L’Azienda ospedaliera universitaria pisana conta circa 4900 operatori, di cui oltre mille medici e una presenza di specializzandi e dottorandi rilevante, e registra oltre 50.000 ricoveri annui. Delle tre aziende ospedaliere universitarie toscane è quella con il più elevato indice di attrazione di pazienti da fuori regione.
Quali problemi di sostenibilità pone a chi lo dirige un sistema complesso qual è l’Azienda ospedaliera universitaria pisana?
Indubbiamente vi è una sostenibilità finanziaria per chi ha responsabilità dirigenziali, specie in un’azienda complessa. In questi giorni stiamo effettuando una serie di incontri programmatici con gli operatori e il messaggio che diamo è quello di condividere i vincoli del sistema, di tenere insieme – questo è molto importante – le persone verso un obiettivo comune. Una cosa che può apparire ovvia, ma che è forse la più complessa e di grande rilevanza.
All’interno di questo orientamento generale immagino che vi siano poi strategie attraverso le quali declinare la sostenibilità.
Vi sono molteplici livelli che potrei definire in questi termini: macro, medio e micro. Una scala dimensionale per intenderci, ma non gerarchica. Inizio dal livello macro, che ci tocca in modo rilevante. Noi abbiamo un progetto per unificare, qui a Cisanello, la struttura ospedaliera che attualmente ha in funzione anche il polo di Santa Chiara, localizzato in centro città, in prossimità di piazza dei Miracoli e quindi della cattedrale di Pisa. Un progetto in fase di appalto con passaggi di tipo giuridico e i contenziosi, purtroppo consueti, fra imprese con sentenza del Tar e ricorso al Consiglio di stato. In tale sede abbiamo fatto presente che più mandiamo avanti la non riunificazione della sede, più risulta rilevante e difficilmente sostenibile, in termini economici – ma non solo –, la duplicazione di servizi, i costi degli spostamenti fra i due presidi, le difficoltà logistiche con i relativi oneri. Questo è un esempio tipico di macro sostenibilità, che stiamo affrontando qui a Pisa, ma che si ritrova in tanti ambiti della programmazione ospedaliera del nostro paese: duplicazione di servizi, distribuzione inadeguata delle tecnologie, persistenza di alcune strutture “sotto soglia” per molteplici attività, ecc.
Anche gli altri livelli, da lei identificati, sono, immagino, rilevanti.
Certamente. Seguendo lo schema dimensionale, a livello medio penso alla appropriatezza dei volumi di attività, sia sotto il profilo della efficacia – che poi, in termini di salute, determina anche elementi di sostenibilità – sia per quanto riguarda aspetti più prettamente economici: unificare le procedure, definire le distinte base per gli interventi chirurgici, ecc. Bisogna allenare il personale a standardizzare le parti operative dei processi, proprio al fine di rendere poi l’assistenza sul paziente più “sartoriale”, senza essere obbligati e reinventare continuamente il processo stesso. A Pisa abbiamo alcuni “Focus hospital” di grande rilievo, in termini di efficienza e di esito: due aspetti della sostenibilità. Per esempio la endocrino chirurgia, con tremila interventi annui, o il percorso multidisciplinare senologico, con ottocento interventi chirurgici e le diverse fasi di diagnosi, terapia e riabilitazione all’interno di un sistema unitario di gestione. Vi sono poi le micro ottimizzazioni, di cui si parla meno e che presentano, anche sotto il profilo della sostenibilità, spazi di miglioramento elevato, a livello di attività di reparto, ambulatorio, sala operatoria. Ciò anche con il contributo dell’informatica e delle diverse tecnologie. È uno spazio non sufficientemente esplorato e forse si dà un po’ per scontato che non vi sia margine di avanzamento. Ma se ci si mette mano il sistema “gira” con maggiore soddisfazione del personale. E le persone, se soddisfatte del proprio lavoro, portano a importanti cambiamenti. Un tema che, sotto il profilo manageriale e organizzativo, deve essere inquadrato correttamente. Un clinico medico della Mayo clinic, che si occupa di diabete, facendo una riflessione sul tempo di cura, ha scritto (cito a memoria) [1]: in sostanza perché il tempo per la cura della persona si faccia più denso e profondo bisogna eliminare le “frizioni industriali”. La tecnologia può aiutare a risolvere problemi di assistenza complessi, facilitando e non ostacolando relazioni umane proficue. Le innovazioni organizzative devono promuovere il tempo di assistere i pazienti con cura ed eleganza.
I consumi energetici di un ospedale rappresentano un altro ambito che richiede delle ottimizzazioni in un’ottica di ecosostenibilità. Come affrontarli?
Quello dell’ecosostenibilità è un grosso tema, poiché gli ospedali sono notoriamente energivori: strutture che lavorano 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con ambienti a temperature, umidità e ricambi d’aria elevati e normati. Poi esiste tutto il tema dei monouso e del riciclo o corretto smaltimento di tale materiale. Il problema dei consumi di energia e di acqua è già stato affrontato a livello regionale, anche dal Sistema integrato ospedali toscani, che ha gestito la progettazione dei quattro nuovi ospedali. Nel progetto del nuovo ospedale a Cisanello abbiamo posto elementi puntuali rispetto a questa problematica, come per esempio l’adozione della trigenerazione, con la possibilità di cedere, cioè vendere, energia in surplus, l’uso di materiali per l’isolamento termico e acustico, interventi da estendere poi anche alle strutture già esistenti. La progettazione di nuovi edifici ospedalieri e sanitari ci pone come questione di grande rilievo, anche in termini “etici”, il tema della sostenibilità sia ambientale che gestionale.
[A cura di Marco Geddes da Filicaia]
[1] Il riferimento è al libro di Victor Montori. Perché ci ribelliamo. Una rivoluzione per una cura attenta e premurosa. Roma: Il Pensiero scientifico editore, 2018.
Gli ospedali più ecosostenibili nel mondo
Sono sempre più gli ospedali che perseguono la strada della sostenibilità con soluzioni ecofriendly nella costruzione o riqualificazione e ristrutturazione delle strutture già esistenti. L’ospedale quindi come luogo per la tutela della salute delle persone e anche dell’ambiente. Gli Stati Uniti sono all’avanguardia stando alla classifica pubblicata dalla Healthcare administration degree programs dei 30 ospedali più ecosostenibili del mondo: 25 si trovano negli Stati Uniti, due in Canada, due nel Regno Unito e uno a Singapore. Ad aggiudicarsi il primo posto è il Children’s hospital di Pittsburgh, in Pennsylvania, con due certificazioni Leed (Leadership in energy and environmental design).
L’ospedale pediatrico di Pittsburgh, aperto nel 2009, ha eliminato del tutto l’uso della carta svolgendo ogni operazione con mezzi elettronici, fa uso di materiali riciclati e ha introdotto un sistema di recupero dell’acqua e di condivisione di veicoli per ridurre le emissioni di inquinanti.
Anche in Italia non mancano esempi eccellenti di strutture sanitarie ecosostenibili, come l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze che ha il primato italiano nel campo dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Inoltre diversi ospedali italiani hanno aderito al progetto europeo Renewable energy sources di ridurre le emissioni di anidride carbonica: l’Istituto europeo di oncologia, l’Humanitas di Rozzano, il San Matteo di Pavia e gli ospedali di Ravenna, Rimini, Forlì, Cesena, Genova e Torino.
- Children’s hospital of Pittsburgh, Pennsylvania
- Dell children’s medical center of Central Austin, Texas
- Providence Newberg medical center, Newberg, Oregon
- Kiowa County Memorial Hospital, Greensburg, Kansas
- Vivian and Seymour Milstein family heart center, NewYork-Presbyterian hospital, New York
- Legacy Salmon Creek medical center, Vancouver, Washington
- West Kendall Baptist hospital, Miami, Florida
- North Shore university hospital: Katz women’s hospital, Manhasset, New York
- Muskogee community hospital, Muskogee, Oklahoma
- St. Mary’s hospital, Sechelt, Canada