La sostenibilità vista dagli operatori sanitari e dai cittadini
Manca lungimiranza culturale: quasi sei persone su dieci considerano questo l’ostacolo maggiore allo sviluppo sostenibile, secondo i risultati preliminari della survey di Forward. C’è un consenso diffuso sulla mancanza di una reale volontà politica di usare correttamente le risorse.
- DESCRIZIONE DEL CAMPIONE
Il questionario della survey includeva otto domande sulla sostenibilità, di cui sei vertevano sulla sostenibilità del Ssn. Complessivamente hanno risposto 838 (età media 54 anni) iscritti alle newsletter elettroniche del Pensiero Scientifico Editore inviate periodicamente ad operatori sanitari, documentalisti, giornalisti e cittadini interessati ai temi che riguardano la medicina e la sanità. Le categorie professionali più rappresentate nel campione sono: medici clinici (31%), infermieri e ostetrici (17%), epidemiologi (15%) e dirigenti sanitari (14%). I rispondenti provengono per il 54% dal nord dell’Italia, per il 32% dal centro, per il 9% dal sud e per il restante 5% dalle isole.
- ANALISI DEI RISULTATI
Più della metà del campione ha risposto che il maggiore ostacolo allo sviluppo sostenibile nel nostro paese è la lungimiranza culturale (D 1), e inoltre si trova d’accordo con l’affermazione che “La sostenibilità è un problema di scelte: le risorse ci sono ma manca la volontà politica di usarle correttamente” (D 2).
Entrando nel merito della sostenibilità di un servizio sanitario pubblico su base universalistica il fronte di chi è convinto che il problema sia nei governanti (ma, dopotutto, anche nei cittadini che loro rappresentano) si incrina un po’ (D 3). Ma questa “volontà politica” verso quali voci di spesa dovrebbe indirizzarsi? I due centri di costi nettamente più considerati sono le prestazioni diagnostiche e i medicinali e dispositivi medici; meno di un rispondente su dieci ha indicato nel personale sanitario una voce di costo da tenere sotto controllo (D 4).
Ma la causa maggiore dell’insostenibilità del Ssn non viene attribuita tanto ai costi delle nuove tecnologie diagnostiche o delle nuove terapie, quanto piuttosto all’invecchiamento della popolazione (D 5), a conforto di quanto spiegato da Giuseppe Costa: c’è poco da fare, “la speranza di vita rende tutto più complicato”…
“Per aumentare l’effi cienza dei processi di cura si deve partire non dalla razionalizzazione delle singole voci di costo ma dal concetto di utilizzo appropriato di tutti gli elementi che entrano in gioco nel percorso di assistenza”, scrive Patrizia Ponzi auspicando la progressiva adozione dei Pdta e dei percorsi assistenziali integrati. Più di un intervistato su tre è di questo stesso parere, ma in molti segnalano il rischio che la nuova organizzazione delle cure primarie possa penalizzare i cittadini, riducendo le prestazioni loro offerte (D 6). Riducendo le prestazioni utili, s’intende, perché una maggiore attenzione nel “consumo di medicina” potrebbe invece giovare alla sostenibilità: solo il 14% delle risposte alla survey non crede che il consumo di farmaci e il ricorso a prestazioni e ricoveri sia un problema (D 7). Se sul “deprescribing” di medicinali e diagnostica non tutti sono d’accordo, il quadro cambia quando l’oggetto di attenzione diventa la medicina d’iniziativa (D 8): più consapevolezza e più prevenzione aiuterebbero a rendere sostenibile il sistema.