In merito all’antinomia tra paura e coraggio in rapporto all’innovazione, di seguito riportiamo un’intervista a Eric Topol e John Mandrola, entrambi cardiologi ed entrambi figure di riferimento della comunità medica mondiale per le loro posizioni e riflessioni a proposito delle più recenti innovazioni in medicina. Pensiamo che, dai loro punti di vista complementari, possa e debba scaturire una discussione aperta, elemento di cui medici e pazienti hanno oggi più che mai bisogno per prendere decisioni basate su prove integre e più possibile informate.
L’atteggiamento umano verso l’innovazione è profondamente cambiato nel tempo attraverso l’alternanza tra sentimenti di paura, e conseguente chiusura, e un abbraccio acritico della maggior parte delle innovazioni. Dove siamo adesso e come, in medicina, possiamo distinguere le innovazioni di valore da quelle insignificanti?
ET In medicina, le aspettative nei confronti dell’innovazione sono molto cambiate nel corso del tempo. Perché un’innovazione venga accettata, oggi, è necessario che essa comporti sia un miglioramento degli esiti di salute sia dei costi più bassi. Al contrario, in passato, il fatto che un’innovazione soddisfacesse soltanto il criterio del miglioramento degli esiti di salute era considerato sufficiente per accettarla. Tuttavia, in questo momento, ci troviamo nel bel mezzo di una crisi economica che riguarda i sistemi di cura della salute, così che sia l’innovazione di tipo “frugale” sia persino tutto ciò che permette di risparmiare sui costi, anche in assenza di una modifica degli esiti, di salute sono destinati a essere considerati più favorevolmente.
JM Esiste una tensione tra innovazione e cura di scarso valore. Dopo due decadi di pratica in elettrofisiologia cardiaca, ho potuto testimoniare molti vantaggi dell’innovazione. Due delle procedure che svolgo più spesso, oggi, – la terapia resincronizzante cardiaca e l’ablazione della fibrillazione atriale – non esistevano quando ho iniziato il mio percorso di formazione. Tuttavia, entrambe queste procedure, oggi, rischiano l’estinzione: la meno costosa stimolazione del fascio di His [1] potrebbe sostituire la terapia resincronizzante e una modifica aggressiva dei fattori di rischio cardiometabolici [2,3] potrebbe rendere molto meno necessaria l’ablazione della fibrillazione atriale. È da notare che i progressi in cardiologia impallidiscono se confrontati con altri settori della medicina. L’infezione da hiv rappresentava in passato una sentenza di morte; adesso non più. E molti tipi di cancro sono stati trasformati in malattie croniche. Nei fatti, l’innovazione ha reso l’attuale un ottimo momento per essere malati. La tensione scaturisce dalla misura dell’entità di questi progressi. Molti avanzamenti, propagandati come “grandi vantaggi”, offrono solo benefici marginali o addirittura nessun beneficio. In un articolo scritto per Primary Care: Clinics in Office Practice [4], Andrew Foy della Penn state university e io abbiamo descritto come cure di scarso valore quelle cure che si collocano a livello della porzione piatta della curva. Le terapie molto costose, che tuttavia veicolano minimi vantaggi, si collocano sulla porzione piatta della curva di utilità. I test provocativi di imaging in pazienti con dolore toracico a basso rischio, gli stent medicati rispetto agli stent metallici, i sistemi di supporto meccanico per gli interventi a elevato rischio e farmaci “di marca” rispetto a quelli generici sono esempi di cure praticate tutti i giorni che si collocano nella porzione piatta della curva. Molte forze offuscano il valore reale di una nuova innovazione. La forza più ovvia, specialmente nel sistema statunitense, è il profitto. Negli Stati Uniti, purtroppo, molto in cardiologia è indotto dall’offerta anziché dalla domanda. Tuttavia il profitto non è l’unica forza che può offuscare il valore di una nuova terapia. Psicologi comportamentali hanno evidenziato che sia i medici sia i pazienti hanno difficoltà nell’esercitare il pensiero probabilistico. Se uniamo questo dato con la distorsione pervasiva [5], anche nota come linguaggio manipolativo, nella letteratura cardiologica, diviene semplice comprendere come un’innovazione possa essere sopravvalutata. In ultima analisi, le terapie davvero innovative (gli antibiotici, la riparazione delle fratture dell’anca, il posizionamento di stent nell’ambito dell’infarto miocardico acuto) si vendono da sole.
Il suo libro Deep medicine [6] si concentra su un’idea controintuitiva: la fiducia nel fatto che modelli futuri di intelligenza artificiale supporteranno i medici nel rendere la cura dei pazienti più umana. Cosa significa oggi, per un medico e per un ricercatore, essere coraggiosi?
ET Il problema che abbiamo di fronte riguarda il fatto che la medicina è stata disumanizzata attraverso l’abbattimento del tempo che medici e pazienti possono trascorrere insieme. Inoltre, questo problema riguarda anche una diminuzione del tempo che i medici possono dedicare alla riflessione sul caso che stanno esaminando. La conseguenza di questi cambiamenti è stata un’erosione grave e costante ai danni di questa relazione critica, basata sulla fiducia e sulla presenza, che necessita di essere ripristinata. Il dono del tempo che potrebbe derivare dall’intelligenza artificiale – grazie alla possibilità di delegare alcuni compiti alle macchine e dare ai pazienti sia la responsabilità dei propri dati sia algoritmi per supportarne l’interpretazione – costituisce una grande promessa per proiettarci nella direzione giusta (sebbene si tratti di un concetto controintuitivo e paradossale).
Il problema è che il vero progresso medico è difficile. — John Mandrola
In un suo articolo recente, “The case for being a medical conservative” [7], propone un punto di vista spiazzante: la necessità di essere medici conservativi durante un’epoca di grande innovazione. Cosa significa oggi, per un medico e per un ricercatore, essere coraggiosi?
JM Il nostro saggio sul medico conservativo è nato dalle parole di un importante giornalista che si occupa di salute, il quale ha paragonato la valutazione critica di evidenze fallate con il nichilismo. Questo ci ha molto irritato. I miei tre coautori del saggio sul medico conservativo e io non ci opponiamo al progresso né all’impresa privata o al capitalismo. Ci opponiamo invece all’accumulo della ricchezza privata quando essa avviene sotto il pretesto di “scienza”, senza che si verifichino miglioramenti significativi negli esiti di salute dei pazienti. Il problema è che il vero progresso medico è difficile. Non solo abbiamo appena attraversato un’epoca d’oro della medicina, per esempio grazie all’invenzione degli antibiotici, ma la natura ha dotato gli esseri umani sia di fantastiche proprietà curative intrinseche che di una data di scadenza. Questi due fatti hanno trasformato la sfida del cardiologo di oggi da “siamo in grado di fare questa procedura?” a “dovremmo fare questa procedura?”. Per quanto riguarda il coraggio, credo che questa sia una parola troppo forte. I guerrieri sono coraggiosi. Io definirei bravi medici quei medici che adottano i nuovi interventi solo quando questi ultimi hanno a supporto prove scientifiche forti e prive di bias; e definirei bravi scienziati quegli scienziati che abbracciano un esperimento non sulla base della positività dei suoi risultati, ma sulla base del vigore dei suoi metodi. La principale ragione per cui abbiamo motivato cosa significhi essere medici conservativi è che vogliamo legittimare i molti professionisti là fuori che si sentono oggetto di pressioni che li spingono ad accettare prove scientifiche poco convincenti. Recentemente ho dato un consiglio a un collega riguardo a una procedura che ritenevo non giustificata in un caso specifico. Lui ha immediatamente recuperato le linee guida sul suo smartphone dicendo che mi stavo sbagliando dal momento che la procedura in questione era codificata nelle linee guida. Il problema è che le linee guida spesso derivano da evidenze deboli. Troppo spesso vedo che le linee guida vengono usate per fornire cure che servono ad aiutare più l’ospedale e il medico che il paziente. Pertanto, abbiamo cercato di incoraggiare una valutazione critica delle prove scientifiche che stanno alla base delle linee guida. Abbiamo chiarito che mettere in luce i limiti di uno studio non è un attacco agli autori dello studio. Senza una valutazione critica della scienza che sia solida e indipendente, rischiamo di diffondere uno dei maggiori pericoli per la medicina: l’arroganza.
La tecnologia non può e non deve essere utilizzata in maniera indiscriminata. — Eric Topol
Nel campo biomedico, alcune innovazioni tecnologiche hanno contribuito a un’eccessiva rilevazione di anomalie di significato incerto, con un conseguente aumento dei rischi di sovradiagnosi e di sovratrattamento. In riferimento a queste problematiche incalzanti, in che misura dovremmo incoraggiare lo sviluppo dei sistemi di salute digitale e in che misura dovremmo invece temerli?
ET Dobbiamo sempre essere consapevoli di un sovrautilizzo della tecnologia e della possibilità che questo generi falsi positivi e rilievi incidentali. In questo momento, questa problematica è molto sviluppata, quella che io definisco “shallow medicine”, perché molti test diagnostici vengono richiesti in maniera automatica, senza che prima ci sia stata un’adeguata riflessione. La tecnologia non può e non deve essere utilizzata in maniera indiscriminata ma, piuttosto, anch’essa ha bisogno di essere applicata in modo molto selettivo, su base individuale, e soltanto dopo che sia stata attentamente e rigorosamente validata.
JM Il progresso medico ha reso l’attuale un ottimo momento per essere malati. L’altro lato della medaglia è che la tecnologia rende molto rischioso star bene in questi anni. Ciò è avvenuto a causa delle “malattie impercettibili”. In passato, una persona senza sintomi non aveva niente da temere quando andava dal medico. Adesso, invece, anche chi “sta bene” potrebbe essere affetto da numerose potenziali malattie – che possono essere indagate e trattate. Creare delle malattie crea paura. E la paura distrugge la capacità di prendere buone decisioni. Un vaso ematico lievemente dilatato viene definito aneurisma; un lieve innalzamento del livello di zucchero nel sangue è etichettato come prediabete; il risultato istologico anormale di una biopsia del seno è un carcinoma duttale in situ, e persino un livello di pressione di 135 mmHg può essere definito ipertensione. Questi cambiamenti potrebbero essere fatti sulla base di buone intenzioni, ma abbassare l’asticella di ciò che definiamo malattia pone la società ad alto rischio di iatrogenesi. La confusione risiede nella natura continua di questi parametri. Trattare l’ipertensione arteriosa grave, l’iperglicemia e i grandi aneurismi genera senza dubbio benefici, semplicemente perché i danni derivanti dal non-trattamento sarebbero più rischiosi che i danni derivanti dal trattamento. Ma, nel momento in cui noi abbassiamo la soglia che riguarda coloro che riceveranno un trattamento, il calcolo del rischio-danno pende verso il danno. La rivoluzione digitale peggiora questo problema. Quasi ogni settimana ricevo un messaggio nella cartella clinica informatizzata che mi allerta riguardo a un episodio di breve durata di fibrillazione atriale. In passato non abbiamo mai avuto questo tipo di problema: la fibrillazione atriale richiedeva che un paziente percepisse qualcosa, andasse dal medico e fosse sottoposto a un elettrocardiogramma che registrava l’aritmia, che però doveva essere abbastanza duratura per innescare l’attenzione del medico. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che trattare con anticoagulanti i pazienti con fibrillazione atriale e fattori di rischio per ictus cerebrale fornisce un beneficio netto perché la riduzione del rischio di ictus è maggiore dell’aumento del rischio di sanguinamento. Adesso, orologi, applicazioni degli smartphone, cerotti che registrano l’elettrocardiogramma e la telemetria associata ai pacemaker ci permettono di rilevare episodi di fibrillazione atriale di durata molto breve. Tuttavia non sappiamo se trattare questi pazienti con anticoagulanti fornirà lo stesso beneficio netto. Se ci sbagliassimo, e l’anticoagulazione fosse associata a un danno in questi milioni di pazienti, l’entità del danno collettivo potrebbe essere enorme. La mia più grande preoccupazione circa la diffusione della tecnologia e il monitoraggio che ne deriva non è il danno clinico diretto. Ma è ciò che il filosofo Ivan Illich ha definito iatrogenesi sociale e culturale [8]. In particolare, Illich riteneva che le persone realmente in salute si adattassero all’invecchiamento, alla guarigione quando feriti, alla sofferenza e infine alla pacifica attesa della morte. Ma, nel momento in cui la medicina, attraverso i suoi mezzi tecnologici, trasforma il dolore, la malattia e la morte da una sfida personale a una sfida tecnologica, la pratica della medicina sottrae alle persone il potenziale che hanno di affrontare la condizione umana in maniera autonoma. Credo che Petr Skrabanek lo abbia detto meglio di tutti: “la ricerca della salute è un sintomo di insanità” [9]. Nel mio lavoro quotidiano di cura di pazienti affetti da aritmie cardiache, spesso consiglio alle persone di scollegare i dispositivi – e di uscire e godersi la natura senza alcun dato. Potrei sbagliarmi, ma la medicina resterà pura – persino meravigliosa – nel momento in cui trattiamo i malati, coloro che vengono in cerca del nostro aiuto. Al contrario, la medicina sarà pericolosa se diremo a coloro che non hanno nulla di cui lamentarsi che hanno bisogno del nostro aiuto.
Camilla Alderighi, Raffaele Rasoini
Bibliografia
[1] Upadhyay GA, Vijayaraman P, Nayak HM, et al. His corrective pacing or biventricular pacing for cardiac resynchronization in heart failure. J Am Coll Cardiol 2019: 26230.
[2] JPathak RK, Middeldorp ME, Meredith M, et al. Long-Term eff ect of goal-directed weight management in an atrial fibrillation cohort: a long-term follow-up study (Legacy). Am Coll Cardiol 2015;65:2159-69.
[3] Pathak RK, Elliott A, Middeldorp ME, et al. Impact of CARDIOrespiratory FITness on arrhythmia recurrence in obese individuals with atrial fibrillation: The CARDIO-FIT Study. J Am Coll Cardiol 2015;66:985-96.
[4] Foy AJ, Mandrola JM. Heavy heart: the economic burden of heart disease in the United States now and in the future. Prim Care 2018;45:17-24.
[5] Khan MS, Lateef N, Siddiqi TJ, et al. Level and prevalence of spin in published cardiovascular randomized clinical trial reports with statistically nonsignificant primary outcomes: a systematic review. JAMA Netw Open 2019;2: e192622.
[6] Topol E. Deep medicine. How artificial intelligence can make healthcare human again. New York: Basic Books, 2019.
[7]. Mandrola J, Cifu A, Prasad V, Foy A. The case for being a medical conservative. Am J Med 2019;S0002-9343(19)30167-6.
[8] Illich I. Medical nemesis. Lancet 1974; 303:918.
[9] Skrabanek P. The death of humane medicine and the rise of coercive healthism. London: Social Affairs Unit, 1994.