi a Foggia e Bologna, e dal libro Scienza delle reti, di Caldarelli G, Catanzaro M. Milano: Egea, 2016.

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